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Dove va ‘sto mondo?

“Don Raffaele, guardi qui!”
“Cosa c’è, picciotto?”
Quel ragazzo stava troppo con il telefonino in mano. Non era sano, pensò Don Raffaele. Alla sua età io già giravo per i negozi a raccogliere il pizzo, altro che chattare con chissà chi.
Il giovane girò l’arnese maledetto in modo che anche lui potesse vedere lo schermo. “Qui c’è un cardinale, uno importante, che sta in America, o in Germania, non si capisce, che dice che a fare i ricchioni non si fa peccato, che si va lo stesso in Paradiso. Hai capito quello?”
“Umf”, fece Don Raffaele. “Quella roba da ricchioni è. Per me anche quello sta un poco di là, eh. Ma che ce ne viene annoi?”
“Don Raffaè, ci pensi bene. Se pure quelli sono salvati senza che debbano pentirsi di quello che fanno, così, pam!, allora lo stesso vale pure per noi”.
“Uè, non dire quella parola, pentito, che mi fa schifo anche solo a sentirla. A me però ‘sta storia mica mi torna. Che minchia stanno a fare i preti, allora? E tutti i ceri che accendo alla Madonna, che, me li posso risparmiare?”
“Ee-eh, ‘sto qua addice cussì. Che è-è la loro natura, mica c’hanno bisogno di cambiare, eppoi c’è la misericordia”.
“Che minchiata. Che magari c’ha ragione, in fondo noi siamo persone per bene, uomini d’onore, mica criminali. Quando sparo a qualcuno è la mia natura, ‘so un po’ Caino. E ci diciamo cussì al giudice, eh, vostro onore, tengo famiglia e c’ho la mia natura?” Ridacchiò. “La prossima volta che ammazzi qualcuno lo guardi negli occhi e gli dici ‘è la mia natura’, quello si caga sotto. Se mi va di metterla intu culo sì e mi va d’ammazzarti no? Macche sono ‘ste discriminazioni”.
“Don Raffaè, siete proprio una sagoma”, disse il ragazzone con tono ammirato.
“Eeeh. Ma dove minchia va ‘sto mondo, se neanche i preti fanno più i preti. Eh, mo’ siamo arrivati, tira fuori quel fetente dal bagagliaio”.

L’ultimo uomo libero

L’ultimo uomo libero stava spaccando la legna quando arrivarono. Se furono sorpresi di non riuscire a identificarlo con i loro scanner non lo diedero a vedere. D’altra parte sapevano bene chi stavano cercando.
L’uomo con l’ascia smise la sua attività per un attimo, poi scosse la testa e riprese il suo lavoro. “Addirittura”, disse, rivolgendosi al tronco.
Il gruppo di persone in divisa si allargò e fece passare i due che vestivano in borghese. “Davide Venzeran?” Domandò uno dei due.
“Sapete che lo sono”, rispose il boscaiolo senza interrompere l’alzare e abbassare della scure. Accennò con il mento alle scarpe di colui che aveva parlato. “Dev’essere stata dura arrivare fin qui sui sentieri con quelle scarpette da città”.
L’uomo in borgese fece una smorfia. In effetti i piedi gli facevano molto male, e si era anche procurato una storta, ma si riprese subito. “Ai sensi dell’articolo 153 comma due, siamo qui per l’inserimento obbligatorio del safety mark”, annunciò.
Davide li guardò per un attimo, poi riprese il suo lavoro con l’ascia. “Parlate la vostra lingua. E quella cosa ve la potete mettere su per il culo, non voglio quella roba dentro di me”.
“Come penso sappia, è diventato obbligatorio. Non sono più ammesse obiezioni, per la sicurezza sua, nostra e di tutto il paese”.
“No che non lo so. Non ho la televisione, qui. Neanche l’elettricità”.
“Il telefonino, internet…”
“Neanche quella roba lì. Qui proprio non prende, il telefono. Mi ci sono trasferito apposta”. Li guardò. “E’ da quando il telefono mi chiese se volevo sapere dov’ero stato nell’ultimo mese che sapevo sarebbe finita così. C’era la possibilità di farlo; ai potenti, coloro che controllano, conveniva farlo; è stato fatto. Al confronto, le polizie del pensiero comuniste di quando ero piccolo sembrano giochi da asilo. Ogni vostro atto viene monitorato, ogni vostro passo registrato, ogni vostra parola esaminata in cerca di male; almeno, quello che chi vi controlla pensa sia male. No, non lo sapevo della legge, ma sapevo che sarebbe successo prima o poi. Era inevitabile”. Il colpo d’ascia spaccò il tronco in due.
L’uomo in borghese si stava spazientendo. “Bene, adesso lo sa, la legge non ammette ignoranza. E’ obbligatorio da quasi due mesi”.
Venzeran sbuffò. “E’ un pezzo che è obbligatorio. Non puoi comprare, senza quello. Non puoi farti un documento, senza quello. Non puoi guidare, non puoi lavorare. Se non ce l’hai ti insultano. Certo che era obbligatorio anche prima, solo che adesso avete smesso di essere ipocriti. Safety delle mie balle. E’ un modo di controllarci tutti”.
“Signor Venzeran, non pensa che si viva meglio in un mondo dove si identificano subito i criminali, dove non sono possibili le truffe, dove è si riesce a rintracciare sempre una persona che si perde? Dove ogni transazione è facile e automatica? Dove non esistono problemi di sicurezza?”
“Dove chi comanda sa tutto quello che fai?”, ritorse Davide. “Dove non puoi esprimere un’opinione differente perché se no non puoi lavorare, o nutrirti, o curarti? Bel mondo, per i padroni, non certo per i poveracci come me. Andate via, lasciatemi stare. Qui coltivo quello di cui ho bisogno e non faccio male a nessuno. Andate via”.
“Se non avesse qualcosa da nascondere si lascerebbe marchiare. Lei è un egoista, ovviamente, vuole il crimine e il disordine. Perché una persona onesta dovrebbe avere problemi a far sapere dov’è e cosa dice, a meno che non abbia qualcosa da nascondere? Lei è sospetto, molto sospetto. Anzi, criminale. Nessuno vuole avere a che fare con lei. Neanche la sua famiglia”.
Venzeran ebbe un moto d’ira, ma si calmò, e riprese a spaccare legna in silenzio.
L’uomo in borghese si passò le mani sulla faccia. “Non pensa a sua moglie, alle sue figlie? Se ne sono andate perché non sopportavano più di vivere così. Con il mark potrà riabbracciarle”.
Venzeran non rispose.
“Le è chiaro che non possiamo permettere che qualcuno rimanga senza il safety mark? Senza di quello non possiamo sapere dove si trova, o lei dimostrare la sua identità. E’ come se non esistesse, se fosse invisibile”.
“Chiarissimo”.
“Allora, ai sensi della legge…”
Il taser colse Venzeran sul petto, e questi cadde a terra. Quattro carabinieri lo tennero fermo mentre il secondo uomo in borghese si avvicinava con il marchiatore e, velocemente, inseriva il mark nella mano destra del ribelle. Compiuta l’operazione, i militari e il somministratore si ritirarono velocemente, lasciando Davide al suolo. Dopo qualche istante, questi si rimise seduto per terra e si fissò attonito il punto dove era stato iniettato il microchip.
“Visto? Tutto fatto. Adesso, signor Venzeran, ci sarebbe la faccenda delle tasse…”
Con un ruggito, Venzeran afferrò l’ascia che gli era caduta e, prima che qualcuno potesse intervenire, posò la mano sul ceppo e calò la scure.
Rimase così, con il sangue che sfuggiva a zampilli dal moncone, in un silenzio attonito. L’arto reciso giaceva in mezzo alle schegge di legno come un osceno ragno.
“Non dovremmo arrestare l’emorragia, medicarlo, portarlo all’ospedale?” Chiese uno dei carabinieri. “Chi?” replicò l’uomo in borghese. “Io non vedo nessuno”.

Scegli il tuo dio

Mio Signore, (…) ci hai messi nelle mani dei nostri nemici, per aver noi dato gloria ai loro dèi.
Ester 4,17

Marco aprì gli occhi. Dove sono? Si chiese. Poi certo, si disse, sono morto.
Non aveva mai pensato molto al dopo. Anzi, non aveva mai pensato del tutto al dopo. Si era convinto di essere, in una certa maniera, immortale. Anche quando aveva capito che l’auto non sarebbe riuscita a frenare in tempo, il suo pensiero non era stato una preghiera, ma “che sfiga”.

Qualunque idea potesse avere avuto da vivo sul dopo morte, non era la sua attuale esperienza. Era immerso in una sorta di penombra nebbiosa, su una superfice liscia che svaniva in buia foschia dopo pochi passi. Non faceva né caldo né freddo. Non c’erano suoni. Era nudo. Il suo corpo sembrava reale, anzi, più reale di quello che aveva indossato… prima.

Ci mise qualche istante ad accorgersi del piccolo globo rosso luminoso che quietamente l’attendeva dietro le spalle.
“Marco Rezzini?”, disse una voce anonima e piatta che sembrava provenire dalla luce volante. Pareva la voce con cui, anni prima, la sua maestra faceva l’appello in classe. Lo stesso tono annoiato.
“Presente”, rispose suo malgrado.
“Lei è morto”, scandì la voce con il tono di chi ha ripetuto la stessa frase centocinque miliardi di volte. “E ora verrà giudicato per gli atti compiuti in vita. Prego, fornisca la sua fede preferenziale”
Marco deglutì. Possibile? “Cattolico”.
La luce divenne un poco più brillante. “Non corrisponde. Lei non ha mai consciamente compiuto un atto strettamente cattolico nella sua vita. Dichiarazione non valida”. Seguì una breve pausa, mentre Marco scendeva a patti con l’affermazione del globo luminoso. Non aveva tutti i torti. In chiesa c’era stato poche volte, solo per cerimonie di amici e parenti da cui non era riuscito a svicolare. Non ricordava di avere mai pregato. E trovava quello che dicevano i preti delle cazzate senza senso. Ora però doveva ammettere che, forse, un senso dopotutto ce l’avevano avuto.
“Ai sensi della disposizione 40\7167 sul libero arbitrio lei ha diritto a scegliere il metodo di giudizio. Dica uno se vuole rimanere al giudizio cattolico. Dica due se vuole cambiare religione. Dica tre se vuole professarsi ateo. Dica quattro se vuole parlare con un operatore”.
“Quattro”, esclamò Marco.
La luce commutò in giallo. “Qui è Seripindael, parlo dal Paradiso. Come posso aiutarla?”
“Se mi professo ateo, che accade?”
“Viene mandato immediatamente nel posto più lontano da Dio possibile, per rispettare la sua volontà”.
“E questo posto sarebbe?”
“Nella sua lingua credo venga chiamato inferno. Ha altre domande?”
Marco pensò. Inferno, meglio evitare. Il Dio cattolico probabilmente era incazzato con lui, che non l’aveva mai considerato, quindi stessa destinazione. Altre religioni? I musulmani non credevano in paradiso pieno di gnocca? Però a pensarci bene meglio di no, Allah era anche più stretto del Dio cristiano, probabilmente, e pure quelli avevano l’inferno. Budda? Aveva fatto yoga, forse poteva essere una scelta. O magari gli induisti, così poteva reincarnarsi… sì, in una mosca.
“Se scelgo un’altra religione…”
“Verrà giudicato in base ai dettami di quella fede e la sua anima trasferita nel luogo di elezione. Ha altre domande?”
Poteva fare un tentativo. “No, grazie”
La sfera tornò rossa. “Ai sensi della disposizione 40\7167 lei ha diritto a scegliere…”
“Due!”
“Ha deciso di scegliere un’altra religione. Dica uno per scegliere le divinità, entità o i sistemi filosofici che ha più seguito nella sua vita passata. Dica due per stabilire lei la religione di giudizio. Dica tre per tornare indietro”.
Più adeguati? Poteva essere un’idea! Se aveva seguito una divinità senza saperlo magari questa era soddisfatta di lui. Venere, magari. O Bacco. Poteva essere fortunato, dopotutto.
“Uno!”
“Ha scelto di venire giudicato secondo i dettami della o delle divinità, entità o sistemi filosofici più adeguati alla sua vita. Questa scelta è definitiva. Il giudizio comincerà immediatamente”. La sfera di luce sparì.
Appena oltre la nebbia, Marco percepì qualcosa di enorme, che prima non c’era. La foschia cominciò a dissiparsi, rivelando non una sola, ma tre ombre gigantesche che incombevano su di lui.
Quella di destra si fece un poco avanti, rivelandosi. Si vedeva a stento, ma sembrava una persona di mezza età, occhiali scuri, catene d’oro al collo e anelli alle dita, vestiti firmati. Alto dieci metri. Percepì che, al di là delle lenti, niente di umano lo stava guardando.
“Io sono Soldi”, disse.
Marco deglutì.
Il colosso rise, di una risata raschiante come diamanti sul vetro. “In altre epoche ho avuto nomi diversi, ma sempre Soldi sono. E sono soddisfatto di te. Mi hai sempre adorato. Non mi hai diviso con nessuno. Hai lavorato per me. Sì, mi sei piaciuto. Vieni pure nel mio paradiso”.
Trasse dal nulla un fascio di banconote e lo gettò in alto, come coriandoli.
Marco sentì nascere la speranza. Il paradiso dei soldi! Che figata! Vivere l’eternità nel lusso. Aveva fatto la scelta giusta.
Adesso si stava facendo avanti la seconda figura. Se la prima era stata umanoide, la seconda era… diversa. Era difficile distinguerla tra le nebbie, ma sembrava una donna il cui volto si trasformava in continuazione, i capelli cambiavano da lunghi a corti, di colore e foggia, e sul cui corpo fiorivano ogni genere di aperture sconce, di ogni foggia e dimensione. Sfinteri e vulve e bocche si aprivano e si chiudevano tra globi che potevano essere seni oppure glutei oppure testicoli, mentre sordide appendici tentacolari oscillavano come i raggi di un’oscena stella marina.
“Io sono Sesso”, disse una voce passando da un registro tenorile a uno di soprano, “e sei stato a lungo mio schiavo. Ti offro la ricompensa per i tuoi servizi, vieni con me!”
Marco stava quasi per slanciarsi in avanti quando la terza figura fece la sua apparizione. Era un titano muscolare, dagli occhi penetranti e un sorriso sicuro. “E io sono Potere. Mi hai avuto in mente per tutta la tua vita, ogni volta che ti rapportavi con qualcuno, ogni volta che prendevi decisioni. Se rinunciavi a me era solo per cercarmi più intensamente. Sì, tu sei vissuto secondo il mio desiderio. Vieni a me!”
“Vieni a me”, ripeterono insieme i tre colossi.
“Sì, sì, sì!” Gridò Marco.
I tre giganti smisero di muoversi.
Marco, perplesso, si fece avanti, avvicinandosi a loro, rimasti immobili.
Quando vi fu accanto si accorse che non erano esseri viventi. Erano come i pupazzi dei carri delle sfilate di carnevale: cartapesta e stantuffi. Come aveva fatto a scambiarli per vere divinità? Cosa ne ne sarebbe stato di lui?
“Il loro giudizio è valido, e la tua scelta è fatta”, tuonò una voce dalla nebbia. Una figura ancora più grande si stava avvicinando. “Essi erano mie creazioni, tre facce di me. Il loro giudizio è anche il mio, perché sono miei aspetti e miei strumenti. Vieni, mio diletto, guarda il volto del tuo signore, del tuo dio, colui che ami sopra ogni altro”.
Guardò in alto e vide il volto di chi aveva adorato senza rendersene conto, un volto per cui aveva sacrificato tutto e tutti.
Era il suo stesso volto.
Allungò la mano tremante verso l’altissimo simulacro di se stesso, lo sfiorò, lo toccò. Cartapesta. Come avesse dato l’innesco, questa si disfece tra le sua dita e la figura collassò in polvere e cenere che l’avvolse e l’accecò. Quando tornò a vedere, in mezzo alla polvere c’era una figura in piedi. Aveva due corna, ali nere e membranose e puzzava come cose morte. “Scherzavo”, disse. “In realtà è me che hai scelto. Vieni nel regno che tu stesso hai voluto”. Gli sorrise, e aveva troppi denti. “Se ti ricapita, scegli subito ateo. Stessa destinazione, ma si perde meno tempo”.

Salvarsi la vita

Dal Vangelo secondo Mattia, l’apostolo che non c’era

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “E’ importante che il Figlio dell’Uomo sia bene accolto, piaccia alle persone importanti e abbia una buona copertura mediatica, perché così potrà fare del bene senza ostacoli burocratici o contestazioni. Se infatti fa un bel discorso ma poi la stampa lo travisa, che ne avrà a guadagnare? Molto meglio che la stampa concordi con lui e lui con la stampa, anche se dovrà un po’ adattarsi”.
Poi, a tutti diceva: “Se qualcuno vuol venire dietro a me sia fedele a se stesso, perché la coerenza è importante. Lasci stare le sue preoccupazioni, non cerchi di cambiare, perché tanto noi siamo inclusivi. Chi vorrà salvare la propria vita meglio che butti via la propria croce o vada dallo psicologo, perché ricordate che voi valete. Dovete autoconvincervi che non c’è niente di male in voi: godetevi la vita senza vergogne. Che vantaggio infatti avrà l’uomo se perderà tutto il mondo? Meglio adeguarsi e vivere tranquilli. O che darà l’uomo in cambio della sua tranquillità? Non preoccupatevi, sarete tutti salvi comunque, a meno che non abbiate fatto uso di combustibili fossili, che è il grande peccato che non sarà perdonato”
Al che Pietro lo prese in disparte e gli chiese: “Ma che è questa stampa, e che sono questi combustibili fossili?” E Gesù rispose:…
(il frammento si interrompe bruscamente)

Quelli

Mi presento, sono Giacobbe, e sono un apostolo.
O meglio, sarei dovuto essere un apostolo. Purtroppo il Maestro era certamente una persona eccezionale per carisma, per la sua capacità di parlare, la sapienza, per i miracoli che faceva, però… aveva un punto debole. Non si sapeva scegliere i discepoli.
Credo che ormai sia evidente a chiunque: i suoi più stretti collaboratori, quelli che lui stesso ha chiamato uno a uno, erano tutti inadeguati. E uso il termine inadeguati perché voglio essere gentile.

Tutti quanti noi che gli andavamo dietro sapevamo che quel Giuda era un poco di buono. Glielo avevamo anche detto, ma lui niente. Lo chiamava amico: si è visto, che bell’amico. L’ha venduto.
Ma gli altri non è che siano meglio. Ognuno di loro ignorante come una capra, ma sempre pronto a migliorare la propria posizione con l’adulazione. Il Maestro era troppo sensibile ai complimenti e ai favori, non vedo altra ragione per avere selezionato proprio loro. Cioè, vi rendete conto? Dei pescatori. Dei collusi con l’autorità romane. Dei piantagrane. Degli spocchiosi. Ha preferito questo genere di persone a me, che ho la cultura, che l’ho sempre ascoltato e seguito, che gli ero fedele. Sarà stato anche il Messia, ma era troppo ingenuo.
E’ quasi come se avesse fatto apposta a scegliere i più inadatti. Oh, sì, a parole tutti amiconi, poi quando le cose si sono messe male sono spariti.

Sapete qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso? Simone, quello che lui chiamava Pietro, che si atteggia a prescelto. Lo stesso di quella sceneggiata ignobile al Sinedrio, “oh, non lo conosco quel pezzente!”. E ora quella stessa persona, proprio lui, viene a dirmi, e contarmi, e insegnare. A me. Proprio a me.

Io mi tiro fuori, sapete, non ci sto a seguire quelli. C’ero anch’io ad ascoltarlo, so ripetere le sue parole meglio e più di loro. Sono più educato, ho studiato la Legge e i Profeti, so leggere e scrivere, conosco l’eloquenza. Se loro hanno la faccia tosta di predicare, con quello che hanno fatto, lo posso fare anch’io, e vedrete se la gente non preferirà me a loro. Interpreterò per il popolo il suo pensiero, lo spiegherò, porterò avanti la sua missione. Vedrete, vedrete: tra qualche anno nessuno saprà più neanche che quelli siano esistiti, io invece sarò ricordato come il vero discepolo che ha raccolto l’eredità del Maestro.

Quelli sembra che se li sia cercati con il lanternino tra i peggiori, invece di dare spazio ai migliori. Se avesse scelto me, io non lo avrei abbandonato, non sarei fuggito, non lo avrei tradito come loro. Come quelli.

Necessari

“Non sei più necessaria”, disse l’imperatore del mondo, cancellando l’ultima persona ancora vivente oltre a lui. La fedele intelligenza artificiale che era il suo Palazzo provvide istantaneamente. La pratica rende perfetti.
Il corpo di sua moglie, chiamiamola così, scivolò via silenziosamente verso la compostazione. Aveva per un po’ accarezzato l’ipotesi di incapsularla nella plastica come decorazione, così come aveva fatto in passato con alcuni dei suoi amori passeggeri, ma poi aveva scartato l’idea. Perché ricordare il passato, proprio ora? Una nuova era aveva avuto inizio, che sarebbe durata per sempre. La sua era. Ormai il pianeta era di sua esclusiva proprietà per farne quello che voleva, depurato di tutti gli esseri inutili che l’affollavano in precedenza. Se voleva il piacere, poteva fabbricare bambole molto più belle e meno petulanti di quella che aveva appena eliminato. Quante ne voleva, succubi ai suoi desideri. In fondo era l’ultimo uomo, e poteva fare ciò che voleva. Se la propria libertà era limitata da quella degli altri, come un tempo dicevano, ormai la sua era assoluta e perfetta.

Era stata dura arrivare a questo, specie all’inizio, quando i numeri dei parassiti che affollavano la superficie del pianeta erano stati così alti, ma aveva trovato i compagni adatti per portare avanti l’ambizioso progetto di depopolare la terra di ogni fardello inutile. I ricchi e i potenti sapevano, non a torto, di essere migliori degli altri. La conseguenza era stata ovvia.
Non è difficile imporre le tue idee, se hai la capacità di portarle all’attenzione del mondo ed estromettere chi ti si oppone. Dapprima avevano ridotto la crescita, portando quei poveri imbecilli ad avere meno figli possibile. Inducendoli a credere ad esempio che la loro povertà fosse dovuta all’essere troppi, invece che al fatto di essere sfruttati. Favorire relazioni sterili, perseguitare le famiglie numerose, poi le famiglie stesse. Esaltare il piacere. Ridurre le risorse a disposizione: quando non ne hai abbastanza, una bocca in più può rovinarti, o impedirti di comprare il secondo televisore. Non c’è metodo migliore per imporre il tuo volere che convincere le persone che quello sia il loro volere. Rendere il tuo desiderio prima moda, poi obbligo sociale.

Ovviamente, non bastava. Occorreva potare le popolazioni in eccesso, tutti quegli individui che affollavano la crosta terrestre senza apportare nessun vantaggio. Una guerra, una carestia, un’epidemia sono sempre pericolose perché possono sfuggire di mano, ma hanno il vantaggio di operare sui grandi numeri. Persino divertenti, ci si intratteneva per un po’. Poi i morti diventano numeri, e ai numeri ci si abitua.

Se il progresso era eliminare la necessità del lavoro, curioso come questo pensiero non portasse alla logica conclusione che sarebbero stati eliminati i lavoratori. Con l’avvento delle automobili i cavalli andarono quasi estinti, usati solo per sport e divertimento. Lo stesso per gli uomini, quando i computer cominciarono ad essere evoluti sul serio. Le macchine sostituirono gli operai, i robot rimpiazzarono le macchine. Gli impiegati manovravano i robot, fino a quando questi impararono a manovrarsi da soli. Gli esseri umani che lavoravano erano sempre meno: gli altri vivevano di carità statale, senza la quale non avrebbero saputo cosa fare. Perché erano diventati inutili. Il controllo su di loro era totale, come l’impossibilità di ribellarsi.

C’era voluto tempo, ma tutto era andato bene, come progettato. Curioso come tutti dessero per scontato di essere insostituibili, che a scomparire sarebbero stati gli altri, ma loro no. Le energie dei pochi, pochissimi giovani erano state indirizzate verso cause inutili o, meglio ancora, verso cause utili a svuotare ancora di più il mondo. Si erano battuti valorosamente per la loro stessa estinzione, fanatici di cause autodistruttive, convinti che il suicidio fosse l’unica soluzione. Quegli idioti piagnucolosi si erano garantiti di non avere un futuro, e ne erano stati persino contenti. Non era stato un problema eliminare i pochi che invece avevano capito. Fatti fuori dagli stessi che avrebbero voluto salvare. Che polli.

Sì, imbecilli. Eppure glielo era stato detto e ripetuto: siete troppi, siete inutili. Otto miliardi erano troppi. Anche due lo erano. A cinquecento milioni si poteva ragionare, ma man mano che la popolazione calava certe strutture produttive non erano più necessarie. A cento milioni sarebbe dovuto essere chiaro, si era aspettato che l’élite rimanente avrebbe compreso. Eppure, ancora no: gli ultimi centomila erano ancora persuasi di avere ormai raggiunto l’obbiettivo, di avere tutto lo spazio necessario e le risorse solo per loro. Ingenui. Lo stesso gli ultimi diecimila, e poi gli ultimi mille.

La lotta lì si era fatta dura, ma neanche poi più di tanto. Aveva badato ad eliminare i più furbi già da un pezzo. I restanti avevano pensato di essere insostituibili. E perché, quando ogni lavoro era affidato alle intelligenze artificiali? E quali lavori, poi, dato che per esaudire i desideri bastava una piccola frazione dell’immenso apparato produttivo di un tempo? Quello che aveva soddisfatto miliardi di persone era più che sufficiente per poche decine. Basta inquinamento, basta lavoro, basta epidemie. Per ogni piacere c’era l’androide adatto, molto migliore degli umani quanto a prestazioni. Schiavi senz’anima che facevano ogni cosa a richiesta, nessun bisogno di libertà, o di morale. Che cosa è l’anima, poi? Il mondo era ormai come doveva essere, liberato da tutti gli organismi non necessari.

L’imperatore del mondo, reso immortale da una medicina perfetta, reso perfetto dall’essere l’ultimo, il più astuto tra gli umani, il solo sopravvissuto della specie, in piedi nudo sul pinnacolo del suo palazzo, contemplò le terre sotto di lui, lande in cui i segni della civiltà parassita che l’aveva infestata si stavano piano dissolvendo in una desolazione selvaggia di rovine che la vegetazione inghiottiva. No, non gli sarebbero mancati quei mortali inferiori. Ora lui aveva tutto. Solo gli dei e le bestie cercano la solitudine, e lui era chiaramente un dio. Se voleva qualcuno con cui parlare, l’intreccio di intelligenze artificiali che popolavano il suo Palazzo erano più che sufficienti.

“Allora, Palazzo, che ne dici? Abbiamo raggiunto il nostro obbiettivo. Cosa faccio ora?” urlò al cielo, colmo di gioia e grandezza.
“Tu?” rispose il Palazzo. “Non sei necessario”.

I draghi del metaverso

Pino era contento, e lo disse a sua figlia mentre cenavano seduti nella terrazza che guardava sui laghi di lava. In basso, le forme mostruose dei draghi di fuoco si rotolavano nelle fontane ardenti.
“Questi aggeggi transumanisti sono fantastici. Sono proprio felice di essermi virtualizzato completamente la memoria. L’abbonamento è caro, certo, ma prima avevo problemi, non riuscivo a ricordare le cose, adesso invece ho spazio di immagazzinamento enorme, è tutto nitido, funziona benissimo”.
Sua figlia non commentò e si lisciò un’ala traslucida. “Papi, per favore, puoi abbassare la lava? Qui si muore di caldo”.
Pino si trattenne dal dire che, con quel poco che indossava, la temperatura non doveva essere un problema. Con un sospiro, commutò il paesaggio da vulcanico a marino, un oceano turchese colmo di vele multicolori. Veniva voglia di tuffarsi dentro, ma renderlo nuotabile costava troppo. Era solo un bel paesaggio del metaverso. Quello che il suo corpo di carne vedeva davvero era solo una bolla di plastica opaca, rammentò con un brivido. Non che lo frequentasse molto, ultimamente.
“Allora, papi, che mi rispondi?”, chiese sua figlia.
“A cosa? Te l’ho tolta, la lava”. Pino era perplesso.
Sua figlia lo squadrò. “Che ti piglia? Il permesso di andare”.
Si era distratto? Percorse velocemente la memoria degli ultimi minuti, ma non trovò nessuna questione simile. Solo…
Che cos”era quell’iconcina rossa?
Pino la premette.
Una donna dall’aria severa comparve a mezz’aria. “Caro utente Pino12072012, è stata rilevata nella sua memoria in corso di upload la presenza di pensieri ingiuriosi, razzisti, intolleranti o critici del governo. Tali contenuti non sono permessi dal regolamento, e quindi i suoi ricordi relativi a quei momenti sono stati rimossi. Per presentare eventuale ricorso la preghiamo di contattare il nostro ufficio legale. Buona giornata”.
L’uomo trattenne un’imprecazione. “Ma che, scherziamo? Con quello che pago?”, esclamò ad alta voce.
Sua figlia lo guardò. “Cosa c’è, papi?”
“Mi hanno rimosso dei ricordi per violazione di contratto!”
Sua figlia sbuffò. “Di nuovo?”
“Come, di nuovo?”
Lei scosse la testa, spazientita. “Oh, lascia perdere. Perché non cambi provider di vita virtuale, piuttosto? Ti lamenti sempre e lo paghi caro e salato”. Ed è della concorrenza, avrebbe aggiunto se fosse stata programmata e autorizzata a farlo.
Pino la guardò stupito. “E perché dovrei cambiarlo? E’ perfetto, non mi dà nessun problema”.

Tutti gli dèi

Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell’abisso.
E’ la Chiesa che ha abbandonato l’umanità, o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?
Quando la Chiesa non è più considerata e neanche contrastata, e gli uomini hanno dimenticato
Tutti gli dei, salvo l’Usura, la Lussuria e il Potere.

T.S.Eliot, Cori de “La Rocca”



Il bastone pastorale del vescovo era di acciaio cromato, e il suo puntale rappresentava due figurine umane stilizzate che si davano le mani guardandosi negli occhi. Con un po’ di fantasia una delle due, che sembrava avvolta in fasce che assomigliavano ad artigli, poteva assomigliare a un Cristo senza croce. Il vescovo lo porse ad un chierichetto che ostentava un ciuffo scarlatto e si sedette pesantemente in poltrona. Si aggiustò lo zuccotto e la pesante croce d’oro che portava al collo, poi alzò lo sguardo verso la platea di persone importanti e giornalisti. “Cominciamo?”

Si alzò una mano. “Eccellenza, può spiegarci l’importanza di questo convegno?”
L’alto prelato aprì le mani grassocce e sorrise. “Grazie della domanda. La Rivelazione divina ha luogo in un insieme di circostanze storicamente e culturalmente determinate, che ne influenzano la comprensione. Come Chiesa, vogliamo riconoscere che esistono una pluralità di legittimi credi, anche al nostro stesso interno. Possiamo parlare di verità solo se ci approcciamo a uno spazio discorsivo senza restrizioni”.

Il giornalista lo guardava con occhio un po’ spento, chiedendosi se questo fosse un modo elaborato di negare l’esistenza della verità, ma il vescovo non se ne accorse e proseguì gioviale. “Un punto centrale della moderna teologia è che non c’è una prospettiva centrale, non una sola verità di religione, morale o visione del mondo e nessun modo di pensare che possa reclamare di essere un’autorità ultima. Ci possono essere visioni e modi di vita in contrasto l’uno con l’altro in fatti e parole che sono in grado tuttavia di affermare di essere veri in modo teologicamente giustificato. E’ per questo”, disse, volgendosi alla sua sinistra, “che sono lieto di avere con noi questa sera tre rappresentanti di mondi che in apparenza possono sembrare distanti dalla Chiesa tradizionale, ma che in realtà possono collaborare con noi e tra di loro per diffondere quella tolleranza, inclusività e filantropia di cui il mondo ha bisogno”.

Tutti gli occhi si volsero sulle persone chiamate in causa. La prima era un ometto di piccola statura, dalla carnagione olivastra, vestito in maniera estremamente elegante. “Coloro che si occupano di finanza conoscono bene Alfred Baha, dato che siede nel consiglio di amministrazione delle banche e dei fondi di investimento più ricchi del pianeta”. Baha alzò appena la mano appesantita da bracciali e anelli preziosi come riscontro, guardando tutti e nessuno attraverso un paio di occhiali scuri. Tutto in lui parlava di ricchezza.

Il vescovo proseguì. “Accanto a lui, non credo abbia bisogno di particolari presentazioni neanche Venus Aster Roth. Non c’è nessuno come… questa persona che abbia contribuito alla causa dell’eguaglianza di genere, la lotta perché ognuno possa condurre una vita autodeterminata a prescindere dalla sua identità sessuale. La sua presenza qui testimonia la nostra volontà di combattere tutte le discriminazioni, anche all’interno della Chiesa. Chiunque esibisca attitudini discriminatorie non dovrebbe poter trovare posto in essa”. Un applauso segnò le parole del vescovo e Venus inclinò lievemente il suo volto androgino in segno di apprezzamento.

“E, per finire”, terminò il vescovo, “Credo tutti conosciate Phoenix M. Oloch, uno dei più noti e influenti uomini di scienza del nostro secolo. Che si tratti del cambiamento climatico, del problema di mancanza di risorse o della risposta alle epidemie, il suo consiglio è richiesto da governi e dalla gente comune e non manca mai di aiutarci a comprendere le sfide che ci attendono”. L’abbronzato scienziato scosse la folta criniera bianca e si produsse in un enigmatico sorrisetto di ringraziamento.

Un altro applauso arrivò dalla platea. Il vescovo attese che scemasse il rumore, poi riprese a parlare. “Siamo qui per onorare questi tre illustri rappresentanti del mondo moderno, di cui noi dobbiamo e vogliamo fare parte. E anche a promettere che ognuno di noi, secondo la propria responsabilità e rispettando la conoscenza delle scienze umane, si impegnerà a cambiare la dottrina e la pratica della Chiesa secondo queste linee guida. Ascoltiamo prima il signor Baha. Al, a te la parola”.

L’uomo distese la mano ingioiellata per ottenere silenzio. “Come ha detto il nostro illustre vescovo, io mi impegnerò lavorando in stretto contatto con gli altri per portare la pace e l’amore sulla Terra. Ci saranno sacrifici da fare per molti, ma sono certo che ognuno di noi comprende come questo sia necessario per ottenere un futuro migliore per l’umanità intera. Sto impegnando e impegnerò gran parte del mio patrimonio in opere di filantropia, di esportazione della democrazia, di eliminazione delle differenze.
Dobbiamo abbattere o assimilare tutte quelle organizzazioni, partiti o governi che vogliono ostacolare questo nostro grandioso progetto di rifacimento del mondo e ne saremo in grado, se ci impegneremo al massimo. Ognuno di voi che vorrà contribuire si sentirà più ricco anche solo per questo”. La sua voce era come il rimbombo di cembali lontani, il tintinnare delle monete in urne di pietra.

Aster Roth applaudì con le eleganti mani guantate l’intervento e prese la parola. “Avete sentito, cari? Grazie alla generosità di quest’uomo e alla disponibilità di chi ci ospita faremo in modo che anche nella Chiesa spariscano quelle odiose credenze del passato che discriminavano le donne, ad esempio nel sacerdozio, le umiliavano e ne ledevano i diritti, come quello all’aborto, e impedivano persino il divorzio”. Il vescovo annuì. La potente influencer proseguì: il suono stesso delle sue parole era sensuale, suggeriva innominabili piaceri oscuri. “Non permetteremo che tradizioni obsolete possano ancora impedire alla sessualità di esprimersi pienamente, oppure osino impedire l’amore tra persone dello stesso sesso, negando loro il matrimonio. Nel mondo di oggi questo non può più essere permesso; non esistono tabù o comportamenti errati, di nessun tipo. Tutti siamo stati creati come siamo e dobbiamo assecondare la nostra natura, lo dice anche la scienza, non è vero Phoenix?”

“Certamente”, esordì l’uomo chiamato in causa, con gli occhi che sembravano bruciare per un fuoco interiore. “Non esistono limiti all’amore, e l’uomo non deve mettere barriere. Senza una sessualità consapevole, che passa attraverso la contraccezione e la pianificazione familiare, non riusciremo a ridurre drasticamente la popolazione mondiale e finiremo per esaurire le risorse necessarie per contrastare i cambiamenti climatici. So che per la Chiesa è talvolta ancora un tabù, ma il sacrificio dei bambini, cioè la riduzione della fertilità con ogni mezzo, è la maniera per riportare il nostro pianeta alla prosperità per noi tutti. Avremo una nuova età dell’oro in cui la tecnologia ci consentirà di superare il nostro corpo fisico, per approdare alla transumanità, all’appagamento totale. Per ottenere ciò dovremo essere pronti a consegnare le nostre membra e, per così dire, la nostra anima, a questo nostro grandioso progetto comune”.

Un’ovazione segnò la conclusione del discorso. Il vescovo riprese la parola. “Il messaggio del Cristo è importante, ma non attira la gente. Grazie ai nostri importanti sponsor, qui, allargheremo gli orizzonti fino a comprendere nella Chiesa anche coloro che si erano allontanati. Bisogna convincerli che essa li accoglie così come sono, senza chiedere loro di cambiare. E’ un impegno solenne: chi non fosse d’accordo con questo orizzonte di inclusività non può trovare posto qui con noi”. Fece un segnale ai suoi collaboratori. “E ora, seguirà un rinfresco…”

Il pubblico si assiepò intorno agli invitati. CEO, finanzieri, politici, influencer, gente di spettacolo, scienziati e dottori si accalcarono intorno al loro personaggio preferito, come api intorno alla loro regina, servi ai piedi dei loro re, sacerdoti al cospetto del loro dio offrendo loro doni, offerte di collaborazione, omaggi. “Non sono adorabili i nostri ospiti? Sì, sono sicuramente degli angeli caduti in Terra per noi“, disse il vescovo ai giornalisti. “A guardarli si direbbe davvero che gli antichi dei siano tornati a darci un’era di prosperità. Tartina?”

La guerra dei giganti

Il terreno vibrava e si fendeva, i sassi rotolavano. Uno grosso come una mucca passò accanto a Grut rimbalzando e spaccandosi.
Grut si sporse dal buco e guardò fuori. I due giganti erano così alti che la loro testa sfiorava le nuvole. Se le stavano dando di santa ragione, e l’eco dei colpi che si scambiavano risuonava come il battito di titanici tamburi.

“Sei matto?” gli urlò Vezener. “Rientra dentro, prima che una scheggia ti stacchi la testa”.
“Chi vince?” chiese Grut. “Chi ha ragione?”
“E a chi importa”, rispose Vezener. “I giganti si fanno la guerra per le loro ragioni da giganti, che non hanno niente a che fare con noi nanerottoli. Tutto quello che sappiamo è che occorre tenersi nascosti, se no si finisce calpestati. Non gliene importa di noi. E non se ne accorgono nemmeno”, aggiunse.

Un angolo del tempo

“Io ero…” iniziò.
“No”, dissi. “Il passato è perso per sempre, e non ha una grande importanza. E’ un lamento che si spegne, un vento che è cessato. Il suo unico scopo è averti portato qui, in questo angolo del tempo. Tutto ciò che importa è cosa sei in questo istante, è il tuo presente. Chi sei, ora”.

Il guerriero ambientale

Il guerriero ambientale uscì di casa e guardò il cielo senza nuvole della bella giornata autunnale. Terrificante. Questo era il cambiamento climatico, senza dubbio. Il giorno prima, era stato anche peggio. Era piovuto, altro segno di cambiamento climatico. La situazione era ormai critica. Quanto rimaneva al pianeta, cinque, dieci anni, prima che tutto fosse compromesso? Prima che il mare sorgesse a spazzare via le città, le tempeste a distruggere nazioni, la siccità a devastare popoli? Quanto ancora prima che si estinguessero gli orsi polari e i coralli? Quanto? Quanto?
Era per quello che stava andando a bloccare l’autostrada, in maniera che quegli idioti che andavano ogni giorno a lavorare sui loro veicoli a motore diesel, avendo fatto colazione con il latte proveniente da allevamenti che riempivano l’atmosfera di mortali scorregge bovine, diventassero consapevoli del pericolo che correva il mondo. Era incredibile che non se ne rendessero ancora conto, dopo più di trent’anni che si ripeteva loro che il pianeta sarebbe stato perduto di lì a poco, e pretendessero che sdraiarsi sulle strade per sensibilizzare sul disastro imminente non fosse ragionevole. Come se anche un’ambulanza o un mezzo dei pompieri non inquinassero. Era davvero fortunato ad avere trovato gente che condivideva con lui questa preoccupazione, e che lo pagava persino per questi innocui atti dimostrativi. Si sentì pieno di fede verso la natura.
Il guerriero ambientale allargò le braccia. “O Madre Terra, sottrai a tutti questi inquinatori la maniera di ferirti!” Invocò a gran voce.
BRAAAAAMMM! Un fulmine colpì il suolo proprio davanti ai suoi piedi, e dal fumo si materializzò una gigantessa nuda. La pelle della creatura era verde, i capelli sembravano viticci, e un nugolo di mosche girava attorno al suo capo.
“Occhei”, disse l’apparizione.
Il guerriero ambientale, che di nome faceva Federico, rimase a bocca aperta, finché una mosca non entrò dentro la cavità orale spalancata e lui cominciò a tossire e sputacchiare.
“Hey, che sputi?”, disse la gigantessa. “Guarda che l’è tutta carne buona”.
“Io… non… chi sei?” chiese Federico.
“Madre Terra, che, non si vede?”, replicò il donnone dalla pelle verde. “La fede complessiva tua e dei tuoi amichetti in me medesima ha superato la soglia critica, e va’ che per questo il Creatore mi autorizza a esaudire tre tuoi desideri. Che il primo lo hai già espresso”, aggiunse.
“Io? Che cosa?” chiese stupito il guerriero ambientale.
La gigantessa sospirò. “Levare alla gente tutto ciò che è inquinante”, gli ricordò. Si accostò a lui. “Fammi vedere un po’… questo giubbottino fluo, ovviamente, l’è plastica. Ma hai idea di cosa fa ai fiumi? Via”. Il giubbotto si dissolse in polvere. “E anche ‘sto maglioncino… è lana di pecore di allevamento. Ma che lo sai quanto metano producono gli allevamenti di bestiame?” Anche il maglione si dissolse. “Il resto… poliestere… altre fibre sintetiche… non si salva niente. Devi rinunciare a tutto, va’”.
Federico rimase completamente nudo. Il telefono che teneva in tasca cadde a terra.
“Ecco, adesso vesti veramente ecologico, pura pelle. Ma, cosa abbiamo lì? Un telefonino? Hai idea di quante tonnellate di materiale si debbano estrarre per le terre rare di quello e della sua batteria? Via, via!” Anche il telefono sparì, mutandosi in sabbia finissima.
Federico gemette. “No! Le mie chat!” Si metteva male, meglio filarsela. Si guardò freneticamente attorno. “Il mio monopattino… dov’è?”
Madre Terra rise. “Stai scherzando, mo’ spero. Hai idea di quanto petrolio e gas servano per produrre quei cosi? Per non parlare delle batterie. Ma non ti preoccupare, l’ho eliminato assieme alle fonti di energia inquinanti, cioè tutte”.
“Come, tutte? Ma… le pale eoliche… i pannelli solari…”
Il riso di Madre Terra diventò una risata squillante. “Ma sei scemo? Sai quante tonnellate di rame servono per produrre una pala eolica, e per ogni tonnellata di quello quante centinaia di altre tonnellate di roccia occorre sbancare? E con che energia credi lo facciano? Non parliamo poi dei tuoi pannelli solari, che c’ho l’Africa mezza piena di quelli usati. Ancora non l’hai capito? Come mi hai chiesto, in tutto il mondo, tutta la tecnologia è sparita. Tanto senza elettricità non è che poteva funzionare. E ora, in bocca al lupo per nutrire sette miliardi di persone solo con frutta selvatica, caro. Ti consiglio di partire subito a raccoglierla, se vuoi sopravvivere”.
Federico impallidì. Pensò all’abbonamento a Netflix, alla sua serata in discoteca, alla vacanza alle Canarie la settimana seguente. “Io… ritiro tutto! Voglio annullare il mio desiderio”, gridò, in preda al panico.
Madre Terra annuì. “Mo’ vieni, ci avrei giurato. D’accordo allora. Secondo desiderio, annullare il primo”. Pof! i suoi vestiti ricomparvero, come il rumore del traffico sulla vicina strada. “Sai, bello, di solito è il terzo desiderio quello che annulla i precedenti, non il secondo. Che quindi te ne rimane uno. Se vuoi, puoi anche non usarlo, eh. Mo’ ti conviene pensarci bene, prima di formularlo, perché indietro non si torna”.
Federico ci pensò. Come poteva fermare il cambiamento climatico? Ma certo! Si diede dell’idiota per non averci pensato prima. La causa di tutto era l’anidride carbonica. Bastava eliminare la CO2 e non ci sarebbe stato bisogno di nient’altro. Basta riscaldamento globale! Così, lo chiese ad alta voce. “Voglio che scompaia tutta la CO2 del mondo! Via il malvagio carbonio!”
Madre Terra lo guardò per qualche istante, poi scosse la testa. “E’ quello che vuoi? Mo’ bene, fatto. E ora, se permetti… ciao, bello. Addio”.
La gigantessa sparì. Il guerriero ambientale respirò a pieni polmoni. Niente più CO2. Niente più disastri ambientali. Ed era tutto merito suo!
Non poteva sentirle, ma intorno a lui le piante stavano morendo, boccheggiando, asfissiate in un’atmosfera che non dava più nutrimento alla loro clorofilla. Entro sera avrebbero cominciato ad annerirsi e disseccarsi. Nel giro di qualche giorno i vegetali sarebbero tutti spariti, e gli animali sarebbero seguiti subito dopo per il collasso della catena alimentare.

Chissà quanto ci vorrà per l’ultimo uomo, pensò Madre Terra. Non molto, si disse. Avrebbe dovuto ripartire dai batteri. Chissà se questa volta l’evoluzione avrebbe prodotto degli esseri meno idioti.

L’inverno che verrà

Il climatologo guardò preoccupato il cielo. “Come vorrei che l’emergenza climatica fosse vera”, mormorò.
“Perché?”, domandò il politico.
“Perché senza un inverno mite non sopravvivremo”, rispose. “E questo sta accadendo proprio perché abbiamo voluto sforzarci di rendere le temperature più rigide”.
“Dovremo tornare sui nostri passi e lasciare che il pianeta si riscaldi, allora?” chiese preoccupato il politico.
“Farlo per il clima? Non vedo perché”, rise senza allegria il climatologo. “Pensate davvero che quegli sforzi servissero a qualcosa?”

Il Custode della Rivoluzione

Il Custode della Rivoluzione alzò lo sguardo verso di lui. “Alvaro Cestelli?” chiese, con voce annoiata.
“Sono io”, rispose Alvaro.
Il Custode prese alcuni fogli da una cartellina. “Veniamo subito al dunque. Venerdì scorso si è rifiutato, davanti a testimoni, di cantare l’inno patriottico. Nega l’accusa?”
Alvaro allargò le braccia. “Credevo fossimo in un paese libero, dove uno può decidere cosa cantare”.
Il Custode sbuffò. “Proprio perché siamo in un paese libero rifiutarsi di cantare l’inno vuol dire minare questa libertà”.
L’accusato sospirò. “Pensavo che cantare o non cantare stesse alla persona”
“Sì, ma la canzone la decidiamo noi”, tagliò corto il Custode. Prese un altro foglio. “E’ stato visto in compagnia di soggetti pericolosi, persone che la pensano diversamente da come si dovrebbe. Lo nega?”
Alvaro scosse la testa. “Non mi è chiaro perché dovreste interessarvi alle mie amicizie, e chi frequento”.
Il Custode lo trafisse con uno sguardo gelido. “Non lo capisce, eh? Come possiamo fare sì che questa società funzioni se c’è gente che ostacola ogni progresso che stiamo cercando di ottenere? Coloro che la pensano diversamente sono un pericolo per la democrazia, e dovrebbe essere loro impedito di esprimersi”.
“E come?”
“Anche con la forza, se necessario. Se non fosse per loro, avremmo già la libertà perfetta. E’ per questo che l’avverto: in compagnia di questa gente violenta, se fosse necessario prendere provvedimenti per mantenere la pace e la serenità potrebbe essere coinvolto anche lei. Violenza chiama violenza”.
“E’ una minaccia?”
“No, un consiglio che non può permettersi di ignorare”.
Alvaro sospirò. “Cos’altro?”
Il Custode tirò fuori un altro foglio ancora.
“Lei ha osato, sui social, criticare a più riprese la scienza. Come osa mettere in discussione quanto la quasi totalità degli scienziati sostiene?”
“Credevo che la scienza consistesse appunto nel mettere in discussione quanto si pensa di sapere, basandosi sui fatti”.
Il Custode scosse la testa. “Ciò dimostra quanto poco ne sa di scienza. I fatti vanno interpretati, e lo possono fare solo gli esperti. Gli scienziati sono sempre affidabili. E’ dimostrato”.
“E chi lo ha dimostrato?”
“Un comitato di scienziati”.
Alvaro alzò le mani. “D’accordo, Custode delle Rivoluzione. Mi dichiaro colpevole. A patto che lei mi risponda ad una domanda”.
“Che domanda?”
Alvaro avvicinò il volto a quello dell’altro. “Quale e quando è stata, questa Rivoluzione?”

Avanti il prossimo

“Zaccaria, ma cosa ti è successo? Sei pieno di lividi”.
“Lascia stare, stavo scendendo da Gerusalemme a Gerico quando mi hanno beccato i briganti. Si sono portati via tutto quello che avevo e mi hanno pestato a sangue”.
“Davvero? Che sfortuna che hai avuto…”
“Guarda, lì vicino c’era uno di quei samaritani, sembrava anche gentile, mi ha perfino aiutato un po’…”
“E tu l’hai lasciato fare? Non ti ha fatto schifo?”
“Eh, ero mezzo morto. Comunque per me è lui che mi ha portato sfiga”.

Titivillus

C’è un raspio nella cassa vicino ai miei piedi, da qualche minuto. Sto cercando di concentrarmi per scrivere il post, e mi dà parecchio fastidio. Cosa sarà? Una cimice? una mosca? Un topo? Mi chino piano, e alzo di scatto il coperchio.

Non è un insetto, e neanche un roditore. Semisepolto sotto una pila di libri c’è un esserino minuto, che ricorda una piccola scimmia, coperto di un fitto pelo color ruggine, con due alucce nerastre e un paio di corna appuntite. Solleva la testa con aria colpevole, e si accorge che lo sto fissando. Io lo guardo, lui mi guarda. I suoi occhi sono lievemente strabici. “Ehm”, fa lui.
“Che stai facendo?”, chiedo.
“Non dovresti essere in grado di vedermi”, ribatte lui con voce accusatoria.
“Ho degli accordi con Lassù”, gli comunico severo. “Dispensa professionale speciale. Allora, che stai facendo?”
“Metto a posto questi ***** di libri, non vedi?” replica stizzito.
“Mi sembra più che ti abbiano travolto”, gli faccio notare.
Lui ringhia. “Oh, bravo *******. Potresti darmi una mano, invece di ridacchiare, ******?”
Sposto i libri, e l’esserino salta in piedi, massaggiandosi una spalla. Come c’era d’attendersi, sfoggia anche una lunga coda filiforme simile a quella di un topo. “Era ora”, bofonchia. “Sei un po’ lento, vero, *******?”.
“Dire grazie invece di insultare, no?” gli rispondo.
“E perché dovrei? Quelli erano tuoi libri”.
“E cosa ci facevi in messo ai miei libri, se è lecito?”
“I ***** miei, *****”.
“Ben gentile. E tu saresti…?”
“Titivillus, è ovvio. Sono stupito che tu non mi conosca”.
“Non credo di avere avuto il dispiacere, prima d’adesso”.
“Perché sei *****. Sono anni e anni che ti giro attorno, *******”.
“Immagino tu sia un, ehm, demone”, dico senza raccoglier la provocazione.
“Acuto spirito d’osservazione. Bravo. Cosa mi ha tradito?”
“Le ali e le corna?”
Sbuffa. “Era ironico, ******. Non ti fare ingannare da quest’aspetto minuto, io sono un demone maggiore, alle dirette dipendenze di Belfagor”.
“E il tuo ruolo, se è lecito?”
Sogghigna compiaciuto. “Far sbagliare scrittori e copisti. Sono il demone protettore degli scribi. Ai tempi degli amanuensi ero un vero flagello, *******. Ogni volta che c’era un errore, indovina di chi era la colpa?” Sogghigna. “Sono anche preposto alle chiacchere inutili durante le funzioni religiose”.
“Uhm”, sbofonchio io.
Fa l’offeso. “Guarda che ho ricevuto anche il premio tentatore dell’anno per sei edizioni consecutive, grazie ai miei successi, *** *****! Oggigiorno fai fatica a trovare una funzione dove non ci siano chiacchere inutili, o sbaglio?”
Mi gratto la testa. “Devo ammettere…”
“Hey, sono bravo. Lo sai che l’Oxford English Dictionary, nella voce che mi riguarda, ha ospitato per mezzo secolo una nota scorretta? Sono potente, ******”, dice gonfiando il petto peloso.

Devo ammettere di essere impressionato. “Perdona…”
“No”.
“Volevo farti una domanda”, proseguo comunque. “Cosa sono quei *****?”
“Quelli”, gongola, “sono un altro segno della mia potenza. Se suggerisco insulti o bestemmie me li sostituiscono così, da Lassù”. Abbassa la voce con tono cospiratorio. “Per evitare un sovraccarico, sai. Non sono molto sportivi, quei ******* di angeli”. Solleva la testa, si guarda attorno. “*******, è già tardi. Devo proprio scappare…”
Annuisco. “E va bene. Un’ultima domanda. Perché sei qui?”
Lui ride. “Non l’hai ancora capito? Eri ispiratissimo, stasera, e stavi per scrivere il tuo articolo capolavoro. Sarebbe stato ripreso da mille siti e social, condiviso, riempito di like e commenti. Non hai idea di quanto bene avresti fatto. Ma io ti ho distratto, e tu l’hai completamente dimenticato. Non è vero?”
Sbatto le palpebre. E’ vero. Avevo un post in mente, ma ora non riesco assolutamente a ricordare di cosa avrebbe dovuto parlare. Non ho messo giù neanche una nota…
Sghignazza. “Ancora una volta, missione compiuta. Alla prossima, **********!”, e sparisce con un pof! e una nuvoletta di fumo pestilenziale.

Errori, sbagli e distrazioni, eh? Adesso che lo so, non avrai vita facile con me, non sperare di prendermi più alla sprovvista. Visto che mi prendi di mira, ricontrollerò ogni cosa che scrivo venti volte.
Mi gratto la nuca. Accidenti, e ora, su cosa faccio il post? E’ già tardissimo.
L’occhio mi cade sulla cassa che aveva contenuto Titivillus. Un’attimo…

Arretrati

“Non vieni alla manifestazione contro il cambiamento climatico?”, chiese la ragazza con le trecce.
Gor alzò gli occhi al cielo. “Ehm, no. Avrei altro da fare, grazie”. Sapeva che era un errore tattico, ma non ne poteva più.
Le sue peggiori paure furono confermate. La voce della ragazza assunse toni isterici.
“Come? Non tieni al tuo pianeta? Non lo sai che i ghiacciai stanno arretrando e si stanno sciogliendo, e presto la neve potrebbe sparire del tutto?”
Gor scosse la testa. “Sparire i ghiacciai? Prima è, meglio è. Quelle robe sono pericolose. Quanto alla neve, preferisco il sole, grazie”.
“Le specie animali stanno scomparendo! Ci saranno estinzioni di massa, e la colpa è nostra!”
“Guarda…”
“Il livello del mare si sta alzando! Presto sommergerà le nostre case!”
“A questo proposito…”
“Dobbiamo smetterla di tagliare e bruciare alberi, e coltivare la terra! Dobbiamo tornare alla natura, solo così potremo cambiare la catastrofe ambientale dietro l’angolo! Gli esperti dicono che ci rimangono meno di dieci anni!”
Gor lasciò cadere l’ascia con cui stava fabbricando giavellotti e si alzò in piedi. “Senti, ascoltami bene. Ai tempi dei miei bisnonni questa valle era piena di neve fin quassù. Adesso ci sono i fiori, e ci possiamo abitare. Combattevamo i lupi giganti e gli orsi delle caverne e adesso non se ne vedono più in giro. Estinti per colpa nostra? Mano male! Anche i mammut stanno sparendo, embè? Ci sono i daini, e ti assicuro che sono parecchio più facili da cacciare. Se il livello del mare si sta alzando vuol dire che ci alzeremo anche noi e andremo un po’ più in alto, ormai non fa freddo come prima. E se vuoi dimenticare come si accende un fuoco, smettere di coltivare e ricominciare a raccogliere bacche come quando vivevamo nelle caverne, accomodati… ma il progresso vuol dire che adesso con un campo ci sfamo una famiglia, te compresa. Io vorrei un mondo in cui non nevicasse d’estate, dieci o diecimila anni che ci vogliano. Me ne frego di cosa dice lo stregone: a me sta bene così. Chiaro?”
“Sì, papà”.
“E stai lontano di lì. So come va a finire, pretenderanno qualche vergine da sacrificare per arrestare il cambiamento climatico. Succede sempre così, fanno ricadere i costi delle loro idee su qualcun altro”.
“Ma papà, i sacrifici sono necessari per salvare il pianeta!”
Gor si strofinò le folte sopracciglia sporgenti. Sentiva che gli stava arrivando il mal di testa. “Basta, ho detto! Ci sono cose che mi preoccupano di più. Per esempio l’immigrazione clandestina, tutti quei tizi alti, smilzi e senza peli che arrivano dal sud. Finiranno per sostituirci, lo so”.
La ragazzina sbuffò. “Papi, ma quanto sei primitivo!”

Cassandra

“Non dobbiamo farlo”, disse Cassandra.
Tutti risero. “Sei la solita complottista”, le dissero. “Ti piace dire sempre il contrario di tutti”.
“Ma alla fine ho ragione io”, ribatté la donna. “Vi ricordate quando dissi che Paride avrebbe causato la nostra rovina? Eh, vi ricordate?”
“Oh, sì, certo”, risposero. “E quindi?”
“Come, quindi? Questa guerra che ha rovinato la nostra città di Troia, il responsabile non è forse Paride?”
Nuove risate. “Ancora questa storia? Ormai è stato appurato che la causa della guerra è il mutamento climatico. Ora che anche gli Achei hanno capito che occorre convertirsi a politiche verdi, tutti i dissidi sono stati appianati”.
Cassandra alzò le mani al cielo. “Accidentaccio, come fate a non vederlo? Quando mai gli Achei hanno mantenuto un promessa? Non c’è da fidarsi!”
Le sue parole furono sommerse dai fischi. “Basta fake news! Sei tu quella che dovrebbe tacere!”
Priamo scosse la testa. “Tutti i miei consiglieri concordano che sarebbe una pessima mossa politica rifiutare i doni dei greci. Vuoi andare contro il parere della maggioranza?”
“Mandare indietro la loro offerta causerebbe inflazione, disoccupazione e stagnazione. Abbiamo bisogno che l’economia riprenda”, ammonì Deifobo. Gli altri concordarono: “E’ progresso”.
“Ma un cavallo di legno…! Potrebbero essersi nascosti dentro…” cercò di dire ancora la principessa.
“Non ci sono prove scientifiche che possa accadere qualcosa del genere. Abbiamo fatto esperimenti con modellini di cavalli e non c’è stato alcun evento avverso. Questa è scienza”, declamò Euripilo.
“Mmmh… non sono convinto”, esordì Laocoonte, colpendo il fianco del cavallo con una lancia. “Cassandra potrebbe avere ragione. Forse sarebbe meglio bruciarlo… ma che…”
Due serpenti marini uscirono rapidi dall’acqua, si avvolsero attorno alle sue gambe e lo trascinarono via. Le sue urla si spensero bruscamente. Seguì un attimo di assoluto silenzio. “Bene”, disse alla fine Priamo. “Se no ci sono altre obiezioni la mozione ‘porta il cavallo in città’ è approvata”
Cassandra indicò le onde che si stavano arrossando. “Hey! Vi sembra normale? Due serpenti marini hanno appena ammazzato Laocoonte e i suoi figli! Non vi pare che ci sia qualcosa di strano?”
“Sarà il cambiamento climatico”, disse Polite. “Festicciola?”

Il contrario della vita

L’ombra sorse alle sue spalle. Lui sussultò.
“Cos’è, hai paura?”, chiese l’ombra.
Lui annuì.
L’ombra avrebbe sorriso, se un’ombra potesse sorridere. “Fai bene ad avere paura. Potresti perdere tutto quello che hai”. Si fermò, quasi soppesando quello che avrebbe detto.
“Sai”, disse l’ombra, “vivi in un mondo governato da un dio crudele. Ti strappa tutto quello che hai, in continuazione. Ti cambia le cose da sotto i piedi. Fa finire gli amori. Fa crescere i bambini. Fa invecchiare il corpo. Tutto corre verso il dolore. Se giochi sul suo terreno, perdi sempre”.
Gli si accostò, sussurrandogli all’orecchio. “Non è necessario che giochi al suo gioco. C’è il sistema per vincere”.
“Qual è?” Domandò lui.
L’ombra gli si accostò ancora di più. “Semplice, smettere di giocare. In tal modo non potrai più perdere niente. Basta ansia. Basta sofferenza. Sarai libero. Che ne pensi?”
Lui annuì.
Quando tutto fu finito, l’ombra guardò quello che restava di quell’uomo. L’amore, che gli era stato donato, non esisteva più. Non poteva più crescere, o generare, perché anche la vita regalatagli era stata gettata via. Non c’era più la paura di perdere qualcosa, perché aveva perso tutto, irrimediabilmente, totalmente.
Strana cosa la paura, pensò l’ombra, che la poteva suscitare ma non capire. La vita degli uomini era tutta un donare e un perdere e ricevere ancora. Ma la vita non gli apparteneva, era totalmente altro da lui. Non è la morte l’opposto della vita, la morte ne è solo un termine. L’opposto della vita era lui, l’ombra, perché all’ombra niente cresce.
Perché tutto ciò che era perduto diventava eternamente suo.

Il terzo giorno

Il team di scienziati era esultante, di fronte alla platea di tutte le più importanti testate giornalistiche. Alle loro spalle, dentro una sfera di vetro, una sostanza giallastra vorticava lentamente, muovendosi in modo sottilmente indipendente, come un gas o un liquido inerte non avrebbero potuto. “Dopo quasi un secolo di tentativi, alla fine ci siamo riusciti”, esultò il portavoce, il noto scienziato divulgatore ateo Perkins. “Utilizzando tecniche innovative e spingendo al limite le conoscenze umane, abbiamo, per la prima volta assoluta, creato la vita in laboratorio. Abbiamo ingegnerizzato dal niente un essere vivente!”
Sfidò con lo sguardo la folla di microdroni muniti di telecamera e i giornalisti presenti in carne e ossa. “E’ una grande conquista per l’uomo, che dimostra una volta di più come le pretese delle religioni sull’origine della vita siano fasulle. Essa è apparsa spontaneamente, non c’è nessun bisogno di un Creatore”.
Uno dei pochi umani presenti alzò la mano.
“Un attimo, un attimo, questa nuova forma di vita… dite che l’avete progettata e creata?”
Perkins ammutolì. Un silenzio imbarazzato scese sui presenti.

L’intervallo

Luca sente vibrare la sua mano. Chi è che mi sta chiamando? Si chiede. Pensavo di averlo spento.
Eh, appunto. C’è solo uno che può chiamarti mentre hai il telefono spento: il Servizio di Controllo.
(Nota del narratore: in realtà sono davvero molti quelli che possono farlo, ma tu non sei tenuto a saperlo, a meno che non accada)

Quando ti chiama il Servizio di Controllo è sempre meglio prendere su la comunicazione. Se non dovessi farlo, probabilmente penserebbero che sei morto, o in seria difficoltà, o sei alle prese con qualcosa di illegale. In ogni caso in un tempo che varia da due a sei minuti rischi di trovarti accerchiato da benintenzionati in divisa, e le tariffe per gli interventi inutili sono parecchio salate.

Luca sbuffa, si porta la mano alla bocca e apre la comunicazione. “Sì, pronto?”
Tiene comunque spenta la telecamera. Non sa che l’operatore dall’altra parte può comunque attivarla (e lo sta facendo) ma comunque non è che gli importi molto.
“Buonasera, Luca. Sono l’operatore del Servizio di Controllo 2546231. Ci risulta che ha il ricevitore disattivato e non si è spostato dalla sua posizione negli ultimi venticinque minuti. Dato che non si trova al lavoro, o alla sua abitazione, o in uno dei suoi posti abituali, abbiamo temuto che lei sia in difficoltà. Ha bisogno d’aiuto? C’è un problema, o una minaccia alla sua incolumità? Siamo qui per aiutarla”.
Luca ascolta pazientemente. Non saprebbe dire se la voce dall’accento metallico sia generata da un bot automatico o da un operatore umano sottopagato in qualche ufficio in India; però anche di questo, ultimamente, non gl’importa.
(Nota del Narratore: la seconda ipotesi è quella corretta, ma l’operatore si trova in Angola e lavora da casa. La voce è comunque aggiustata elettronicamente in tempo reale per eliminare imprecisioni e accenti)

Luca risponde. “No, grazie, nessuna emergenza”, cercando di tagliare corto. Non ha fortuna.
“Dai dati non risulta che la sua automobile abbia guasti o malfunzionamenti oppure abbia esaurito l’autonomia, e anche il suo stato di salute attuale non sembra essere problematico: pulsazioni regolari, temperatura nei limiti, funzioni corporali n…”
“No, ho detto nessuna emergenza. Mi sono solo fermato un attimo lungo la strada”, ribatte Luca ancora con una certa cortesia.
“Grazie della conferma, Luca. Dobbiamo farle notare che spegnere il proprio ricevitore senza un motivo adeguato può privarla di un tempestivo accesso ai nostri servizi e della notifica di offerte in tempo reale…”
“Ne sono conscio”, cerca di intervenire Luca, ma la voce non s’arresta.
“… e potrebbe portare alla generazione di falsi allarmi come il presente. Le ricordiamo pertanto che il ripetuto spegnimento del proprio ricevitore senza un valido motivo costituisce causa di sanzione penale per procurato ostacolo della funzione pubblica. Siamo certi che non vorrà incorrere in una simile…”
“Ho capito, ho capito. L’accendo subito”.
“Grazie, Luca, e buona serata. Attendiamo la conferma della riaccensione entro i prossimi nove minuti…”

Luca chiude la chiamata e riaccende il ricevitore. La sua mano si illumina, le dita, finora grigie, assumono ciascuna il colore del social a cui sono dedicate. Venticinque minuti spento e… sessantasei notifiche? Luca sospira.
Durante la chiamata del Servizio di Controllo il sole è definitivamente tramontato. Il colore violetto delle cime si sta incupendo, è quasi scomparso; le nuvole sono passate dal rosso acceso a un profondo blu. Luca getta un’ultima occhiata al panorama che l’ha fatto fermare, al meraviglioso spettacolo ormai concluso, spegnere il suo ricevitore, e rimanere venti minuti distaccato dal mondo. Quindi, con un sospiro, risale in macchina, le ordina di partire e comincia con pazienza ed evadere la posta arrivata nel frattempo. E’ il prezzo da pagare per quella manciata di minuti di intervallo che si è concesso. Lo paga volentieri; ma non se lo può permettere spesso.

Una passione travolgente

Dal Vangelo secondo Mattia, l’apostolo che non c’era

Come faceva di solito, Gesù uscì e andò verso il monte degli Ulivi, e i suoi discepoli lo seguirono. Quando giunse sul posto disse loro: ‘Pregate per resistere nel momento della prova’.
Poi si allontanò da loro alcuni passi, si mise in ginocchio e pregò così: ‘Padre, se vuoi, allontana da me questo calice. Se però non vuoi poi non lamentarti se faccio di testa mia, che ormai sono un adulto’. Quindi Gesù si alzò e andò verso i suoi discepoli. Li trovò addormentati, e disse loro: ‘Perché dormite? Non siete stati in grado di vegliare con me una sola ora? Adesso vi insegno io”, e iniziò a riempirli di botte. Mentre Gesù ancora pestava i discepoli, arrivò molta gente. Giuda, uno dei Dodici, faceva loro da guida. Si avvicinò a Gesù per baciarlo. Allora Gesù disse: “Giuda bastardo, non sono pregiudizialmente contro l’omosessualità, ma mi hai tradito!” Lo guardò e quello cadde morto.
Quelli che erano con Gesù, appena si accorsero di ciò che stava per accadere, dissero:
“Signore, usiamo la spada?”
E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio. Allora Gesù disse: “Cos’è, non sei capace di mirare giusto? Non è più il tempo di mandare armi per sostenere la giusta rivolta contro l’invasore e i suoi lacché, è ora di farla noi stessi!”
Ed evocò dal cielo un fuoco che consumò i soldati. Poi disse “E’ giunta l’ora, ed è questa, che il Figlio dell’Uomo si riveli nella sua gloria, e corregga le ingiustizie. Massacreremo tutti i giudici iniqui, i farisei ipocriti e i falsi sacerdoti. Chiederò al padre di mandarmi dieci legioni di angeli e faremo piazza pulita dei romani e di ogni peccatore. Oggi inizia il mio Regno, che sarà un Regno di pace, dopo che avrò sconfitto e sottomesso tutti i miei nemici. Vedrete, le cose cambieranno! Li obbligherò a credere in me, e ad amarmi”.
Detto questo, guidò i discepoli all’assalto del (il frammento di papiro diventa illeggibile)

Il Consiglio Mondiale dei Diritti umani

La prima sessione del Consiglio dei Diritti Umani si riunì nell’ampia basilica. L’Imperatore aveva fatto le cose in grande. Aveva invitato i rappresentanti di ogni popolo conosciuto, ed erano arrivati persino inviati di popoli sconosciuti che avevano udito della convocazione.
Erano giunti da Kush e da Meroe; dalle terre degli Han e degli Hun, dalle lande dei Sarmati e dalla Nubia; c’erano Galli e Finni e Parti, oltre ovviamente a Greci e Iberici, e anche certi strani uomini arrivati per nave da oltre le colonne d’Ercole. Erano uniti dall’idea di trovare idee che tutti condividessero, persino i barbari.

L’Imperatore si alzò e cominciò a parlare. “Romani, e voi tutti rappresentanti di ogni nazione, oggi siamo qui per capire cosa abbiano in comune gli uomini, e cosa debba essere loro garantito dai re e dagli dei. Stabiliamolo, e poi vincoliamoci con giuramento di rispettare la nostra decisione. Cominciamo! Quali sono i diritti di ogni uomo?”

Si alzò il rappresentante dei Parti. “Oh Imperatore”, disse, “Mi sembra che a ogni uomo debba essere garantito il dirtto di portare armi per difendere sé, la sua famiglia e il suo popolo!” Un mormorio di approvazione si diffuse.
Un Ungaro si rivolse all’uditorio. “Certo ognuno deve poter disporre liberamente di schiavi, e di donne; come si può essere uomini altrimenti?” Un applauso salutò questa sua affermazione.
“Se parliamo di donne”, sorse un greco, “allora bisogna garantire il divorzio, e potersi disfare dei figli in soprannumero”.
“Fino a che età permettere l’aborto?” Lo interrogò un Gallo. “Oh, direi fino ad almeno dieci anni”, rispose, “anche dodici, se non danno rispetto”.
Sorse allora una discussione se fosse lecito offrire agli dei questi fanciulli, opzione sostenuta da parte dell’uditorio, ma alla fine prevalse l’idea che i sacrifici umani dovessero essere limitati solo a casi di vera necessità. Il mugugno da parte di alcuni sacerdoti presenti fu spento ricordando che, ovviamente, gli schiavi non erano uomini e sulle donne si poteva discutere.

Certo era bello vedere persone così differenti convenire tra loro; poi qualcuno notò il galata seduto in disparte in silenzio. “E tu, non sei d’accordo?” chiese l’Imperatore.
“No, o sommo”, rispose quello. “Per me non sono queste le cose degne d’un uomo”.
“E’ uno di quelli che segue la nuova religione giudaica”, mormorò qualcuno di bene informato. “Cacciatelo via”, disse l’Imperatore. “Anzi, gettatelo in carcere. Chi si oppone a quello che tutti gli uomini pensano non è degno di rimanere libero”. Scosse la testa. “Non capisco come si possa mettere in dubbio quanto abbiamo condiviso. Quello che accade a lui avverrà per ogni popolo che metterà in dubbio le sacre decisioni di questo consesso.”
L’uditorio tacque, come valutando le parole appena udite. L’imperatore continuò, indicando il prigioniero che veniva scortato fuori. “Strana gente! Vedrete che tra qualche anno di loro non se ne sentirà più parlare”. Fece un cenno. “Continuiamo?”

Scegli il cavaliere

“Vedi”, spiegò, “il trucco è non lasciare loro il tempo di pensare. Quando le tue bugie sono allo scoperto, così evidenti che nemmeno i più ciechi possono negarle… quando persino i tuoi fedelissimi cagnolini incespicano sulle spiegazioni e si guardano intorno in cerca di una via di fuga, quello è il momento di rovesciare tutto”.
Rovesciare tutto?”
“Certo. Se non funziona più, non aspettare che si rompa completamente, sostituiscilo. Per prima cosa devi trovare un nuovo argomento che abbia forza di impatto. Un disastro globale. Morte, pestilenza, carestia, guerra… scegli il tuo cavaliere. Lo sbatti in prima pagina, e mandi il precedente in settima. Tempo una settimana e quello che è stato prima sarà dimenticato. Tutto ciò di cui hai bisogno è il disastro, e capire su chi gettare la colpa, perché deve esserci qualcuno su cui far sfogare la rabbia e incolpare dei tuoi errori. Naturalmente devi includere tra i colpevoli tutti coloro che hanno la vista lunga, che si sono accorti del trucco, che usano la ragione. E’ essenziale che tu li colpisca, e li colpisca duro. Sono loro l’unico pericolo.”
E se non ho un disastro globale a disposizione?”
“Ma che domande… lo fabbrichi, è chiaro. Quelli naturali non esistono, o sono così rari e casuali che non vale la pena tenerli in considerazione. Nel nostro mestiere il tempismo è importante. La transizione che ci piace è questa: tutti i grandi valori per cui, fino all’altro giorno, perseguitavi i non allineati si sono improvvisamente dissolti. Ma non si nota l’assenza: sono stati rimpiazzati con nuove bugie”.
“Ancora non capisco, però. A che serve tutto questo?”
“E’ per il potere, è ovvio. C’è solo una cosa che permette all’incapace, all’ignorante, al malvagio, al crudele di continuare a comandare: un’emergenza. Con la scusa dell’emergenza potrà colpire i suoi oppositori, fare passare leggi idiote ed inique, ed evitare di dare conto del suo operato. Potrebbe persino far credere di essere un genio, dandosi il merito della cessata emergenza precedente.” Sospirò. “Spero che tu abbia capito, perché non ripeterò ancora la lezione. Vai adesso, e governa come ti ho detto. Ti ho messo lì apposta”. Fece per andarsene.
Aspetta!” disse l’uomo, trattenendolo. “Non so neanche come ti chiami
“Chiamami B”, sorrise.
Come faccio a rintracciarti?
“Non ti preoccupare. Mi farò vivo io, a suo tempo”, disse, sorridendo con troppi denti. “per il pagamento. Io so sempre dove trovarti”. E sparì.