Certe notizie

A volte incappo in una notizia che mi lascia un ronzio in testa. Tipo questa:

L’FBI statunitense ha arrestato un autonominato profeta con circa cinquanta seguaci e una ventina di mogli. Di queste parecchie erano minorenni, anche di 9 anni di età, alcune incinte, e una era sua figlia. Quale l’accusa iniziale? Il trasporto di tre di queste minorenni in un rimorchio con un secchio come toilette, mettendo a rischio la sicurezza stradale.
Le minorenni erano state date come “ricompensa” a tre uomini, ma le madri delle ragazzine hanno giurato che era tutto volontario, non erano costrette. Quindi lo hanno rilasciato (salvo poi riarrestarlo qualche giorno dopo).

Quindi tutto bene, no?

Leggi e ti viene un po’ di vomito. Poi ti chiedi: ma per la cultura moderna, per quella che stanno cercando di imporci, che problema c’è?
Se nessuno le ha costrette, se è tutto volontario, se lo facevano volentieri, è tutto a posto, giusto? Ognuno decide della propria vita. Ci dicono poi sia giusto che anche i bambini abbiano un approccio alla sessualità, lo si vuole insegnare fin dall’asilo, in America come in Europa ci sono programmi ufficiali, se ti opponi sei bigotto. Anche se per una volta non è una drag queen che li educa non dovrebbe essere tanto grave. Possono decidere di che sesso essere, senza che i genitori possano opporsi, perché deve essere loro impedito di passare all’azione? E anche l’incesto, dai, se c’è amore, in fondo… Love is love.

Una volta che hai deciso che non ci sono regole morali fisse, che il bene e il male possono essere scambiati, che la libertà è ciò che importa e non la verità, non c’è uno straccio di ragione per dire che non va bene. Che è proibito. Che non si può, non si deve fare. In fondo erano tutti contenti e consenzienti. Se la moralità è decisa dal consenso, non si scappa. Solo il codice della strada non era d’accordo, il che dà un poco da pensare. Quello i limiti li pone ancora.

Il rischio di cancellare i muri, di eliminare i confini, di annebbiare le distinzioni è perdersi in questo mare oscuro. Dove ogni cosa è negoziabile. Dove tu vedi il male, ma non lo puoi più chiamare con il suo nome. Se ci provi vieni emarginato, umiliato, deriso, perseguitato. Non sei abbastanza inclusivo, progressista, moderno, che è ciò che oggi è indicato come il solo male possibile.

Scusatemi, io sono abituato al male vecchia maniera. Non va tutto bene. Proprio no.

Progetto Ave Maria

Qualche tempo fa conversavo con una giovane e preparatissima amica dibattendo le tecniche di scrittura. Discutevamo dell’approccio alla narrazione. “Se vuoi un bell’esempio di come vanno gestiti la prima persona e i flash back leggiti l’ultimo romanzo di Andy Weir”, mi consiglia.
“Weir? Quello de ‘The martian‘?” Probabilmente ricordate il film di Ridley Scott con Matt Damon, abbastanza fedele al volume di cui, come spesso accade, non rende la complessità. “Ti riferisci ad ‘Artemis‘?”
Artemis è la seconda opera di quell’autore, ed è all’altezza della prima. Lei scuote la testa. “No, a ‘Project Hail Mary‘. E’ uscito l’anno scorso”.
“Non lo sapevo. Titolo interessante, lo inserisco nella mia lista di letture…”

Ed è così che, interrompendo la lettura della saga monstre della “Ruota del Tempo” (che non mi sta entusiasmando), mi sono procurato e divorato questa chicca.
Andy Weir scrive fantascienza, ma non fantascienza qualsiasi. Fantascienza hard.
Ehi, pulitevi la testa. “Hard science-fiction” è quella sottobranca del genere dove la scienza realistica, “dura e pura”, è predominante. Molti autori di fantascienza erano e sono piuttosto ignoranti, ma Weir è un ingegnere elettronico che di fisica, chimica e astronomia ne mastica parecchio, e si vede. Forse solo Hal Clement, che io conosca, ha osato scrivere libri così difficili per chi non sia adepto della materia.

Le trame di Weir in genere vertono su un protagonista un po’ asociale che se la cava in situazioni limite trovando risposte grazie alle sue conoscenze tecnico-scientifiche. Che sia Marte, una colonia lunare o un’astronave in un altro sistema solare, le soluzioni ai problemi arrivano grazie a esperimenti e alla osservazione della realtà. Cioè con prove ed errori, fallimenti che aiutano a comprendere meglio, particolari trascurati che rischiano di tradursi in disastri e talvolta lo fanno. I suoi libri dovrebbero essere lettura obbligatoria per chi vede gli scienziati come fatine con la bacchetta magica o saggi sapienti che non sbagliano mai. La scienza è l’esatto contrario di presumere certezze: è metterle in dubbio, in modo da capire di più.

In “Project Hail Mary”, “Progetto Ave Maria”, la posta in gioco è la sopravvivenza stessa dell’umanità. Non entro in spoiler e particolari, dirò solo che, in gergo americano, si indica con “Hail Mary” un tentativo disperato, l’ultimo prima della catastrofe, che intraprendi nonostante sia quasi folle perché sai che non avrai un’altra possibilità. Cosa sia questa catastrofe lo lascio scoprire al lettore interessato, dato che è oggettivamente qualcosa di inusuale. Il libro è appassionante, anche se non semplice per chi voglia capire fino in fondo su cosa stia trafficando il protagonista (che, tra parentesi, si chiama Grace, bollino a chi coglie). Diversi colpi di scena movimentano la narrazione, alcuni un po’ telefonati e uno soprattutto davvero inatteso.
L’unico appunto che si può fare alla trama è che sono presenti una serie di coincidenze abbastanza forzate. Benché l’autore non lo suggerisca neanche remotamente, viene da pensare ai miracoli: ma cos’è il nome del progetto se non una preghiera che si vorrebbe esaudita quando tutto sembra perduto?

Il fucile di Chechov

Non devi mai mettere un fucile carico sul palcoscenico se quello non deve sparare. E’ sbagliato fare promesse che non intendi mantenere.
A. Chechov

Sapete cos’è un fucile di Chechov?
E’ un principio di drammaturgia che dice che qualcosa deve essere portato all’attenzione del pubblico solo se si ha intenzione di usarlo. Come ripeteva Chechov, se fai vedere un fucile appeso al muro alla fine del primo atto, deve sparare nel secondo. Se no, è pessima scrittura.

Non è così vero; ci sono i “Red herring” – le aringhe rosse, ovvero falsi indizi che vengono fatti apparire significativi solo per sviare l’attenzione; e i “McGuffin“, cioè elementi della trama che sembrano essenziali ma che alla fine risultano assolutamente irrilevanti, come la valigia dei soldi in “Psycho” o, ne “Il falcone maltese“, il falcone stesso. Se non è intenzionale, però, Checov ha ragione.

Ne parlo perché sto leggendo un bel libro in cui è appena comparso qualcosa che ho la sensazione potrebbe essere proprio un fucile di Chechov.
Nell’attesa di scoprirlo, mi è venuto in mente il gran parlare che si fa dell’opzione atomica nell’attuale crisi internazionale. Io mi auguro che chiunque stia scrivendo il copione dei nostri giorni sia un pessimo drammaturgo.

Una voce nel tempo

Sapete cos’è il senso religioso? E’ la prima caratteristica dell’umano: la percezione che esiste di qualcosa di più grande di noi, che ci spinge a cercare di trovarlo.
E’ anche il titolo del più famoso libro di don Luigi Giussani, nato dalle lezioni che teneva alle sue classi liceali prima e universitarie poi. Per chi non lo sapesse Giussani è anche il fondatore di Comunione e Liberazione. Quel suo approccio a Dio, estremamente concreto e fondato sull’esperienza di ognuno di noi, ha profondamente influenzato la Chiesa della fine del secolo scorso, in qualche maniera salvandola da una deriva spiritualistica da un lato e materialistica dall’altro. Proprio il fatto che questi due grandi errori abbiano riacquistato forza nel mondo in cui viviamo dovrebbe stimolarci a riprendere quest’opera con il suo unico approccio al reale. Insegna non concetti, ma un metodo.

Cosa c’è di meglio che leggere il libro? Ascoltare quelle stesse parole dalla viva voce di don Giussani. Alcune di quelle sue lezioni sono state da pochissimo pubblicate in podcast e, devo dire, sono impressionanti. Anch’io che avevo ascoltato quella sua parlata impetuosa dal vivo stavo ormai dimenticando, dopo tanti anni, quanta forza avesse. E’ come se i concetti acquistassero tridimensionalità, se l’oggetto del ritratto uscisse dalla cornice e prendesse vita. Una cosa è leggere di un episodio accaduto, un altro è sentirlo raccontare dalla bocca del protagonista. Non si può fingere una simile passione, passione per l’umano, passione per il divino. Il contrario della distaccata indifferenza di troppi.

Al termine si rimane scossi e quasi perplessi. Legge un brano di Carrell che parrebbe riferirsi all’oggi, ma è stato scritto un secolo fa; dalle lezioni stesse sono passati quasi cinquant’anni, ma è come se fossero state registrate questa mattina. Ci pare dire che l’uomo rimane lo stesso, anche se i tempi cambiano; che il cuore non muta e gli errori sono sempre quelli, con altro nome magari ma perfettamente riconoscibili. Si capisce davvero cosa ci abbiano visto tanti in lui; quanto di lui abbiamo dimenticato.

Fatevi un favore, anzi, un regalo enorme: ascoltatelo.

Perché sono stato sospeso da Twitter

Sì, sono stato sospeso da Twitter. Proprio adesso, con l’Elon Musk al timone…

Ma cos’ho fatto di così grave? Ho scritto che Adolfo era una brava persona? Ho nascosto le prove della corruzione del Presidente degli Stati Uniti e di suo figlio? Ho detto che la Tesla fa schifo?

Niente di tutto questo. Il fatto nasce da un tweet che riportava un articolo della CBC canadese, il cui titolo recita:
Medically assisted deaths could save millions in health care spending“, ovvero, “Le morti medicalmente assistite possono far risparmiare milioni in cure”.
Se pensate di avere letto male, no, è proprio così, nero su bianco. Il succitato Adolfo gli fa un baffo. Invece di salvare i pazienti si salva il denaro.
Che è proprio il mio tweet:
“Kill all sick people. No more medicine needed, saving millions in cash. Cash survives, humans die. Success!”
“Uccidete tutta la gente malata. Non occorrono più medicine, risparmiando (salvando) milioni in denaro. Il denaro sopravvive, gli umani muoiono. Successo!”

Evidentemente quel “kill all” deve avere negativamente impressionato un bot automatico, chiaramente non abituato all’ironia. E qui finisce la storia.

E’ ironico che un robot possa prendersela con me e non con chi vuole davvero uccidere tutta quella gente, per soldi, equiparando i medici ai killer professionisti. Ma che ci volete fare. Le macchine non hanno senso dell’umorismo, o misericordia, e neanche parecchi umani.

Aggiornamento: i controllori un poco d’ironia ce l’hanno, perché dopo qualche ora hanno letto il mio ricorso e mi hanno sbloccato. Chissà se nel vecchio Twitter…

Gli apprezzatori di parole morte

Mi accusano talvolta di usare termini desueti. Beh, è vero. Pure desueto è un termine desueto, quindi non posso accampare scuse.
Anche qui posso rintracciare la causa in un mio vezzo di gioventù, quando aprendo il dizionario andavo a caccia di parole poco usate, diciamo quasi del tutto sconosciute. Avevo financo scritto per divertimento un piccolo componimento che utilizzava quasi esclusivamente le più misteriose, deliziosamente incomprensibili salvo che a pochi accademici. Compatitemi, questo ero io da ragazzo.

Una degli accusatori di cui sopra è mia moglie. Quando vuole prendermi in giro mi ricorda le volte che ho utilizzato in sua presenza, nel corso di una normale conversazione, i vocaboli madia e pastrano. Ecco, il guaio di essere un apprezzatore di parole morte (o moribonde, o comunque che non stanno troppo bene e se ne stanno rinchiuse al calduccio senza volere uscire) è quello di perdere talvolta il senso della misura. Io so cos’è un pastrano, siete voi che se non lo sapete siete un po’ strani. Comperatevi un dizionario.

Così come feci io, acquistando il dizionario inglese Collins, che ad ogni lemma associa la sua filologia. I lettori di questi miei post sanno bene che spesso essi partono proprio dal mio comprendere le radici di una parola, radici che non di rado gettano luce sul suo significato profondo. Un insano amore per la filologia è corollario all’essere apprezzatore di parole morte.

L’altro corollario è una certa tolleranza verso i termini appena inventati, in larga parte mutuati da altri linguaggi. Una lingua è qualcosa di vivo perché vivi sono coloro che la usano. La nostalgia per ciò che è desueto non deve far dimenticare che è l’uso che leviga le frasi, come il muoversi fa con le nostre ossa, rafforzando ciò che è strutturale e relegando nell’oblio polveroso delle enciclopedie ciò che più non serve, sovraosso o vocabolo abbandonato esso sia. Ciò che adesso è nuovo un giorno sarà dimenticato anch’esso, le nostre parole non ci sopravvivranno.
Non è la sorte di ogni cosa mortale?

Le mappe su fogli quadrettati

Probabilmente il mio innamoramento per le mappe risale a una lettura di quando ero bambino. Come tante altre famiglie italiane possedevamo una serie di libri antologici chiamati “i Quindici“, dove un volume era dedicato a frammenti romanzati di biografie di personaggi famosi. Uno di questi racconti riguardava Luis Stevenson, l’autore dell'”Isola del Tesoro”, che disegnava insieme con i figli la mappa di un’isola misteriosa sulla quale l’avventura e la fantasia potevano scatenarsi. Ne fui affascinato. Quando di lì a poco cominciai ad immaginare mondi, una delle prime cose che facevo era tracciarne la mappa.

Una mappa è ciò che rende conosciuto l’ignoto, ti conduce in luoghi mai veduti e li solidifica, li rende concreti: fissa le distanze, ne annota i nomi, ti obbliga a guardarli come si guarda qualcuno che si presenta alla tua porta. Una mappa è pericolosa sul serio, perché ti conduce dove non sai, ti cambia e rischi di non potere mai tornare indietro.

Quando alcuni anni più tardi iniziai a ideare storie per i giochi di ruolo, le ambientai in geografie che disegnavo su carta quadrettata. Il quadretto ti dà una stima delle distanze, ti obbliga ad essere pratico, ti dice quanti giorni a cavallo ci vogliono per arrivare dal fiume al castello del mago. Nel loro massimo sviluppo i fogli raffiguranti questa terra fantastica messi uno accanto all’altro coprivano un paio di metri quadrati e interi continenti. Le città, le montagne, i mari, le nazioni avevano nella mia testa ognuno il loro nome e le loro caratteristiche uniche. Quante avventure in ognuna di loro. Se i giocatori avessero voluto andare in giro a esplorare, beh, non sarebbe stato un problema.

Quando ho scritto il mio libro, la geografia del mondo degli dei si disegnava in fondo ai miei occhi. Le pianure coltivate, le colline boscose, i monti con le nevi rese azzurrine dalla distanza e naturalmente le città, con i loro costumi diversi, i loro monumenti e le loro leggende. Sull’usuale foglio quadrettato ho tracciato i confini, le strade, i fiumi, perché i personaggi sapessero dove si trovavano, quanto tempo ci avrebbero messo per viaggiare fino alla città vicina, quali panorami avrebbero potuto ammirare. Poiché una mappa del genere sarebbe stata troppo particolareggiata per i lettori, ne ho fatto una versione semplificata usando una tecnica simile a quelle delle mappe antiche, dove gli elementi geografici sono volutamente esagerati in dimensioni per renderli identificabili a colpo d’occhio.

A vederla così sembra innocua, quasi fanciullesca, ma se guardate con una lente d’ingrandimento abbastanza potente potrete distinguere i templi nascosti dall’edera, i viottoli fangosi segnati dalle ruote dei carri, i contadini al lavoro nei campi, i nidi delle kjinne tra i rami e il baluginare del sole sui finimenti dei cavalli negli accampamenti dei mercenari.
E se non riuscite a scorgerli, io che li vedo benissimo ve li racconterò.

Canzoni criminali

Cos’è un crimine? E’ un “delitto di particolare gravità, efferatezza o vastità”.
Crimine deriva da “cernere”, scegliere. Chi compie un crimine sceglie di danneggiare qualcun altro a proprio vantaggio. Nella stragrande maggioranza dei casi questo atto è compiuto adducendo qualche giustificazione. Ci sono sempre delle ragioni dietro qualsiasi azione. Per quanto vile o spregevole possa apparire agli occhi degli altri, chi la compie ritiene di avere motivi sufficienti. Fossero quei motivi anche solo il proprio egoismo, il ritenersi al di sopra del resto, il poterlo fare.

Così si può affermare “è una rivoluzione”, è “qualcosa che negano a quelli come me, (ma io me la piglio lo stesso)”, o uscire direttamente con un “il mondo è nostro”; o meglio, mio, da farci ciò che credo.
Queste giustificazioni le si può magari mettere in musica, perché si è bravi, scriverle in un testo che solletichi i sentimenti, facendole apparire autentiche a chi si ferma alla superficie delle cose.

Un tempo, e anche oggi, era considerato un delitto vendere, fosse anche per necessità, i propri figli. In compenso oggi chi compra quei figli viene spesso esaltato. Sembra che i soldi diano diritto a qualsiasi cosa; e forse agli occhi del mondo che vede solo la materia è vero. Solo cos’è immateriale non si può comprare. Così un ricco cantante può permettersi di acquistare neonati, per la nostra legge ancora reato, e non si trova chi gliene chieda conto. Fosse stato un poveraccio qualsiasi, ma così…

Quella persona può anche permettersi di mettere in musica la sua esperienza, lui può, e cantare con bei testi e indubbia arte quella sua prima festa del papà. Non dubito che gli avrà fatto piacere. Che i suoi sentimenti siano sinceri. Ma quella festa del papà l’ha ottenuta negando per sempre la festa della mamma.

Il desiderio di paternità, di maternità, è uno dei più forti, è inscritto nella natura umana. Anche se il suo amore fosse sincero e completo, non viziato da orgoglio e brama di possesso e ostentazione, se il suo essere padre fosse perfetto così come non sono la quasi totalità dei rapporti umani tra noi mortali, rimarrebbe il fatto che ha sottratto una parte di vita a degli innocenti. Non conosceranno mai qualcuno di così importante che ognuno di noi ne resta indelebilmente segnato per la vita.

Delitto deriva da delinquere, abbandonare. In questa storia c’è chi è stato preso e chi abbandonato, scartato, ritenuto inutile. Quindi no, non mi unirò al coro di chi esalta delitti, di chi canta canzoni criminali.

Le canzoni un po’ così

Il traffico, stamattina, è lento e caotico. Colpa della pioggerellina gelata che sta cadendo, forse. Ascolto la radio mentre guido.
Passa in onda “Girasole“, di Giorgia. La metafora sessuale è delicata e allo stesso tempo semplice da comprendere. Terminano le ultime note ed ecco “Onde” di Alex Baroni. Eh, e allora ditelo. Anche qui i doppi sensi si sprecano.

Mentre la melodia prosegue, mi soffermo a pensare quante canzoni del genere esistano, che dicono una cosa intendendone un’altra, e chi capisce capisce. Moltissime, indubbiamente. Omnia munda mundi, ero rimasto abbastanza sconvolto quando mi avevano spiegato cosa fosse il Kobra di Donatella Rettore. Ero giovane, eh, di anni ne sono passati. La canzone segretamente sconcia non è certamente un’invenzione di adesso, anzi. Una buona parte delle antiche canzoni popolari che conosco, dallo “Spazzacamino” alla “Serenata a castel Toblin“, a dir poco ammiccano.

Da sempre il canto e la poesia nascondono significati segreti, dall’amore alla politica. Ciò che non si può dire in modo esplicito è mimetizzato in parafrasi e allusioni, è affidato alla musica.
In fondo è così che è fatto il mondo, è così che sono fatti gli esseri umani: ogni cosa che ci circonda ci rimanda ad altro, ha un significato nascosto da interpretare, che solo noi possiamo decifrare.
Noi, quelli che non si accontentano del senso immediato, di ciò che si vede al primo sguardo, ma sono attenti al mistero che le cose celano.

Saprofiti

Chi sono coloro che si servono dei morti per portare avanti la loro agenda?
Sono i vermi; gli avvoltoi; gli sciacalli.

Sembra che essere saprofiti sia una carriera di gran successo.

Metaversi e dintorni

“Qualsiasi tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile da un espediente narrativo completamente ad-hoc.”
David Langford, come corollario della Terza Legge di Clarke

Cos’è il metaverso? Beh, è internet, eccetto che ci puoi camminare dentro. Tutto molto bello, ma non si capisce dove sta il vantaggio. E’ molto più comodo e veloce fare clic su un link che fare una passeggiata per raggiungere un certo sito. Forse potrà apparire blasfemo a quelli come me che sono cresciuti leggendo di cyberspazio nei racconti cyberpunk, ma tutta la storia dei tizi che surfano la rete con i loro avatar è una cretinata. E’ un espediente narrativo per romanzare una cosa noiosa come scrivere codice, una simpatica, epica idea sviluppata da gente che non capisce un accidente di computer.

Per quanto possa apparire ganzo nei film il tizio che si mette a smanettare sulla tastiera facendo magie informatiche, quel personaggio semplicemente non esiste nella realtà. Sono trucchi, azioni irreali, come i soldi che si trasferiscono tra gli account dollaro per dollaro invece che con un’unica transazione, come il carattere mancante della password che vortica per mezz’ora prima di essere trovato. No, i computer non viaggiano nel tempo e non materializzano androidi, tanto meno di sesso femminile e nudi. Quella è magia, e che sia un computer a farla invece che un tizio agitando una bacchetta è solo una questione di ambientazione.
Come per i telefilm ambientati negli ospedali o nella polizia, la realtà è parecchio più arida.

Sì, è possibile muoversi in mondi virtuali ammazzando draghi o combattendo alieni, ma che fatica sarebbe per le cose di tutti i giorni. Se un giorno sarà sviluppata un’interfaccia per la realtà virtuale più maneggevole delle attuali magari viaggiare in terre di fantasia attirerà di più. Ma l’essere umano preferirà sempre ciò che è più comodo e più veloce. Un avatar non lo è. Mi dispiace, ma il metaverso non giungerà tanto presto.

I draghi del metaverso

Pino era contento, e lo disse a sua figlia mentre cenavano seduti nella terrazza che guardava sui laghi di lava. In basso, le forme mostruose dei draghi di fuoco si rotolavano nelle fontane ardenti.
“Questi aggeggi transumanisti sono fantastici. Sono proprio felice di essermi virtualizzato completamente la memoria. L’abbonamento è caro, certo, ma prima avevo problemi, non riuscivo a ricordare le cose, adesso invece ho spazio di immagazzinamento enorme, è tutto nitido, funziona benissimo”.
Sua figlia non commentò e si lisciò un’ala traslucida. “Papi, per favore, puoi abbassare la lava? Qui si muore di caldo”.
Pino si trattenne dal dire che, con quel poco che indossava, la temperatura non doveva essere un problema. Con un sospiro, commutò il paesaggio da vulcanico a marino, un oceano turchese colmo di vele multicolori. Veniva voglia di tuffarsi dentro, ma renderlo nuotabile costava troppo. Era solo un bel paesaggio del metaverso. Quello che il suo corpo di carne vedeva davvero era solo una bolla di plastica opaca, rammentò con un brivido. Non che lo frequentasse molto, ultimamente.
“Allora, papi, che mi rispondi?”, chiese sua figlia.
“A cosa? Te l’ho tolta, la lava”. Pino era perplesso.
Sua figlia lo squadrò. “Che ti piglia? Il permesso di andare”.
Si era distratto? Percorse velocemente la memoria degli ultimi minuti, ma non trovò nessuna questione simile. Solo…
Che cos”era quell’iconcina rossa?
Pino la premette.
Una donna dall’aria severa comparve a mezz’aria. “Caro utente Pino12072012, è stata rilevata nella sua memoria in corso di upload la presenza di pensieri ingiuriosi, razzisti, intolleranti o critici del governo. Tali contenuti non sono permessi dal regolamento, e quindi i suoi ricordi relativi a quei momenti sono stati rimossi. Per presentare eventuale ricorso la preghiamo di contattare il nostro ufficio legale. Buona giornata”.
L’uomo trattenne un’imprecazione. “Ma che, scherziamo? Con quello che pago?”, esclamò ad alta voce.
Sua figlia lo guardò. “Cosa c’è, papi?”
“Mi hanno rimosso dei ricordi per violazione di contratto!”
Sua figlia sbuffò. “Di nuovo?”
“Come, di nuovo?”
Lei scosse la testa, spazientita. “Oh, lascia perdere. Perché non cambi provider di vita virtuale, piuttosto? Ti lamenti sempre e lo paghi caro e salato”. Ed è della concorrenza, avrebbe aggiunto se fosse stata programmata e autorizzata a farlo.
Pino la guardò stupito. “E perché dovrei cambiarlo? E’ perfetto, non mi dà nessun problema”.

Dio a domicilio

Argomentavo nel post di ieri che non è il poter correre più veloce, o il vivere più a lungo, che cambierà la natura dell’uomo. Noi siamo come razza sostanzialmente immutati da migliaia di anni, fin dall’inizio della storia e probabilmente anche da prima, attirati dai medesimi desideri, dagli stessi piaceri e dalle stesse gioie.
Lo si può vedere dagli dei che sono stati adorati, e talvolta ancora lo sono, in tutto il mondo. Sono quasi sempre sovrapponibili l’uno all’altro, diversi nomi per esseri simili salvo nelle sfumature.
Gli dei cannibali che pretendevano il sacrificio di bambini innocenti preso i Fenici non sono poi così differenti da quelli che hanno infestato il Messico fino all’arrivo degli Spagnoli. Nel pantheon romano trovavano posto senza grosse difficoltà le divinità dei popoli conquistati, con appena minimi adattamenti.

Di queste convergenze possiamo dare tre spiegazioni distinte.
La prima è che tutte queste teogonie non siano che i riflessi di un’unica religione primigenia, che si è distinta e frammentata con l’espandersi della civiltà umana nel globo, in modo non differente da quello che deve essere accaduto con il linguaggio o con i tratti genetici.
La seconda è che gli dei si assomiglino perché sono personificazione degli stessi impulsi comuni dall’equatore al polo; vizi e virtù fatti entità da ingraziarsi e venerare.
La terza, che esistano davvero degli esseri con poteri non di questo mondo che si nascondano dietro maschere divine. Per la tradizione cristiana sono demoni, o forse quegli angeli che rifiutarono di schierarsi nella grande guerra celeste; comunque esseri che sanno come sfruttare le debolezze umane ai loro scopi.

Miti, realtà nascosta o personificazione di sogni, rimane il fatto che gli esseri umani si sono riforniti al supermercato delle religioni fin dal principio, acquistando il prodotto che più si confaceva al loro temperamento e alla società in cui vivevano. Esiste un solo caso, in tutta la storia, in cui non sia stato l’uomo a cercare il dio che più gli stava a genio ma Dio sia sceso a offrirsi al suo popolo, facendosi uomo lui stesso. Un Dio a domicilio. Che addirittura muore, non assassinato per qualche bega tra le divinità, ma per salvare quelli che chiama amici e fratelli. Quegli irritanti, cattivi, disperati uomini, sempre uguali a loro stessi, che mai non cambieranno, salvo che da quel Dio si lascino cambiare.

Transumani

“Esiste qualcuno più grande degli dei che conosci. La nostra vita non è un gioco; quello che facciamo non è senza scopo. Presto o tardi, questo loro dominio cadrà. È già condannato, anche se non se ne rendono conto. Il tempo degli dei ha un termine”. I resti del fuoco morente disegnavano strane ombre sul suo volto. “Anche gli dei moriranno”.

“Il tempo degli dei”, Antonio Benvenuti

Essere transumanisti è di gran moda, un po’ come era di moda l’eugenetica un secolo fa. In comune queste due ideologie hanno l’idea che l’uomo possa essere migliorato eliminando i suoi difetti. Nel caso dell’eugenetica impedendo la riproduzione degli individui considerati inferiori, magari con l’eliminazione degli individui stessi; per i transumanisti, tramite una tecnologia in grado di moltiplicare forza, vita, memoria e quant’altro.

L’eugenetica ha provocato i disastri che sappiamo. Il transumanesimo potrebbe farne anche di peggiori. Una tecnologia in grado di migliorare le persone darebbe loro un deciso vantaggio competitivo; vantaggio che coloro che potrebbero permetterselo avrebbero tutto da guadagnarci a mantenere. Aumenterebbe così la disparità tra ricchi e poveri, tra tecnologicamente avanzati e no. Cosa può andare storto?

Uno scenario simile l’ho esplorato all’interno di una cornice avventurosa fantasy nel mio romanzo, “Il tempo degli dei“. Come impedire che i transumani si prendano tutto il potere, e opprimano i “normali”? Davvero sono così diversi, anche possedendo poteri quasi divini? Il libro offre una risposta, tra le molte possibili.

Il transumano del futuro sarà un altro tipo di uomo? Io ne dubito. Se ci pensiamo bene, noi siamo transumani rispetto ai nostri avi anche solo di duecento anni fa.
Viaggiamo ovunque a velocità che loro potevano soltanto sognare, voliamo persino in aria; abbiamo conoscenze vastissime a portata di mano, basta un clic; viviamo molto più a lungo, siamo più sani, vediamo meglio e più lontano, ascoltiamo conversazioni distantissime… quindi siamo esseri superiori, no?

Un domani che lo smartphone sarà integrato nelle dita e le nostre gambe potranno farci correre come automobili, cambierà ciò che siamo dentro? Saremo uomini diversi per questo?
Io credo che se anche avessimo poteri ancora più grandi alla fine resteremo sempre ciò che siamo. L’ipertecnologico plurilaureato nel centro pulsante della metropoli e l’ultimo pastore nel mezzo dell’Africa condividono il medesimo cuore, e ambedue saranno sempre insoddisfatti della loro vita, vorranno di più. Qualunque cosa sia quel di più, perché nessun innesto o estensione potrà mai farci essere ciò che non siamo.
Infiniti.

Spreco

In certe poesie ci sono profondità di cui è molto difficile accorgersi senza un lavoro attento sulle singole parole.
Un esempio è l’improvvisa illuminazione che ho avuto ieri quasi casualmente, ripensando a certi versi che conosco molto bene.

In un mio post precedente ho citato i “Cori della Rocca” di T.S.Eliot. Sono la sua opera che preferisco in assoluto: oltre ad essere stupendi sono intrisi di quella che potremo chiamare profezia. Isaia gli fa un baffo. Sono la prova che quasi cent’anni fa la deriva odierna era in atto e l’autore con lucidità già vedeva ciò che adesso è molto più che evidente.

Proprio questa mia preferenza mi ha, in un certo senso, sempre accecato. Conosco certe sue parti praticamente a memoria ma, a differenza delle altre opere di Eliot, nella loro versione in italiano. Così pensavo che in quel grido
“deserto e vuoto, deserto e vuoto”
ripetuto più volte, che riecheggia Genesi 1 (La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso) deserto fosse la traduzione italiana di desert.
Parola che si ritrova peraltro all’inizio del poema, dove viene detto

…Tu dimentichi e sminuisci il deserto.
Il deserto non è remoto nei tropici dl sud,
il deserto non è solo dietro l’angolo,
il deserto è strizzato nella metropolitana accanto a te,
il deserto è nel cuore di tuo fratello.

…you neglect and belittle the desert.
The is not remote in southern tropics,
The desert is not only around the corner,
The desert is squeezed in the tube-train next to you,
The desert is in the heart of your brother.

Ma qui il significato è differente, e anche la parola usata nell’originale. Che è waste.

Waste and void. Waste and void

Che non può non ricordare il titolo del poema più famoso di Eliot, quello per cui ha vinto il Nobel: The Waste Land, la terra desolata.

Waste significa spreco, dimenticanza. Desolazione può essere anche valido, ma rimane parziale. Nel contesto, indica ciò che era all’inizio, quando le cose non erano, e quello che luoghi e cose diventano quando sono abbandonati. Sprecate. The Waste Land descrive esattamente questo: lo spreco della vita, in un certo modo l’inferno.
Allora,
Desolazione e vuoto, Desolazione e vuoto
può essere una traduzione migliore della precedente. Essa richiama anche quell’abomino della desolazione che descrive il momento in cui nel Tempio di Gerusalemme vengono imposti gli altari di altri dei.

La pretesa odierna di certuni, anche nella Chiesa, è che Cristo abbia fatto il suo tempo come unico portatore di verità.
Nel vuoto che si crea tornano i vecchi dei, divinità che allettano con promesse di soddisfazione che deluderanno. Perché il dio di un solo aspetto del reale non può che fare promesse parziali, limitate, fallimentari, promettendo un paradiso che si rivela presto essere un inferno, come sa chi ha praticato il culto di una di queste entità. La conseguenza è vita sprecata, tempo sprecato: desolazione.

Come fare per non buttare via la propria esistenza inseguendo il vuoto del nulla? Il poema di Eliot termina con l’invocazione all’umiltà,

Non cercare di contare le onde future del Tempo,
Ma sii soddisfatto di avere abbastanza luce
per fare il tuo passo e non inciampare.

Seek not to count the future waves of Time;
But be ye satisfied that you have light
Enough to take your step and find your foothold

Cosa che dovremmo assolutamente fare. E, dove la Parola non è pronunciata, costruire con nuovi discorsi.

Lasciare

Leggo gli articoli colmi di malcelata soddisfazione riguardo a quella ex-suor Cristina che si è tolta il velo. Un paio di giorni fa abbiamo festeggiato una mia amica che quel velo lo ha vestito per venticinque anni, e non si sogna di lasciarlo. Sebbene lei sia ormai da decenni di casa in un’altra regione, il salone era pieno di gente e allegro. Dopo esserci ingozzati di torte salate e dolci lei ha preso la parola per assicurarci che quei cinque lustri erano stati davvero “ganzi”, e che la promessa del centuplo quaggiù per coloro che seguono il Signore era stata mantenuta, con abbondanza. Centomila, altro che cento.

Non voglio entrare nel merito di quelle che sono comunque scelte libere, personali, con motivi che non potrò mai conoscere davvero. I sentieri che percorriamo sono spesso misteriosi e scivolosi e il giudizio ultimo su quali prendiamo, per nostra fortuna, non spetta a noi. Come per il matrimonio, molto dipende da cosa ci si aspetta dal coniuge e dalla vita insieme. Troppo spesso presumiamo. Troppo spesso l’orgoglio ci frega. Troppo spesso non osiamo fidarci fino in fondo. Così, anche se la persona con cui dividiamo la vita è perfetta, certamente non lo è il nostro modo di starle davanti, non lo sono le condizioni al contorno, persino le nostre aspettative. Ogni rapporto è comunque intrecciato con l’ineliminabile croce.

Anch’io credo fermamente in quel centuplo, perché l’ho sperimentato. Ciò non toglie che talvolta me ne dimentichi e mi ritrovi a pensare che sarei meglio altrove. Tutte le volte, però, ritorno con la coda tra le gambe. Fuori non è come mi posso immaginare, come raccontano quei poveretti che spesso non conoscono altro.
Se ti vuoi bene, ti rimangi l’orgoglio e ritorni. Il tuo coniuge ti riaccoglie. E’ un mondo freddo, fuori.

Tutti gli dèi

Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell’abisso.
E’ la Chiesa che ha abbandonato l’umanità, o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?
Quando la Chiesa non è più considerata e neanche contrastata, e gli uomini hanno dimenticato
Tutti gli dei, salvo l’Usura, la Lussuria e il Potere.

T.S.Eliot, Cori de “La Rocca”



Il bastone pastorale del vescovo era di acciaio cromato, e il suo puntale rappresentava due figurine umane stilizzate che si davano le mani guardandosi negli occhi. Con un po’ di fantasia una delle due, che sembrava avvolta in fasce che assomigliavano ad artigli, poteva assomigliare a un Cristo senza croce. Il vescovo lo porse ad un chierichetto che ostentava un ciuffo scarlatto e si sedette pesantemente in poltrona. Si aggiustò lo zuccotto e la pesante croce d’oro che portava al collo, poi alzò lo sguardo verso la platea di persone importanti e giornalisti. “Cominciamo?”

Si alzò una mano. “Eccellenza, può spiegarci l’importanza di questo convegno?”
L’alto prelato aprì le mani grassocce e sorrise. “Grazie della domanda. La Rivelazione divina ha luogo in un insieme di circostanze storicamente e culturalmente determinate, che ne influenzano la comprensione. Come Chiesa, vogliamo riconoscere che esistono una pluralità di legittimi credi, anche al nostro stesso interno. Possiamo parlare di verità solo se ci approcciamo a uno spazio discorsivo senza restrizioni”.

Il giornalista lo guardava con occhio un po’ spento, chiedendosi se questo fosse un modo elaborato di negare l’esistenza della verità, ma il vescovo non se ne accorse e proseguì gioviale. “Un punto centrale della moderna teologia è che non c’è una prospettiva centrale, non una sola verità di religione, morale o visione del mondo e nessun modo di pensare che possa reclamare di essere un’autorità ultima. Ci possono essere visioni e modi di vita in contrasto l’uno con l’altro in fatti e parole che sono in grado tuttavia di affermare di essere veri in modo teologicamente giustificato. E’ per questo”, disse, volgendosi alla sua sinistra, “che sono lieto di avere con noi questa sera tre rappresentanti di mondi che in apparenza possono sembrare distanti dalla Chiesa tradizionale, ma che in realtà possono collaborare con noi e tra di loro per diffondere quella tolleranza, inclusività e filantropia di cui il mondo ha bisogno”.

Tutti gli occhi si volsero sulle persone chiamate in causa. La prima era un ometto di piccola statura, dalla carnagione olivastra, vestito in maniera estremamente elegante. “Coloro che si occupano di finanza conoscono bene Alfred Baha, dato che siede nel consiglio di amministrazione delle banche e dei fondi di investimento più ricchi del pianeta”. Baha alzò appena la mano appesantita da bracciali e anelli preziosi come riscontro, guardando tutti e nessuno attraverso un paio di occhiali scuri. Tutto in lui parlava di ricchezza.

Il vescovo proseguì. “Accanto a lui, non credo abbia bisogno di particolari presentazioni neanche Venus Aster Roth. Non c’è nessuno come… questa persona che abbia contribuito alla causa dell’eguaglianza di genere, la lotta perché ognuno possa condurre una vita autodeterminata a prescindere dalla sua identità sessuale. La sua presenza qui testimonia la nostra volontà di combattere tutte le discriminazioni, anche all’interno della Chiesa. Chiunque esibisca attitudini discriminatorie non dovrebbe poter trovare posto in essa”. Un applauso segnò le parole del vescovo e Venus inclinò lievemente il suo volto androgino in segno di apprezzamento.

“E, per finire”, terminò il vescovo, “Credo tutti conosciate Phoenix M. Oloch, uno dei più noti e influenti uomini di scienza del nostro secolo. Che si tratti del cambiamento climatico, del problema di mancanza di risorse o della risposta alle epidemie, il suo consiglio è richiesto da governi e dalla gente comune e non manca mai di aiutarci a comprendere le sfide che ci attendono”. L’abbronzato scienziato scosse la folta criniera bianca e si produsse in un enigmatico sorrisetto di ringraziamento.

Un altro applauso arrivò dalla platea. Il vescovo attese che scemasse il rumore, poi riprese a parlare. “Siamo qui per onorare questi tre illustri rappresentanti del mondo moderno, di cui noi dobbiamo e vogliamo fare parte. E anche a promettere che ognuno di noi, secondo la propria responsabilità e rispettando la conoscenza delle scienze umane, si impegnerà a cambiare la dottrina e la pratica della Chiesa secondo queste linee guida. Ascoltiamo prima il signor Baha. Al, a te la parola”.

L’uomo distese la mano ingioiellata per ottenere silenzio. “Come ha detto il nostro illustre vescovo, io mi impegnerò lavorando in stretto contatto con gli altri per portare la pace e l’amore sulla Terra. Ci saranno sacrifici da fare per molti, ma sono certo che ognuno di noi comprende come questo sia necessario per ottenere un futuro migliore per l’umanità intera. Sto impegnando e impegnerò gran parte del mio patrimonio in opere di filantropia, di esportazione della democrazia, di eliminazione delle differenze.
Dobbiamo abbattere o assimilare tutte quelle organizzazioni, partiti o governi che vogliono ostacolare questo nostro grandioso progetto di rifacimento del mondo e ne saremo in grado, se ci impegneremo al massimo. Ognuno di voi che vorrà contribuire si sentirà più ricco anche solo per questo”. La sua voce era come il rimbombo di cembali lontani, il tintinnare delle monete in urne di pietra.

Aster Roth applaudì con le eleganti mani guantate l’intervento e prese la parola. “Avete sentito, cari? Grazie alla generosità di quest’uomo e alla disponibilità di chi ci ospita faremo in modo che anche nella Chiesa spariscano quelle odiose credenze del passato che discriminavano le donne, ad esempio nel sacerdozio, le umiliavano e ne ledevano i diritti, come quello all’aborto, e impedivano persino il divorzio”. Il vescovo annuì. La potente influencer proseguì: il suono stesso delle sue parole era sensuale, suggeriva innominabili piaceri oscuri. “Non permetteremo che tradizioni obsolete possano ancora impedire alla sessualità di esprimersi pienamente, oppure osino impedire l’amore tra persone dello stesso sesso, negando loro il matrimonio. Nel mondo di oggi questo non può più essere permesso; non esistono tabù o comportamenti errati, di nessun tipo. Tutti siamo stati creati come siamo e dobbiamo assecondare la nostra natura, lo dice anche la scienza, non è vero Phoenix?”

“Certamente”, esordì l’uomo chiamato in causa, con gli occhi che sembravano bruciare per un fuoco interiore. “Non esistono limiti all’amore, e l’uomo non deve mettere barriere. Senza una sessualità consapevole, che passa attraverso la contraccezione e la pianificazione familiare, non riusciremo a ridurre drasticamente la popolazione mondiale e finiremo per esaurire le risorse necessarie per contrastare i cambiamenti climatici. So che per la Chiesa è talvolta ancora un tabù, ma il sacrificio dei bambini, cioè la riduzione della fertilità con ogni mezzo, è la maniera per riportare il nostro pianeta alla prosperità per noi tutti. Avremo una nuova età dell’oro in cui la tecnologia ci consentirà di superare il nostro corpo fisico, per approdare alla transumanità, all’appagamento totale. Per ottenere ciò dovremo essere pronti a consegnare le nostre membra e, per così dire, la nostra anima, a questo nostro grandioso progetto comune”.

Un’ovazione segnò la conclusione del discorso. Il vescovo riprese la parola. “Il messaggio del Cristo è importante, ma non attira la gente. Grazie ai nostri importanti sponsor, qui, allargheremo gli orizzonti fino a comprendere nella Chiesa anche coloro che si erano allontanati. Bisogna convincerli che essa li accoglie così come sono, senza chiedere loro di cambiare. E’ un impegno solenne: chi non fosse d’accordo con questo orizzonte di inclusività non può trovare posto qui con noi”. Fece un segnale ai suoi collaboratori. “E ora, seguirà un rinfresco…”

Il pubblico si assiepò intorno agli invitati. CEO, finanzieri, politici, influencer, gente di spettacolo, scienziati e dottori si accalcarono intorno al loro personaggio preferito, come api intorno alla loro regina, servi ai piedi dei loro re, sacerdoti al cospetto del loro dio offrendo loro doni, offerte di collaborazione, omaggi. “Non sono adorabili i nostri ospiti? Sì, sono sicuramente degli angeli caduti in Terra per noi“, disse il vescovo ai giornalisti. “A guardarli si direbbe davvero che gli antichi dei siano tornati a darci un’era di prosperità. Tartina?”

Mi manca

Mi ricordo quando giunse la notizia che attendevamo e temevamo da giorni. Don Berna era morto.
Per parecchio tempo dopo quel momento mi sembrò talvolta di vederlo in giro, con la sua caratteristica pelata. Erano solo persone che gli somigliavano, naturalmente. Ma quelle brevi allucinazioni erano un segno di quanto mi mancasse. E ancora mi manca, dopo venticinque anni.

Il mio essere ancora cristiano è dovuto all’opera di parecchie persone. Sicuramente lui è una di queste. La dottrina della comunione dei santi ci dice che coloro che hanno abbandonato questo mondo ancora partecipano con noi in unità. E’ vero, ma ci sarebbe proprio bisogno adesso, in questo luogo e questo tempo, della sua ruvida grandezza.

Tocca a noi, che siamo rimasti qui, portare avanti l’opera, lo so bene. Quella bellezza che ci aiutava a trovare, nella musica o nel cielo stellato della sua chiesa, nel mio piccolo cerco di comunicarla.

Però mi manca.

La guerra dei giganti

Il terreno vibrava e si fendeva, i sassi rotolavano. Uno grosso come una mucca passò accanto a Grut rimbalzando e spaccandosi.
Grut si sporse dal buco e guardò fuori. I due giganti erano così alti che la loro testa sfiorava le nuvole. Se le stavano dando di santa ragione, e l’eco dei colpi che si scambiavano risuonava come il battito di titanici tamburi.

“Sei matto?” gli urlò Vezener. “Rientra dentro, prima che una scheggia ti stacchi la testa”.
“Chi vince?” chiese Grut. “Chi ha ragione?”
“E a chi importa”, rispose Vezener. “I giganti si fanno la guerra per le loro ragioni da giganti, che non hanno niente a che fare con noi nanerottoli. Tutto quello che sappiamo è che occorre tenersi nascosti, se no si finisce calpestati. Non gliene importa di noi. E non se ne accorgono nemmeno”, aggiunse.

Delusione

Non so se vi è capitato talvolta di rispondere male, di avere uno scatto improvviso, di ignorare qualcuno o qualcosa; e poi guardarvi dal di fuori, rimanere stupiti e sconvolti e dirvi: quello non sono io.

E il demone dentro ride, dicendo “Certo che sei tu. Tu ti vedi nobile, onesto, disponibile, allegro, umile, capace; ma è la realtà che conta. E’ quello che fai che ti determina, non ciò che ti immagini potresti fare”.

Deludere originariamente significava prendere in giro, burlarsi, ingannare. Quante volte ci deludiamo, ovvero prendiamo in giro noi stessi. Illudersi ha la stessa radice, lo stesso significato.

Ma io sono ciò che so di non essere, o non sono ciò che so di essere?

Ci guardano

Si dice che quando è gratuito, sei tu la merce. Può anche essere vero. Bisogna però aggiungere che, se paghi, sei ancora merce, una merce che vale di più.

Il commercio nell’era di internet è cambiato moltissimo. La pubblicità ancora di più. Il fatto che ognuno di noi possegga uno smartphone è il sogno di ogni venditore. Perché tramite quell’oggetto ogni nostro desiderio, ogni tentativo di recuperare informazioni, persino i nostri movimenti sono tracciati, schedati, e utilizzati contro di noi.

Dico “contro” in senso lato. La nostra consapevolezza di essere usati è ridotta o assente. Essere soggetti perennemente osservati viene a nostro vantaggio, ci imbonirebbe il venditore di prima, per poterci proporre nuovi e più interessanti aggeggi da acquistare che rispecchiano i nostri gusti. Il tracciamento delle attività, che associa quali pubblicità vediamo a cosa compriamo, risponde ad un vecchio interrogativo dei commercianti: “metà dei soldi che spendo in pubblicità è sprecato, il problema è che non so quale metà”.

Ormai non più, si sa: il tuo telefonino annota fedelmente le tue risposte alle offerte, esplicite o implicite che siano. Non è qualcosa a cui tu possa sfuggire: di fatto non c’è praticamente maniera di disattivare quest’occhio perennemente puntato su di te, a parte rinunciare a internet. Forse neanche in quel caso. Davvero credevate che bastasse andare nelle opzioni e dire no? Poveri illusi.
E’ una guerra dove non potete vincere. Potete solo scegliere se farvi tracciare consapevolmente o credere di non esserlo. Se Apple, o Google, vi vendono sistemi per neutralizzare gli sgraditi cookie di terze parti, è perché in tale maniera lasciano attivi solo i loro, eliminando la concorrenza. I muri del castello servono sì a difendere chi sta dentro, ma anche a non farlo uscire.

Dovete rassegnarvi, i padroni del web sanno dove siete e cosa fate più di vostra madre. Conoscono i vostri segreti sicuramente più di vostra moglie o marito; le vostre preferenze più di un amante.
Se qualcuno trovava il concetto di una divinità onniveggente inquietante, da fuggire, è servito. Con la differenza che qui non c’è un Dio benigno che ama gli uomini, ma un Sauron che li vuole sfruttare. Domare, con servizi e offerte mirate. Trovare, tramite geolocalizzazione. E nel buio incatenare, al riparo da ogni influenza che non sia lui stesso.
Sa tutto di voi.
Se ancora non usa appieno di quella conoscenza, è perché per lui non siete abbastanza importanti da rendervi coscienti del fatto che vi tiene in pugno. Per il momento, almeno.

Le stelle del secondo giorno

Sto invecchiando, è chiaro. Sarebbe grave l’alternativa. Per cominciare, non potrei più scrivervi post. D’altra parte, ieri non ho pubblicato niente. Lavoravo, le ore piccole stavano diventando grandi, l’ho posposto fino a dimenticarmene. La prima volta, o così mi piace credere, in diciassette-e-passa anni.

Mi consolo guardando l’immagine qui sotto. E’ la fotografia fatta dal nuovo telescopio orbitale Webb di una porzione di spazio. Le vedete quelle cosine gialline sfocate, e quelle rosse? Sono, quasi tutte, galassie. Più sono arrossate più sono lontane – si parla di centinaia e centinaia di milioni di anni luce, eh. Quella nebbiolina che le compone sono stelle, miliardi e miliardi, la cui luce in alcuni casi è stata emessa quando terra e cielo, qui da noi, erano ancora spogli di vita. Le stelle del secondo giorno, per dirla con la Genesi, certamente non del sesto. Le più luminose saranno già morte, spargendo le proprie viscere a fecondare nuovi astri.

Quindi, sto tranquillo. Un mio lettore ipotetico su uno di quei lontanissimi pianeti non si accorgerà del mio passo falso prima che tutta la nostra civiltà e io stesso e voi siamo da lungo tempo dimenticati. Da parte mia, per quel momento progetto – se il Signore vorrà – di vivere già nell’eternità. Non so se in quel futuro remoto continuerò il blog, quindi è probabile che avrò parecchio tempo libero. Chissà, magari quella galassia è un posto interessante da visitare.

La guerra è bella anche se fa male

La guerra è bella anche se fa male
De Gregori, “Generale”

Mi chiedo se lo stillicidio di filmati di guerra su internet e in televisione sia un poco l’equivalente di andare a vedere i gladiatori.
Si sa, era uno spettacolo molto gettonato. Si pagava per guardare gente che si scannava, il sangue sulla sabbia e le budella di fuori, e magari ci stava anche qualche supplizio.

Avevamo i reality show, ma non sono abbastanza violenti. Per fortuna che c’è la guerra a ipnotizzarci con carri armati che saltano per aria, i loro occupanti a bruciare all’interno, e poveretti dentro trincee mentre droni assassini tirano loro in testa granate.

Perché l’uomo è affascinato dalla violenza anche quando la nega a parole. Siamo delle scimmie omicide; guardare come si uccide il prossimo può tornare utile ed è sempre divertente.

Dio ha provato a cambiarci, ma la pace non è abbastanza coinvolgente. Dopo un po’ annoia, diciamocela tutta. E quindi andiamo in cerca della prossima clip di battaglie, possibilmente che si svolgano altrove. Di certi show meglio essere solo spettatori e non protagonisti.