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Pensavo le crociate
Mentre salivamo lentamente in silenzio dietro la croce, oggi pomeriggio, su per la mulattiera che conduce alla Sacra di S.Michele, abbiamo incrociato una coppia che scendeva. Camminando in sensi opposti mi sono trovato accanto a loro per appena un paio di secondi, giusto il tempo di sentire un frammento di cosa quel ragazzo stava dicendo alla sua compagna: “…Pensavo le crociate”. E lei rideva.
Anche i simpatici netturbini, giù in paese prima della partenza, e quel signore che portava a passeggio il cane e i nipotini sembravano genuinamente perplessi su cosa stessimo facendo in così tanti, lì, nel primo pomeriggio del venerdì prima di Pasqua. “Venerdì Santo” e “Via Crucis”, insieme a quelle che erano le basi della vita cristiana, sembrano ormai completamente spariti dall’orizzonte dell’esistenza comune. Si vive come se Dio non esistesse, e dire “non c’è più religione” non è un modo di dire. In chiesa ci si entra raramente, giusto quando muore un qualche parente.
So che si può vivere così, è facile dimenticarsi dell’orizzonte, o del cielo, se non si alza mai lo sguardo.
So che si può. Ma non riesco più a farlo. So che il cielo c’è, perché l’ho visto, e la vita senza di lui, senza un senso, mi va stretta. Perciò salgo quel sentiero, canto quei responsori, digiuno, rido con gli amici, prego. Perché il senso che cerco è in quella croce, e in tutto quello che viene dopo.
Buona Pasqua

Il sangue sulle mani
Leggevo poc’anzi un lungo articolo di John Waters su come si è giunti, in Irlanda, a introdurre l’aborto nonostante fosse specificato nella Costituzione il rispetto dei diritti fondamentali, compreso quello alla vita. Per riassumere, a un certo punto i giudici hanno deciso che il “popolo” se lo desiderava poteva cambiare anche la Costituzione infischiandosene della legge naturale e di quanto scritto. Ovvero che non esisteva alcuna legge che fosse intoccabile dall’uomo, nessuna verità che non potesse essere rovesciata con opportuni giri di parole. Se una cosa era scritta chiara, bastava cambiare il significato dei termini; anche se era evidente a tutti l’inganno, il potere era troppo forte per opporre la verità, fosse pure per salvare vite innocenti.
“In questo la Corte Suprema appariva negare la sua stessa funzione, che è proteggere il testo costituzionale e il suo significato in accordo con gli imprescrittibili diritti espressi in tale testo”
Perché stupirsi? Le leggi e la costituzione, irlandese, italiana o di qualsiasi altro paese, sono solo parole scritte dall’uomo. Per quanto belle e nobili non hanno valore se nessuno le protegge, esattamente come una fortezza dipende dai suoi difensori. L’uomo è misero e meschino oltre ogni dire, e difficilmente sfiderà chi è forte se ne ha svantaggio, se teme di perdere.
Basta guardare a ciò di cui stiamo facendo memoria in questi giorni, la Settimana Santa. Cristo era sicuramente innocente, non aveva fatto del male ad alcuno, anzi. La legge avrebbe dovuto proteggerlo. Ma aveva sfidato il potere, e il potere non prende bene le sfide. I popolani di Gerusalemme che urlano “Crocefiggilo” sempre più forte stanno chiedendo la morte di un uomo, non dobbiamo scordarlo. Esattamente come chi ha votato, brigato, proposto perché l’aborto fosse legale qui in Italia, in Irlanda, altrove. C’è un interesse ad ammazzare l’innocente, c’è chi urla perché sia messo a morte, e chi tace per viltà, opportunismo, quieto vivere, o semplicemente perché la questione non interessa. Vogliono ucciderlo? Avrà pure fatto qualcosa, fosse solo esistere. Dà fastidio.
Così i giudici sono anche accusatori, o se ne lavano le mani. La croce viene eretta, il condannato inchiodato, la morte arriva ed è tutto finito, normalità ristabilita, si può continuare a vivere come prima.
Ce ne vuole, però, per mandare via le macchie di sangue. O cancellare la consapevolezza che la giustizia è altro, il vero è altro e noi siamo tutti peccatori, noi che non eravamo sotto la croce ma a casa nostra, o in piazza davanti a Pilato, o al Sinedrio, opportunisti o complici. Ma chi potrà lavarci, chi ci potrà perdonare? Chi ci aiuterà a smettere di essere quello che siamo?
E se ci fosse chi lo potesse, noi, lo chiederemmo?

Perfettamente vuoto
Mentre lavoravo, oggi, ascoltavo la versione completa dell’Ufficio della Settimana Santa di Luis De Victoria (parte 1, parte 2). Colui che ha messo su la registrazione, eseguita da un coro di monaci e monache, ha lasciato scritto nelle note che
“Ricordiamo, però, che il canto gregoriano non è solo un’arte, è soprattutto una preghiera. Gli specialisti del canto gregoriano sentono subito quando sono i monaci ad interpretare questo canto o gli specialisti profani che cantano per l’arte ma non sentono l’interiorità spirituale ben presente nei monaci.”
Un commentatore ha risposto “ridicolo”. Mi si permetta di dissentire con quel commentatore. La mia esperienza di molti anni dice esattamente questo. Quante volte ho ascoltato cantanti professionisti di indubbio valore e tecnica sopraffina intonare canti sacri senza riuscire a passare un oncia di emozione, mentre voci molto meno addestrate ma consapevoli di quello che cantano ti lasciano con il cuore pieno.
Capire quello che si sta dicendo, desiderare di condividerne il significato, dà una profondità e un calore che neanche l’esecuzione più perfetta stilisticamente ma vuota di senso riesce a comunicare. E’ come un “Ti amo” detto dalla persona che veramente ama, all’opposto di qualcuno che recita quelle parole con l’animo arido.
Così anche i giorni che stiamo per vivere, il Giovedì e Venerdì Santo, la Pasqua, possono essere la ripetizione di riti magari anche accuratamente seguiti, ma vuoti di condivisione, di immedesimazione con quei fatti; solo frasi e gesti eseguiti per dovere o abitudine. Distaccati dalla vita, mentre sono il senso stesso dell’Universo e del nostro destino. La differenza c’è.

Noi, gli schiavi
Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.
Gv 8, 31-36
L’ho risentito anche oggi a messa: “La verità vi renderà liberi”.
Non è detto da nessuna parte che la libertà ci renderà veri.
Se la verità rende liberi, non scegliere la verità fa rimanere schiavi. Quindi chi opta per il male e la menzogna non è davvero libero.
Tutti quelli che ci raccontano menzogne, e quante ne sentiamo, lo fanno per imprigionarci. Comprese le “balle dette a fin di bene”. Una prigione buonista rimane una prigione, con sbarre e catene, fossero pure fatte d’oro.
Tutti coloro che cercano di annacquare Cristo, di allontanarci da Lui per propagandare verità alternative, che suggeriscono che essere liberi è fare ciò che si vuole, che essere fedeli alla Sua parola è troppo difficile e inadatto al mondo di oggi, tutti costoro vogliono allontanarci dalla verità e quindi dalla libertà. Perché Lui è via, verità e vita.
Talvolta ci illudiamo di essere liberi perché cittadini, perché adulti, perché uomini. Perché figli di Abramo, perché pensiamo di non essere schiavi e di non poterlo diventare. Oh, quanto poco abbiamo capito, quanto poco ci conosciamo, oppure quanto non vogliamo ammettere di noi stessi. Noi, gli schiavi.

Un filantropo pieno di compassione
Sul tema della filantropia, hanno portato alla mia attenzione un notevolissimo del compianto Arcivescovo bolognese Biffi che spiega davvero bene il punto.
Biffi commenta il famoso racconto dell’Anticristo di Soloviev, che trovate integralmente qui. L’Anticristo, una figura pubblica affascinante e carismatica, viene democraticamente eletto a capo del mondo. Nota Soloviev: “Il nuovo padrone della terra (l’Anticristo) era anzitutto un filantropo pieno di compassione“.
In quegli stessi anni in cui il filosofo scriveva la sua opera, Tolstoj proponeva una religione fatta di alti valori morali. Questi precetti, secondo Tolstoj, vengono certamente da Cristo, con qualche piccola rettifica, ma per essere validi non hanno affatto bisogno dell’esistenza attuale di Gesù Cristo, del Figlio del Dio vivente.
Dice Biffi:
Il cristianesimo ridotto a pura azione umanitaria nei vari campi dell’assistenza, della solidarietà, del filantropismo, della cultura; il messaggio evangelico identificato – guardate che sono tutte cose buone, che sono conseguenze, ma è l’identificazione che colpisce al cuore il cristianesimo – nell’impegno al dialogo tra i popoli e le religioni, nella ricerca del benessere e del progresso, nell’esortazione a rispettare la natura; la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità (cfr. 1 Tm 3, 15), verrà scambiata per un’organizzazione benefica, estetica, socializzatrice: questa è l’insidia mortale che oggi va profilandosi per la famiglia dei redenti dal sangue di Cristo. (…)
Anche se un cristianesimo «tolstojano» ci renderebbe molto più accettabili nei salotti, nelle aggregazioni sociali e politiche, nelle trasmissioni televisive, noi non possiamo e non dobbiamo rinunciare al cristianesimo di Gesù Cristo, che ha al suo centro lo «scandalo» della croce e la realtà sconvolgente della risurrezione del Signore. Gesù Cristo, il Figlio di Dio crocifisso e risorto, unico Salvatore dell’uomo, non è «traducibile» in una serie di buoni progetti e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità mondana dominante. (…)
Ci sono dei valori assoluti, o, come dicono i filosofi, trascendentali, quali sono ad esempio il vero, il bene e il bello. Chi li percepisce e li onora e li ama sente, percepisce, onora e ama Gesù Cristo anche se non lo sa, magari anche se si crede ateo, perché nell’essere profondo delle cose Cristo è la verità, è la giustizia, è la bellezza. Poi ci sono valori relativi, o categoriali, valori però, come il culto della solidarietà, l’amore per la pace, il rispetto per la natura, l’atteggiamento di dialogo, etc. Questi valori meritano un giudizio più articolato che preservi la riflessione da ogni ambiguità. Solidarietà, pace, natura, dialogo possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un approccio iniziale e informale a Cristo e al suo mistero. Ma se nell’attenzione dell’uomo questi valori si assolutizzano fino a svellersi del tutto dalla loro oggettiva radice, o peggio fino a contrapporsi, come il caso di Tolstoj, all’annuncio del fatto salvifico, allora diventano istigazione all’idolatria e ostacoli sulla strada della salvezza. Allo stesso modo nel cristiano questi stessi valori (solidarietà, pace, natura, dialogo) possono offrire preziosi impulsi all’inveramento di una totale e appassionata adesione a Gesù Signore dell’universo e della storia. Ma se il cristiano, per amore di apertura al mondo e di buon vicinato con tutti, quasi senza avvedersene, stempera sostanzialmente il fatto salvifico nell’esaltazione e nel conseguimento di questi traguardi secondari, allora egli si preclude la connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto, consuma a poco a poco il peccato di apostasia e si ritrova alla fine dalla parte dell’Anticristo.
Alle proposte dell’Anticristo di un cristianesimo senza Cristo risponde, nel racconto, lo starets Giovanni:
Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da lui, giacché noi sappiamo che in lui dimora corporalmente la pienezza della Divinità
Se noi non replicassimo allo stesso modo alle lusinghe del mondo, che cristiani saremmo?

Qui il completo intervento di Biffi:
Qui il testo dell’intervento
Una passeggiata nella bellezza
Qualche sera fa, in tre orette scarse,
Ho assistito a una messa cantata, partecipata, con una splendida omelia che mi ha sollevato il cuore
Ho capito, con il cuore e non con il sentimento o il preconcetto, cosa davvero serva la liturgia
Ho conversato con un vescovo e dei sacerdoti che davvero amano Cristo e quindi la sua Chiesa
Ho ascoltato di opere di misericordia a me quasi sconosciute (nonostante siano non distanti da dove abito), e racconti edificanti di santi preti
Ho visto tre suore giovani e belle cantare le lodi del Signore e adorare in ginocchio
Sono stato testimone dello splendore e la bellezza, in edifici e manufatti, che abbiamo ereditato da un tempo in cui a Dio si dava tutto.
Ho ritrovato amici vecchi e nuovi, belle famiglie, tutti con la loro croce e i loro problemi, ma uniti da uno slancio e una gioia che altrove non si trova.
Il nostro guaio, amici cristiani, è che non conosciamo il tesoro che portiamo. Ce ne dimentichiamo, lo ignoriamo, quando dovrebbe essere il nostro più grande vanto, la nostra unica speranza.

Demoni, animali e uomini
Ho discusso, nei giorni scorsi, con un lettore che non trovava corretto quanto scritto qui a fianco nella descrizione di “Berlicche”: cioè che “i diavoli CREDONO in Dio“. Il suo appropriato argomento era che “più che crederCi come opinione personale, sanno che Lui esiste come dato di fatto“.
E’ così, ne hanno esperienza, almeno per quanto ne sappiamo, così asserisce il Vangelo.
In realtà la frase è una citazione, Giacomo 2,19. “Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano!“
Ora, la piglio un poco larga. Non so se avete mai visto quel film di ormai ben quarantacinque fa, “Animal House“, regia di John Landis, che aveva tra i protagonisti anche uno strepitoso John Belushi. E’ un po’ scollacciato, ma con un piglio che le pellicole successive ambientate nel chiassoso mondo delle confraternite universitarie americane non riuscirono mai a imitare. Narra le vicende di un gruppo di studenti goliardi degli anni ’60, dediti a ogni vizio possibile, in lotta con la rigida direzione del college. Certe sequenze sono davvero leggendarie.
Ne ho riviste alcune scene qualche giorno fa, e mi è venuto in mente che oggi forse si considera Dio un po’ come in quel film i simpatici dissoluti consideravano il rettore: un despota che ti mette sotto doppio controllo segreto, vorrebbe impedirti di portare a letto figlie e mogli altrui e magari pretende pure che tu studi.
Anche gli studenti della confraternita Delta certo non mettevano in dubbio l’esistenza del rettore, ne avevano esperienza, ma non avevano nessuna intenzione di adeguarsi.
E’ in base a questa falsa idea che si fugge Dio, o lo si ignora; quando forse il Suo desiderio sarebbe semplicemente che tutti cercassero il meglio per se stessi (che probabilmente non include toga party).
Certo, da giovane tenevo per i simpatici fuori di testa, lontani anni luce dall’odierno politicamente corretto e per molti versi più sani delle loro controparti moraleggianti. Avevano però davvero ragione quelli dell’Animal House, o erano una manica di perdenti perditempo smarriti sulla via del vizio? Se non è una morale staccata dalla vita la soluzione, non lo è neanche una vita staccata dalla morale. No, non siamo noi stessi a decidere cos’è il bene, possiamo solo limitarci a sceglierlo oppure no. Decidere se essere uomini o animali.
Come per i demoni, non basta credere all’esistenza di qualcosa, o Qualcuno, perché se non ci cambia è come se per noi non esistesse. Se quel Qualcuno è chi ci fa, che dà senso e sostanza alla vita, la fonte ultima di ogni bellezza e ogni verità, la forma stessa dell’amore, ignorarlo sarebbe davvero un brutto errore.

Brigida la tosta
Il primo febbraio è la festa di Santa Brigida, una santa irlandese del quinto secolo. Come per il conterraneo e contemporaneo San Patrizio di lei si sa poco di storicamente certo, non sono molti i documenti sopravvissuti di quell’epoca; un gran numero di leggende e miracoli e tradizioni, come le croci di Santa Brigida fatte intrecciando i vimini, in compenso. Morì attorno al 524; si conosce la sua probabile famiglia, i Fothairt, e l’area di nascita, il Kildare. Sappiamo che beneficò molto i poveri e i sofferenti e che fondò monasteri, monasteri sono stati per un millennio tra le più influenti istituzioni dell’isola. Ci sono pochi dubbi che l’abbia fatto veramente: in quella società ancora fortemente pagana le donne erano totalmente assoggettate al loro parente maschile più prossimo, non potevano possedere beni né testimoniare in tribunale, come gli schiavi, i minori e i pazzi. Ma di fronte alle formidabili badesse nel medioevo anche i vescovi dovevano cedere il passo.
Quando si è trattato di istituzionalizzare la festa dedicata alla santa, però, l’Irlanda ormai scristianizzata le ha preferito qualcun altro. Nel clima inclusivo si voleva comunque dedicare un giorno festivo a una donna, così alla santa è stata sostituita una dea celtica, Brigit.
Ora, di Brigit si sa molto meno che di Santa Brigida. La prima volta che la divinità viene nominata è in un trattato scritto intorno all’anno mille, quindi cinque secoli dopo. Non è neanche certo che quegli autori non si siano inventati tutto; se era venerata una dea di nome Brigantia nell’Inghilterra preromana, attestata in alcune iscrizioni, non sono mai state rinvenute testimonianze dirette della sua quasi omonima irlandese né se abbia mai avuto un culto. Qualche vago accenno, e tanto basta per costruirci sopra mitologie.
Però, capiteli anche questi poveretti: pur di far dimenticare la tosta Brigida, cattolica e pure santa, qualcosa dovevano pur tirare fuori. Sostengono che i cristiani abbiano usurpato le feste pagane; potrebbe essere anche in parte vero, non lo sappiamo, ma ciò che è certo è che i nuovi pagani al potere stanno usurpando e cancellando feste cristiane vive dopo 1500 anni.
Massì, lasciamoli pure fare sacrifici a questa mitica divinità che, poveretta, non deve essere molto efficiente se di essa si era persa la memoria. Che la invochino per ottenere felicità e prosperità; e di quelle arrivi loro tutto quello che l’antica dea è in grado di concedere.

Vergine e martire
Se avete presente un minimo il calendario, se avete girato un po’ l’Italia dei vecchi paesi, e se magari avete anche qualche ricordo del catechismo antico, probabilmente avete un’idea del gran numero di martiri che la Chiesa ricorda nei primi secoli.
Forse non ci avete fatto caso ma spesso, per quelli di sesso femminile, la dicitura è “vergine e martire”. Perché dare tanta importanza alla verginità? Perché, a quei tempi, era normale abusare dei deboli, cioè donne, bambini e schiavi. Il cristianesimo rifiuta questo modo di pensare, e la reazione da parte di chi ha la forza e il potere è atroce. Fino alla morte di chi si oppone; un rifiuto dato non per proteggere una condizione fisica, ma per sottrarsi alla profanazione dello spirito, prima che a quella del corpo. La verginità significa non essersi piegati all’antica concezione di uomo, cioè lo sfruttamento della persona.
Una mentalità che non è solo di quei tempi. Dieci secoli più tardi, a San Tommaso d’Aquino fu fatta trovare in stanza dai fratelli una donna nuda e disponibile, per distoglierlo da quel cammino che aveva scelto (lui la cacciò con un attizzatoio, pare). Più recentemente, non sono passati duecento anni da che Carlo Lwanga fu martirizzato per essersi rifiutato di concedersi al proprio re.
Oggi avrebbe ancora luogo quel loro martirio? Da ogni dove arriva l’invito ad essere sessualmente attivi, come fosse piccola cosa, e pare che la verginità sia un peso di cui liberarsi al più presto. Nell’immaginario non si tratta più di una virtù, ma una sorta di depravazione. Non dissimilmente la pensavano quegli antichi di venti secoli fa dei primi cristiani, come i testi dell’epoca ci ricordano. Con la differenza che oggi è richiesto sia volontario ciò che allora era spesso forzato; per adesso, almeno. Ma, in fondo, sempre di sfruttamento per il proprio piacere si tratta, anche se reciproco.
Chi oggi ancora predica la verginità, o anche solo la castità? Sembra ormai impossibile parlarne. Anche dentro la Chiesa edificata su quei martiri e che chiama sacramento il matrimonio c’è chi è più che propenso a dichiarare accettabili non solo i rapporti fisici senza vincolo e promessa definitiva, ma anche quelli occasionali e persino quelli che un tempo si chiamavano contro natura.
E’ sempre amore, no?
No.

Riconoscere
Qualche anno fa siamo stati colpiti dall’alluvione. Quella volta ho passato ventiquattr’ore filate a spalare acqua.
Perché l’ho fatto? Perché sono contro il cambiamento climatico? Contro la cementificazione? Perché l’ordine e la pulizia siano mantenute? Per mostrare a tutti i miei muscoli guizzanti da uomo vero?
No di certo. Amo la mia famiglia, e di conseguenza casa mia. Non è una preoccupazione morale. Non è un impegno. Non l’ho fatto per dovere.
Non sarà un’astratta legge morale a salvare il mondo, ma un’incarnazione: il bello, il vero, il giusto che si fanno carne, si fanno incontrabili. Qualcosa che c’è prima delle mie preoccupazioni, dei miei dubbi e desideri, di tutte le filosofie e i ragionamenti. Prima, non al loro posto. Solo in questa maniera le mie preoccupazioni trovano riposo, i miei dubbi risposta, i miei desideri soddisfazione, le filosofie fondamento, i ragionamenti sostanza.
Non per un mio sforzo, ma come un fatto che rende possibile ciò che con le nostre forze non sembra realizzabile. Semplicemente riconoscendolo. Amandolo.
In fondo essere salvati vuol dire questo. Questa è l’Epifania, Dio-con-noi.

Tre parole
Mi ricordo che, quando annunciarono il suo nome dal balcone di piazza S.Pietro io, tra sguardi perplessi, saltavo su e giù come un grillo per la gioia.
Benedetto è stato il “mio” Papa, più di Giovanni Paolo II, un santo che ammiro tantissimo; Ratzinger è stato un Papa secondo il mio cuore, chiarissimo nell’eloquio, nella scrittura e nel ragionamento che li guida, un’umanità immensa su un intelletto straordinario, innamorato di Cristo.
Forse non dovrei, ma mi fanno un po’ ribollire vedere coloro che lo hanno attaccato e appassionatamente odiato in vita, che hanno negato ciò che lui diceva e ciò in cui credeva, che hanno cercato e cercano in ogni modo di distruggere la memoria e l’eredità che lui ha lasciato, tesserne le lodi con lingua maligna. Ho ascoltato certi distillati di veleno e falsità, in questi giorni, da far cadere stecchiti interi nidi di cobra.
Ovviamente quel suo intrecciare fede e ragione dava fastidio. Una presenza nascosta ma ingombrante, che non si lasciava usare per certi giochetti, ma che ora è fatalmente alla mercé di chiunque voglia impossessarsene. Quanto è basso e quant’è alto il cuore dell’uomo.
Bruciano le sue ultime parole, le stesse di Pietro quella mattina di venti secoli fa sulle rive del lago di Cafarnao: “Signore, ti amo”. Nel suo caso, indubitabilmente vere. Le parole che fanno di un Papa un Papa. E’ questo il nucleo ultimo dell’essere cristiano, non l’inseguire questo o quell’aspetto, quell’ideologia, quel sentimento. Sono le tre parole che mandano al macero biblioteche intere di disquisizioni variamente dotte o blasfeme, infiniti articoli e commenti, ragionamenti e deduzioni che impietosamente invecchiano e muoiono. Quelle tre parole che il potere non è in grado di impedire, di controllare, di fare sue.
Quelle parole che dovrebbero essere sempre la sola cosa che dovremmo dire e dovremmo dimostrare, in ogni nostro discorso, azione, post.
Noi uomini che qui rimaniamo, per il tempo che ci è dato, appositamente per questo.

Se l’abbiamo mai creduto
Quando siamo coinvolti in un confronto spesso noi pensiamo che in caso di nostra sconfitta l’avversario si fermerà. Che si accontenterà di quanto ha ottenuto, di quanto diceva di volere ottenere, e non spingerà ancora più in là le sue pretese. Che avrà pietà di noi. Che non ci distruggerà.
Oh, illusione. Noi cristiani siamo dalla parte dell’unico che ha davvero pietà e misericordia. Chi si oppone, beh, si oppone anche a quelle. Non saremo risparmiati, non più di quanto fu risparmiato Cristo.
Pensavamo che il mondo che avevamo faticosamente costruito andasse bene, ai più. Che ciò che avevamo ottenuto potesse bastare, perché è ciò che è più conveniente per l’uomo. Che la bellezza, la giustizia, la verità che avevamo fatto rifulgere fossero un risultato che nessuno si sarebbe sognato di mettere in discussione. Anche qui, illusi. Le nostre conquiste sono state smontate, distrutte, oltraggiate. Il grido di chi vuole ciò che è ingiusto risuona più forte dei lamenti dei deboli.
“Cosa te ne importa a te se fanno così? E’ la loro libertà, non tocca mica la tua”. Quante volte me lo sono sentito dire, anni addietro. Quegli stessi ora tacciono, non so se soddisfatti, sbigottiti o dimentichi. Ora vieni imprigionato se osi chiamare qualcuno con il pronome indesiderato, o se preghi silenziosamente, se ti opponi alla morte o se pensi di proteggere i tuoi figli dall’indottrinamento che li uccide nel corpo e nell’anima. Sei additato come pericoloso, e lo sei veramente, perché i potenti non possono sopportare quando il vero si scontra con la loro menzogna. La libertà senza verità è ciò di cui sta morendo il nostro tempo.
Ma qual è la causa ultima di tutto ciò? Com’è stato possibile? Ve lo dirò: abbiamo perduto la fede.
Non crediamo più che il bene possa vincere (se l’abbiamo mai creduto). Non crediamo più che ci sia una verità dalla quale non ci si deve distaccare, fosse anche sacrificando la propria vita (se l’abbiamo mai creduto). In una parola, non crediamo più in Dio (se l’abbiamo mai creduto). Oh, sì, magari crediamo in un dio nebuloso, lassù, soddisfatto dai riti, incapace di muovere il mondo e renderci felici. Come dire, nessun Dio,
Abbiamo perduto la fede: scettici, stanchi, delusi. Umani.
Proprio come tutti gli altri uomini, in ogni tempo. E’ per questo che Dio si è scomodato a venire da noi carnalmente, a farsi trovare, a nascere e morire. Perché la nostra fede si poggiasse su qualcosa che non sono idee, ma carne.
Neanche i suoi discepoli avevano molta fede. Forse ancora meno di noi (se ce l’abbiamo).
Com’è che si acquista, questa fede? Non si trova sotto l’albero, non è possibile farsela recapitare da Amazon. Ci sono volti da guardare, fatti da guardare, sì, ci sono ancora. La fede ancora brilla in posti inattesi, come un profumo versato la cui fragranza continua ad aleggiare anche dopo che è stato ripulito. La si riconosce, volendo. Bisogna guardare, e vedere, e paragonare il nostro cuore con quello che abbiamo veduto, in maniera che possiamo credere a ciò che non abbiamo veduto. Non saranno le circostanze a vincere. Non sarà ciò che è male, malgrado l’apparenza: che è appunto apparenza, e non sostanza.
In fondo è questo il Natale, quello vero. L’annuncio di una vittoria, per chi ci ha creduto.

L’attesa
Ieri sera il concerto natalizio in cui cantavo si è aperto sulle note di “Povera voce“. Oggi abbiamo saputo che l’anima della sua autrice, Adriana Mascagni, proprio ieri è salita a colorarsi al sole dell’amore del padre, come chiedeva in un’altra sua celebre canzone.
Mi rimane indelebile il ricordo di lei che ci invitava a non interpretare quel suo canto più famoso in maniera cupa e mesta, come talvolta avveniva. “La nostra voce è povera solo se perde il senso. Ma a noi quel perché è stato rivelato, quindi dobbiamo essere gioiosi e intrepidi nell’annunciarlo a tutti”.
Da quando udii quel suo insegnamento quella è una strofa che canto sempre a bocca spalancata, trionfante, ridendo, perché la vita c’è, anche quando sembra quasi spenta, o assopita.
In un momento in cui le voci della speranza, della fede e della carità sono sempre più flebili, derise, ostacolate in ogni modo, dobbiamo continuare a cantare di quel perché. Non per un volontarismo, non per abitudine o morale. Ma perché siamo fatti di esso, anche se talvolta possiamo dimenticarlo. Noi possiamo tradire mille volte, ma lui non ci tradirà mai. Che il nostro canto si levi in questo silenzio. In questa attesa.

La fallacia del vero Spartaco
Marco Licinio Crasso contemplò i prigionieri che, sotto l’occhio vigile dei suoi legionari, giacevano accasciati al suolo dopo la battaglia. Il sogno del gladiatore Spartaco e dei suoi ribelli, dopo molte vittorie, si era alla fine infranto contro l’esercito romano. Una sola cosa mancava ancora: Spartaco stesso. La sua punizione sarebbe stata esemplare.
Il centurione si fece avanti, e parlò agli sconfitti ad alta voce. “Il vostro padrone, Crasso, vi annuncia che le vostre vite saranno risparmiate, se indicherete la persona o il corpo di Spartaco”. Ma i sopravvissuti si alzarono ritti in piedi e orgogliosamente lo sfidarono. “Io sono Spartaco”, ripeterono uno dopo l’altro. Non l’avrebbero consegnato!
Crasso, furente, scosse la testa. “Come, come? Abbiamo qui migliaia di schiavi che dicono di essere Spartaco; è impossibile trovarlo”. Stese la mano verso il centurione. “E sia. Visto che non è possibile capire chi sia Spartaco, nessuno lo è. Spartaco non esiste. In nome della diversità, tolleranza e inclusione liberate i prigionieri, ce ne torniamo a Roma”.
Le cose sono andate un po’ diversamente, purtroppo per Spartaco e i suoi. Quei prigionieri furono crocefissi lungo la strada tra Capua e Roma. Ma, si sa, i romani di un tempo erano gente logica. Fin troppo.
Se Crasso fosse stato davvero convinto dell’irrealtà di un uomo con quel nome, sarebbe stato un fesso. Eppure ci sono molti che sostengono che, siccome in certi argomenti non è possibile stabilire immediatamente la verità, allora la verità non esiste. Il solo vero Spartaco non esiste. Occupiamoci d’altro.
Non è che se non riusciamo a capire subito dove sta il vero sia inutile cercarlo. Può darsi che, investigando più attentamente, stando attenti ai fatti, all’esperienza, con la ragione riusciamo a risalire la collina oltre le nebbie del dubbio. Magari mancherà la prova definitiva, la certezza assoluta, ma ci saranno molti indizi che la indicheranno. Il salto finale si chiama fede, quando da quegli indizi ricaviamo una convinzione.
Settant’anni dopo quell’ultima disastrosa battaglia, in un’altra parte dell’Impero è nato un condottiero diverso, che non regna con la forza delle armi ma cambiando i cuori. E’ la nascita che tra poco ricorderemo nel Natale. Ci sono tanti déi al mondo, ma c’è un unico Cristo, così come c’era un unico Spartaco nonostante fossero in tanti ad affermare di esserlo. La crocefissione di Spartaco era la fine di un’avventura; quella di Cristo il suo inizio.

Relazioni
E’ una questione di relazioni.
Voi pensate che le relazioni tre padre e figlio, tra marito e moglie, tra padrone e dipendente siano sempre state come adesso? No, proprio no.
Prendete anche solo gli antichi romani, la civiltà dietro il nostro angolo della storia.
Si potevano ammazzare i bambini appena nati. Accidenti, i padri potevano ammazzare i figli fino alla loro adolescenza. I bambini erano protetti fintanto che erano in famiglie di cittadini romani, al di fuori erano preda. La sessualità era intesa in modo ben diverso da oggi: per il maschio romano non era strano o degradante possedere carnalmente gli inferiori, fossero maschi, femmine o bambini. Essere posseduto, quello sì che non andava. Per il sesso c’erano gli schiavi a completa disposizione e la prostituzione. I resti di schiavi rinvenuti mostrano segni di ogni genere di sevizia e lavoro in quantità da schiantare, sia in adulti che nei piccoli. Il povero era in completa balia del ricco e del potente, che poteva letteralmente disporre della sua vita. Oh, sì, talvolta le leggi mettevano i bastoni tra le ruote, ma non era poi difficile aggirarle. Non si poteva esercitare la pena capitale sulle ragazze vergini? Nessun problema, bastava stuprarle prima. Se mi dai fastidio ti accuso, mi compro i giudici, ti faccio condannare. Non è neanche detto che le accuse siano false.
Le relazioni, in definitiva, erano determinate dai tre antichi dei: denaro, lussuria, potere. In altre parole, il dominio del più forte. Nient’altro contava, nella realtà.
Questo accadeva duemila anni fa, e non c’era via d’uscita. Non si vedeva via d’uscita a questa situazione. Forse qualche spirito forte, qualche filosofo, poteva estraniarsi dal suo tempo. Ma perché poi? In nome di cosa? E per quanto?
Duemila anni fa, alla periferia dell’Impero, in una terra martoriata e crudele, nasceva un uomo, destinato qualche tempo dopo a morire in uno dei modi orrendi che il potere riservava a quanti osavano sfidarlo: la crocefissione.
Potete anche non credere a Lui, alla sua pretesa di essere Dio: ma da quel momento, i rapporti sono cambiati. E’ emersa la possibilità di una relazione nuova, dove il figlio non è proprietà del padre o dello stato o del potente di turno. Dove la moglie può stare alla pari con il marito, con un amore e una libertà prima impensabili. Dove, se pure uno è schiavo, è fratello del suo padrone, e viceversa. Dove non puoi fare tutto che vuoi perché sei più forte. Dove il denaro non conta, il sesso non conta, il potere non conta, perché si è tutti figli dello stesso padre. Impensabile in precedenza; certamente non realizzabile. Non dagli uomini, da noi uomini.
Certo, il mondo non è cambiato tutto di colpo. L’eco di quella nascita, le sue onde nel mare nero della storia si stanno ancora diffondendo, stanno raggiungendo luoghi dove rimane vero tutto ciò che abbiamo decritto all’inizio. A volte pare che qualcuno rimpianga i giorni di un’altra era, dove i rapporti tra le persone erano conquista e dominio, e faccia di tutto per tornare laggiù, a quel potere senza limiti.
Ma a noi è nato un bambino, e le relazioni non saranno mai più le stesse. Sta a noi fare in modo che siano così, giorno dopo giorno.
Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.
(Gal 3, 26-28)

Una voce nel tempo
Sapete cos’è il senso religioso? E’ la prima caratteristica dell’umano: la percezione che esiste di qualcosa di più grande di noi, che ci spinge a cercare di trovarlo.
E’ anche il titolo del più famoso libro di don Luigi Giussani, nato dalle lezioni che teneva alle sue classi liceali prima e universitarie poi. Per chi non lo sapesse Giussani è anche il fondatore di Comunione e Liberazione. Quel suo approccio a Dio, estremamente concreto e fondato sull’esperienza di ognuno di noi, ha profondamente influenzato la Chiesa della fine del secolo scorso, in qualche maniera salvandola da una deriva spiritualistica da un lato e materialistica dall’altro. Proprio il fatto che questi due grandi errori abbiano riacquistato forza nel mondo in cui viviamo dovrebbe stimolarci a riprendere quest’opera con il suo unico approccio al reale. Insegna non concetti, ma un metodo.
Cosa c’è di meglio che leggere il libro? Ascoltare quelle stesse parole dalla viva voce di don Giussani. Alcune di quelle sue lezioni sono state da pochissimo pubblicate in podcast e, devo dire, sono impressionanti. Anch’io che avevo ascoltato quella sua parlata impetuosa dal vivo stavo ormai dimenticando, dopo tanti anni, quanta forza avesse. E’ come se i concetti acquistassero tridimensionalità, se l’oggetto del ritratto uscisse dalla cornice e prendesse vita. Una cosa è leggere di un episodio accaduto, un altro è sentirlo raccontare dalla bocca del protagonista. Non si può fingere una simile passione, passione per l’umano, passione per il divino. Il contrario della distaccata indifferenza di troppi.
Al termine si rimane scossi e quasi perplessi. Legge un brano di Carrell che parrebbe riferirsi all’oggi, ma è stato scritto un secolo fa; dalle lezioni stesse sono passati quasi cinquant’anni, ma è come se fossero state registrate questa mattina. Ci pare dire che l’uomo rimane lo stesso, anche se i tempi cambiano; che il cuore non muta e gli errori sono sempre quelli, con altro nome magari ma perfettamente riconoscibili. Si capisce davvero cosa ci abbiano visto tanti in lui; quanto di lui abbiamo dimenticato.
Fatevi un favore, anzi, un regalo enorme: ascoltatelo.

Dio a domicilio
Argomentavo nel post di ieri che non è il poter correre più veloce, o il vivere più a lungo, che cambierà la natura dell’uomo. Noi siamo come razza sostanzialmente immutati da migliaia di anni, fin dall’inizio della storia e probabilmente anche da prima, attirati dai medesimi desideri, dagli stessi piaceri e dalle stesse gioie.
Lo si può vedere dagli dei che sono stati adorati, e talvolta ancora lo sono, in tutto il mondo. Sono quasi sempre sovrapponibili l’uno all’altro, diversi nomi per esseri simili salvo nelle sfumature.
Gli dei cannibali che pretendevano il sacrificio di bambini innocenti preso i Fenici non sono poi così differenti da quelli che hanno infestato il Messico fino all’arrivo degli Spagnoli. Nel pantheon romano trovavano posto senza grosse difficoltà le divinità dei popoli conquistati, con appena minimi adattamenti.
Di queste convergenze possiamo dare tre spiegazioni distinte.
La prima è che tutte queste teogonie non siano che i riflessi di un’unica religione primigenia, che si è distinta e frammentata con l’espandersi della civiltà umana nel globo, in modo non differente da quello che deve essere accaduto con il linguaggio o con i tratti genetici.
La seconda è che gli dei si assomiglino perché sono personificazione degli stessi impulsi comuni dall’equatore al polo; vizi e virtù fatti entità da ingraziarsi e venerare.
La terza, che esistano davvero degli esseri con poteri non di questo mondo che si nascondano dietro maschere divine. Per la tradizione cristiana sono demoni, o forse quegli angeli che rifiutarono di schierarsi nella grande guerra celeste; comunque esseri che sanno come sfruttare le debolezze umane ai loro scopi.
Miti, realtà nascosta o personificazione di sogni, rimane il fatto che gli esseri umani si sono riforniti al supermercato delle religioni fin dal principio, acquistando il prodotto che più si confaceva al loro temperamento e alla società in cui vivevano. Esiste un solo caso, in tutta la storia, in cui non sia stato l’uomo a cercare il dio che più gli stava a genio ma Dio sia sceso a offrirsi al suo popolo, facendosi uomo lui stesso. Un Dio a domicilio. Che addirittura muore, non assassinato per qualche bega tra le divinità, ma per salvare quelli che chiama amici e fratelli. Quegli irritanti, cattivi, disperati uomini, sempre uguali a loro stessi, che mai non cambieranno, salvo che da quel Dio si lascino cambiare.

Mi manca
Mi ricordo quando giunse la notizia che attendevamo e temevamo da giorni. Don Berna era morto.
Per parecchio tempo dopo quel momento mi sembrò talvolta di vederlo in giro, con la sua caratteristica pelata. Erano solo persone che gli somigliavano, naturalmente. Ma quelle brevi allucinazioni erano un segno di quanto mi mancasse. E ancora mi manca, dopo venticinque anni.
Il mio essere ancora cristiano è dovuto all’opera di parecchie persone. Sicuramente lui è una di queste. La dottrina della comunione dei santi ci dice che coloro che hanno abbandonato questo mondo ancora partecipano con noi in unità. E’ vero, ma ci sarebbe proprio bisogno adesso, in questo luogo e questo tempo, della sua ruvida grandezza.
Tocca a noi, che siamo rimasti qui, portare avanti l’opera, lo so bene. Quella bellezza che ci aiutava a trovare, nella musica o nel cielo stellato della sua chiesa, nel mio piccolo cerco di comunicarla.
Però mi manca.

I tempi che ci tocca vivere
Lo premetto subito, non sono stato a Roma per il centenario di Don Giussani. Ho pensato molto se andare o non andare. Al di là degli oggettivi problemi logistici, quello che mi ha frenato è stata un’amara considerazione su me stesso. Ero sicuro che stare con gli altri, laggiù, sarebbe stato fantastico. L’ho vissuto molte molte volte; credo che siano più di una decina i soli viaggi “in giornata” che ho compiuto a San Pietro. Ma avevo timore. Timore che sarebbe stato come l’ultima volta che il Papa aveva dato udienza al popolo di Comunione e Liberazione, sette anni fa, dove ero rimasto ferito e amareggiato. Capite bene, timore non dei rimproveri in sé, ma di come io avrei potuto prenderli. Non so se sarei riuscito a sopportarli.
Lo so, è un mio limite, è come sono fatto io. E’ uno sbaglio, un difetto nel carattere, se vogliamo anche un peccato. Mattonatemi quanto volete. Io cerco sempre di correggermi, ma probabilmente non prego abbastanza; certamente non prego abbastanza.
Ho seguito in televisione. Quando è finito il discorso del Papa, ho pensato: ha detto più o meno quello che mi attendevo dicesse.
Un po’ di bastonate. Don Gius è stato grande, ma adesso lasciate perdere, perché è un mondo nuovo. Ubbidite.
Poi mi sono chiesto: va bene, ma cosa davvero avrei voluto ascoltare? Come avrebbe potuto essere differente?
Ho ripensato alle volte con Giovanni Paolo II, con Benedetto, anche con il Gius. Che anche loro ci cazziavano, eccome. Patapim patapam. Ma erano sempre come i rimproveri di un padre che dopo sai che ti rimbocca le coperte. Quando parlavano, il discorso non era distaccato da quello che c’era stato prima, la festa, i canti, la compagnia, ma ne era in qualche maniera il punto più alto.
Ribadisco, forse si tratta di un mio limite o un mio preconcetto, ma qui ho avvertito ancora una volta una cesura, come se la Chiesa più che una madre fosse un’istitutrice. Non ho ritrovato lo stesso calore. Si ubbidisce da inquieti.
Mentre riflettevo su questo, mi è capitato di leggere un brano del vescovo Luigi Negri, uno dei primi del Movimento. L’ultimo capoverso mi ha fatto saltare sulla sedia.
“(…) La Chiesa è un mistero da adorare, da venerare. Un mistero che è santo e divino non perché i cristiani sono impeccabili, ma perché fondata dall’azione dello Spirito Santo. Per questo non può essere concepita semplicemente come una struttura da decostruire perché non è al passo con i tempi, ammesso e non concesso che i tempi e i cambiamenti siano sempre positivi; occorrerebbe, infatti, capire dove porta il cambiamento prima di affermarne la positività. Credo che, in un contesto come quello odierno, nel quale l’immagine diffusa della Chiesa è tornata a essere quella di una struttura da adeguare ai tempi, perciò da decostruire per ricostruirla secondo nuove prospettive rivoluzionarie, sia davvero fondamentale recuperare a pieno la lettura della Chiesa come un dato sacramentale compiuta in modo alquanto puntuale da Giussani.”
Sì, è ciò che cercavo.
E’ questo il senso con cui sono state pronunciate quelle parole a S.Pietro? Oggettivamente, non lo so. Ho visto fatti brutti, che mi fanno dubitare. Ma so per certo che questo è il modo in cui io le voglio vivere, che fa davvero assonanza con il mio cuore, che risuona come risuonavano con il Gius e Wojtyla e Ratzinger. Sono passati i giorni in cui ci si poteva nascondere. Questo è un tempo di prova, e la sfida è per ciascuno di noi. Io ci sono.

Mare d’odio
Guardate il livello di menzogna nel mondo. Guardate le persone dividere le uccisioni in ignobili e giustificabili.
Un’auto che corre davanti a una cortina di fuoco, finché non diventa fuoco anch’essa. Cadaveri putrefatti dentro un autobus sforacchiato. Pezzi di bambina sparsi per il parco, insieme a quelli della nonna. E ancora, una ragazza che aveva visto troppo, un bambino che ancora non aveva visto niente, e le vite spezzate dalle menzogne di chi ha dato loro veleno.
Ci sono persone che possono trovare giustificazioni perfettamente accettabili per ognuna di queste morti. A dirla tutta, ne leggo e ne ascolto ogni giorno.
E’ talvolta gente importante, famosa, magari celebre proprio in forza di quelle giustificazioni. Il male è generoso con chi lo segue.
Ogni volta che diamo l’assenso a una di queste morti, giustificandola con le nostre parole o con il nostro silenzio, innalziamo quel livello di menzogna. E’ un mare opaco e senza luce nel quale si può facilmente annegare.
Per questo io credo nell’unica barca che può navigare questo oceano di odio e di falsità e trarre in salvo i naufraghi. Per questo sono cristiano. Non c’è altro legno che si oppone alle onde di tenebra, che non le divide in accettabili e no. Il solo luogo in cui tutte le nostre menzogne, il nostro odio, il nostro essere assassini in atti, parole, omissioni non sono giustificati, non sono ignorati ma, se abbiamo la forza di pentircene, perdonati.

Ottimismo, pessimismo, realismo
Ottimismo e pessimismo sono trucchi della mente, sono ideologie non meno letali di altre. Gli ottimisti credono che tutto andrà bene a prescindere, i pessimisti che tutto va male, e continuerà ad andarci.
Ambedue le affermazioni sono profondamente anticristiane.
Ci sono libri della Bibbia che a una lettura superficiale sembrerebbero sposare le due opposte convinzioni.
Se per il Qoèlet
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità, tutto è vanità.
Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno
per cui fatica sotto il sole?
Il libro della Sapienza invece afferma:
(..) Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza;
le creature del mondo sono sane,
in esse non c’è veleno di morte,
né gli inferi regnano sulla terra,
perché la giustizia è immortale.
Se leggiamo bene, la posizione degli autori è ben più profonda. Non è negato il bene, non è negato il male. Tutto è riassunto nel libro di Giobbe: c’è un disegno oltre quelle che sembrano fortune, oltre quelle che paiono disgrazie.
Invece l’ottimista tende a dimenticare che il male è reale; il pessimista che l’amore di Dio è reale; ambedue scordano che esistono la redenzione e la salvezza.
Ciò che si dimentica raramente viene cercato. Ecco perché essere l’uno o l’altro è pericoloso.
Se prendiamo il Vangelo, al pessimista, Cristo indica che la compassione di Dio è più forte di tutti i fatti brutti della vita:
In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. (Lc 11,17-22)
Un esempio di ottimismo mal riposto è invece Pietro. Quando Cristo prende a dire che a Gerusalemme sarà crocefisso, lui lo prende in disparte e lo rimprovera. La reazione di Gesù è un aspro rimprovero:
Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». (Mc 8,32-33)
Sappiamo a Gerusalemme com’è finita. Il Calvario non è stata una passeggiata. E l’essere cristiano non lo è: quanti martiri, ieri e oggi.
L’essere ottimista o pessimista sono posizione umane. Il cristiano è realista: sa che ciò che l’attende è la croce, in una forma o nell’altra. Ma proprio attraverso quella tutto è guadagnato.

Cosa ascoltiamo oggi?
Ricevo la richiesta di compilare un certo questionario online, che arriva nientepopodimeno che dai vertici della Chiesa. I risultati saranno presentati al Papa stesso, mi dicono. Il titolo è “la Chiesa ascolta”.
Un certo scetticismo ce l’ho. Man mano che vado avanti nelle domande, il disagio cresce. Ma davvero questo l’hanno pensato dei sacerdoti? Sembra più affine ad un sondaggio di certi giornali laicisti. Prendiamo ad esempio la domanda su cosa dovrebbe concentrarsi la Chiesa oggi. Le possibilità sono quelle sotto.

A leggerle, appare evidente una cosa: nella testa di chi l’ha ideato, il mondo ha già vinto. Si adottano le stesse categorie di coloro che sono stati e sono i nemici del cattolicesimo, hanno brigato e brigano per distruggerla. Quando si adotta il linguaggio del nemico, vuole dire che si è persa la propria identità, i propri valori, i propri ideali.
Tra quelle possibili risposte non ne trovo una realmente cattolica. Cattolico vuol dire universale; tutte quelle scelte parlano di particolari, di circostanze, di specificità che spesso sono state usate a scopo strumentale per mettere in dubbio il cristianesimo.
Perché i “LGBTQ+”, la patacca linguistica inventata per giustificare le anomalie sessuali da sempre sul mercato, e non gli obesi, o i bulimici del sesso etero? Perché l’essere cristiani sul luogo di lavoro dovrebbe differire dall’esserlo sempre? Cos’hanno giornalisti e scienziati che ci si debba inchinare davanti? Perché portare avanti un’agenda femminista, o seguire una moda ambientale che è cinico calcolo di chi ci guadagna?
Tutte quelle scelte potrebbero essere sostituite da una sola: annunciare Cristo, desiderare Cristo, vivere in Cristo. Tutti, perché tutti possiamo, tutti ne abbiamo bisogno. Tutto il resto è, come direbbe qualcuno, il diavolo che parla.
La Chiesa Patriottica
La Chiesa Patriottica è la Chiesa per il progresso dell’uomo. La Chiesa Patriottica ha a cuore “il grande progetto di trasmettere lo spirito pastorale, onorare il Signore e beneficiare il popolo”, con l’intenzione di “guardare avanti” cercando la verità e il pragmatismo. La Chiesa Patriottica vuole unire e condurre il vasto numero dei cattolici a prendere come guida il pensiero politico del nostro Presidente, per una Nuova era; continuare a tenere alta la bandiera del patriottismo e dell’amore per la religione, seguire i principi dell’autogestione indipendente della Chiesa e dell’educazione democratica, aderire alla globalizzazione del cattolicesimo nel mondo, rafforzando vigorosamente la lotta alle pandemie e al cambiamento climatico.
O meglio, la Chiesa Patriottica qui da noi. Altrove, ad esempio in Cina, le parole possono essere qui e là lievemente differenti nel contenuto, ma non nella sostanza. Non c’è da stupirsi, o scandalizzarsi troppo. Ogni tempo e ogni luogo hanno avuto la loro Chiesa Patriottica. Quelle che hanno inneggiato alle varie riforme e alle diverse rivoluzioni, adeguandosi alle mode perché è così che si raggiunge la gente. Coloro che sono i servi del potere corrente, che cercano e offrono la salvezza nella concretezza di ciò che vuole il mondo e i suoi sovrani. Poco importa che questi sovrani abbiano il nome di un imperatore, di un presidente, o di una generica entità: popolo, socialismo, globalizzazione. E’ un potere estremamene astuto, dal volto temporaneamente benevolo, che offre molto di più per la vita di tutti i giorni di quanto possa fare chiunque altro. In termini sia positivi: ricchezza, successo, tranquillità, che negativi: se non ci adori, perderai il lavoro, la famiglia, gli amici; sarai un reietto, uno spostato, un pazzo. Pagherai con la vita.
E questo è esattamente il punto: pagare con la vita. Un punto che troppo spesso dimentichiamo. Un punto che troppo spesso ricordiamo, e quindi ben venga la Chiesa Patriottica, che ti fornisce tranquillità e quieto vivere, che ti promette salvezza qualunque cosa tu faccia, invece di quell’altra che tutto quello che ti sembra offrire è una croce. In cambio la Chiesa Patriottica chiede poco: l’obbedienza alla parola del giorno, invece che alla Parola che si è fatta carne. Che costa, in fondo, un applauso, un po’ di silenzio?
Serviamo quindi la Chiesa Patriottica, che ci fornisce l’illusione di non esserci venduti. Che risponde, a suo modo, alla domanda: “Qual vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?”
In fondo, a che serve l’anima a chi non la usa?
