Archivi categoria: fiaboidi

Positività

“Muahahahaha!”, rise il Dottore. L’eco del suo ghigno malvagio indugiò tra le travature gotiche della cripta che ospitava il laboratorio. Fumi solforosi si innalzavano dalle beute e dai matracci, mentre misteriosi meccanismi ticchettavano al ritmo della fiamma guizzante dei candelabri.
“Perché ridete, padrone?” Chiese Igor, con voce nasale, strascicandosi verso il bancone di lavoro.
“Perché, mio servo imbelle, ho finalmente realizzato il mio sogno!” Lo scienziato alzò trionfante verso il cielo nero una provetta piena di un liquido verdastro e inquietante, che ribolliva piano emettendo vapori violacei. “Muahahaha! Avrò il successo! Il mio nome sarà ricordato in eterno!”
Igor alzò la mano deforme per segnalare che non aveva terminato con le domande. “Se posso osare, padrone, quale dei vostri progetti? L’elisir di controllo mentale? La polvere di annichilimento totale? La lozione contro l’acne?”
“No, qualcosa di molto più interessante! Il vaccino contro la positività!” declamò il Dottore.
“Ah”, fece Igor, perplesso. “Intendete dire che quando uno è positivo a qualche malattia, il vostro vaccino lo cura?”
“Il mio vaccino fa qualcosa di molto meglio, toglie la positività alle persone!”
“Appunto, uno viene trovato positivo…”
“No, ho detto! Positivo, positivo! Quando qualcuno è felice, ottimista, pieno di speranza, vede il bello del cose e fa buon viso a cattiva sorte, in quel senso! Il mio composto lo tramuta in un borbottone, pieno di dubbi, di disprezzo, un incontentabile… lo negativizza, insomma”.
“Negativizza. Capisco, padrone”. Igor annuì. I suoi occhi strabici fissarono il dottore da sotto il cappuccio . “Ehm, scusi, padrone, ancora una domanda, come è riuscito a realizzare questo… siero antipositività?”
“Grazie alla mia padronanza delle scienze galvaniche ho portato avanti gli esperimenti del compianto mio collega dottor Jekyll per ideare un composto del tutto innovativo. E’ un distillato del pancreas dei più abbietti relitti umani, unito alla saliva dei più sprezzanti commentatori, filosofi e intellettuali…”
“Padrone, per i pancreas va bene, ho scavato io le tombe, ma la saliva, come se l’è procurata?”
“Sono stato a molte conferenze. Quelli sputazzano sempre quando parlano”.
“Ah, ok”.
“Ho mescolato il tutto con certi fluidi corporei di dieci vergini…”
“Dieci vergini?”
“Tutte con più di sessant’anni. Per trovarle ho messo un annuncio fingendomi uno scapolo disponibile”. Ebbe un brivido di raccapriccio, poi proseguì. “Ho quindi unito il miscuglio con la secrezione della pelle di una particolare specie di rospi sudamericani e ho marinato il tutto in apposite ghirbe scavate sotto le aule universitarie. Quindi, in una buia notte senza luna, nel mezzo di una tempesta elettrica che… scusa, ma che te ne frega?”
Igor alzò la spalla. “Niente, era solo curiosità”.
Il dottore lo squadrò sospettoso. “In ogni caso, ecco qui il risultato delle mie fatiche”. Alzò ancora una volta la provetta fumante.
“Scusi, padrone, ma a parte la conquista scientifica… a che serve?”
“Come a che serve! Non lo comprendi?” rispose irato il Dottore.
“No, padrone”.
“Ogni uomo che verrà a contatto con la mia pozione diventerà un disfattista a cui non va bene niente, pronto solo a criticare e incapace di pensiero creativo. Smetterà di credere in un compito superiore, nelle virtù, alla stessa verità. Diffiderà di chiunque salvo di se stesso, e condurrà alla rovina la società. Potrò abbattere nazioni intere e, se qualcuno si parerà sulla mia strada, grazie al mio composto…”
“Eh, padrone, ma come spera di farlo bere a tutti loro?”
“Bere? Chi ha parlato di bere? Grazie al mio genio, ho innestato la pozione di mia invenzione all’interno di quelle bestie visibili solo al microscopio che ha scoperto quel giovane francese, Pasteur. Mi basta liberare queste piccolissime creature in un ambiente affollato perché queste entrino nelle persone presenti e inoculino loro il vaccino che ho inventato. Saranno le stesse persone infette che diffonderanno la mia mistura a tutti i restanti, perché non sopporteranno che alcuno differisca dalla loro deprimente visione del cosmo. Non è meraviglioso? Pensavo di infettare pipistrelli, o forse pangolini…”
“Scusi, padrone, quindi quelle creaturine se lasciate libere si moltiplicano e si diffondono?”
“Sì, Igor, è così!”
“E perché quella provetta che agita, padrone, non ha il tappo?”
“Oh”.
Il Dottore portò la fiala davanti agli occhi, poi l’agitò lievemente. Il vaccino non ribolliva più.
“Davvero, Igor, questo è inatteso. Mi hai distratto e ora ho inavvertitamente diffuso il mio composto”. Guardò la provetta, contrariato. “Igor, tu ti senti diverso?”
“No, padrone, sono il solito allegro me stesso” ribatté il servitore con tono funereo.
“Neanch’io sono differente. Credo che questo vaccino non funzioni. Un altro fallimento”. Sospirò. “Quanto tempo sprecato. Forse avrei dovuto fare come mio cugino Victor e darmi alla chirurgia estetica. Bah”.
Gettò la provetta nel lavandino, e il restante liquidò scese per lo scarico.
“Non so davvero perché mi sforzo tanto, è tutto inutile. Vado a letto, Igor, pulisci tutto tu”. Il Dottore si trascinò stancamente fuori dalla porta.
Igor raccolse con il dito un po’ del vaccino che non era colato via e lo assaggiò con la punta della lingua. “Blah”, disse arricciando il lungo naso, “meno male che non funzionava, se no sai che disastro. Pure amaro era”.

Il Grande Bazonga

Il gigante rise, e la sua risata era come il tuono nelle sere d’estate.
“IO SONO IL GRANDE BAZONGA! NON C’E’ NESSUNO PIU’ GRANDE DI ME!”. Si percosse il petto, e il rumore era come quello del martello della forgia degli dei.
“IO SONO IL MIGLIORE! NON HO BISOGNO DI NESSUNO! IL MIO DESTINO E’ MANIFESTO!”. Si interruppe, attendendo. Il rumore di un applauso salì, appena udibile, da un luogo vicino al suo piede.
Bazonga annuì soddisfatto. “SI’, NANETTO, APPLAUDI! DIMOSTRA IL TUO ENTUSIASMO PER LA MIA GRANDEZZA! STO PER DIRIGERMI ALLA MONTAGNA DOVE SI DICE DIMORINO GLI DEI, E SALITO LASSU’ FARO’ VEDERE A TUTTI CHE NON CI SONO DIVINITA’, MA SOLO IO, IL GRANDE BAZONGA!”
“Hippye ye”, esultò il nanetto con tono piatto.
Il gigante lo scrutò con occhio sospettoso. “NANETTO, COSA C’E’?? HAI DUBBI SULLE MIE CAPACITA’? IO SALIRO’ LASSU’ DA SOLO E NIENTE MI POTRA’ FERMARE. NON HO BISOGNO DI NESSUNO IO, SONO IL GRANDE BAZONGA!”
“Sì, sì, grande Bazonga”, interloquì il nanetto. “Ma la strada per quel picco è parecchio pericolosa. Sei sicuro di andare da solo? Che succede se cadi?”
“NON POSSO CADERE! IO SONO…”
“Sì, lo sappiamo chi sei. Ma se, nella più remota delle circostanze, dovessi inciampare…”
“MI RIALZEREI!”
“E se cadessi ancora?”
“MI RIALZEREI ANCORA!”
“E se ti rompessi una gamba?”
“COSA C’E’, NANETTO, PORTI SFIGA? IO NON MI SONO MAI ROTTO UNA GAMBA, PERCHE’ MAI DOVREBBE SUCCEDERMI ADESSO?”
“Beh, hai il sandalo slacciato”.
Il gigante chinò il capo. “AH, GIA'”.
Borbottando si chinò, si allacciò la calzatura, poi si raddrizzò ancora.
“ORA PIU NIENTE MI POTRA’ FERMARE!”
“Scusa ma, mi chiedevo…” fece il nanetto.
“SI’?”
“Perché lo fai? Perché vuoi salire lassù?”
“PERCHE’ SONO IL…”
“… Grande Bazonga, ok. Ma, per quale ragione? Per trovare il senso alla tua vita? Per scoprire chi sei davvero? Sei alla ricerca della felicità?”
“BAH! QUESTE SONO PROBLEMI PER DEBOLI, IO SO CHI SONO! SONO IL GRANDE BAZONGA! NON HA SENSO CHIEDERSI IL SENSO DELLE COSE. E’ PER CREATURE INFERIORI. IO NON MI FACCIO DOMANDE. IO AGISCO!!”
“E poi?”
“POI, COSA?” Chiese il colosso aggrottando le spesse sopracciglia.
“Lascia perdere. Ciao, Bazonga, facci sapere se hai bisogno di qualcosa”.
Il gigante si incamminò. “AHAHAH! NON HO BISOGNO DI NIENTE E NESSUNO! SONO IL GRANDE BAZONGA!”
Il rumore dei suoi passi, ciascuno come un piccolo terremoto, svanì in lontananza. Il nanetto sospirò. “E adesso chi glielo dice che si sta dirigendo dalla parte opposta?”

Che Gesù

Dai papiri del Vangelo secondo Mattia, l’apostolo che non c’era

In quei giorni, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme. Gli domandarono i discepoli: “Maestro, cosa faremo una volta là?”
Lui rispose: “Faremo un casino! Innanzitutto organizzeremo un bel corteo contro la brutale occupazione romana. Entreremo in città agitando delle palme per indicare la volontà di fare piazza pulita della corruzione e della violenza. Poi proclameremo uno sciopero generale contro i cambiamenti climatici e l’uso di combustibili fossili. Spegniamo quelle lucerne fumiganti!”
I discepoli erano confusi e alcuni dubitavano. Ma Gesù, conoscendo il loro cuore, proseguì: “Dico anche a voi, negazionisti climatici, convertitevi e credete al riscaldamento globale. Subito dopo organizzeremo un convegno sul rispetto dei diritti umani con particolare riguardo alla schiavitù, ai migranti, alle esecuzioni capitali e alle barbare pratiche della sodomia, dell’aborto e dell’eutanasia tanto diffuse tra i greci. Per non parlare del suicidio assistito dall’Imperatore, che manda i suoi sgherri ad assicurarsi che i suoi avversari politici provvedano ad ammazzarsi. E’ ora di finirla con questa mancanza di moralità che affligge la nostra società. Su, andate avanti a prenotare una sala, credo che il Cenacolo sia libero il giovedì a cena”.
Giuda si fece avanti e disse: “Io per quella sera avrei un impegno con
(Il frammento si interrompe)

Il foro al centro del silenzio

Forse s’avess’io l’ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.


G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia

Ib-14486AC Eruzione Mediata si sedette con un sospiro sul metallo del trasglifatore. Le particelle ad alta energia rimbalzavano contro gli schermi in una tambureggiante pioggia di scintille policrome. All’intorno, le nubi di idrogeno purpuree vorticavano in mille spirali venate dal fuoco delle stelle morenti. Di tanto in tanto una esplosione gamma le illuminava di un bagliore verdastro che presto si colorava dei lampi gialli del sodio e azzurri dell’ossigeno, in un caleidoscopico gorgo di raggi stroboscopici balenanti nel silenzio del vuoto cosmico. Frammenti di pianeta grandi come continenti venivano scagliati via dall’orizzonte degli eventi del buco nero, fiotti di materia incandescente che lasciavano scie luminose di atomi impazziti nelle dense nuvole molecolari.
Eruzione Mediata si sdraiò, sbuffando. “Che palle”.
Zu-Kakhninno cercò debolmente di ribattere. “Eddai, non è male!”
“Visto il centro di una galassia, visti tutti”. Il Giro dei Mondi Peculiari che avevano progettato era stato una delusione. Gli alberi di Tollin-gu erano sì alti venti chilometri, ma non erano poi diversi da quelli di Manuerem e, oggettivamente, noiosi. I Riti Blasfemi di Balloch impallidivano al confronto di una serata nei Bar Oltremondo, e di quelle serate si era stufata molto tempo prima. Pianeti con anelli, piatti, assurdamente pesanti, caldi, freddi, acidi, popolati o deserti, con i loro abitanti e le loro forme di vita caratteristiche, a lungo andare erano ripetitivi e sempre uguali. Sì, di tanto in tanto c’era qualcosa di differente, come i Carambidi di Luz Otto o i Massacratori del Bordo, ma dopo un po’ la novità finiva. Che palle.
Zu-Kakhninno non tentò neanche di negarlo. Anche lui probabilmente si era rotto di questo vagare inconcludente. Indicò verso le stelle pulsanti che si stavano sfilacciando nella caduta dentro il mostruoso buco nello spaziotempo che le stava per inghiottire. “Tra poco dovrebbero andare in supernova. Stiamo fino a quel momento, poi andiamo via?”
Niente, Zu-Kakhninno con tutti i suoi migliaia di anni era ancora un bambino. “Non c’ho voglia”, si lagnò Eruzione Mediata. “Vado a fare un po’ di sesso con Huzzo e Glassa giù al Virtuo, che devo dimagrire. Vieni?”
Zu-Kakhninno si voltò ancora verso i soli condannati. Li contemplò un attimo, poi “Sai”, disse, “quando ero piccolo pensavo che se avessi vagato tra le galassie sarei stato felice. Adesso le ho viste tutte, ma non è che mi senta così euforico. Mica mi basta. Il fatto è, che non so cosa…”
Che palle anche questo qui, pensò Eruzione Mediata. “Dai, romazza il Trasglifatore e andiamo. Tanto puoi sempre tornare”.
L’apparecchio con i suoi occupanti svanì, mentre un altro pianeta si dissolveva nel caotico calore intorno al foro al centro del silenzio.

La prima pietra

Dal papiro del Vangelo di Mattia, l’apostolo che non c’era

Portarono allora a Gesù una donna sorpresa in adulterio e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Non è che avreste dei gessetti, per caso? No? Comunque, per quella donna, l’importante è che si amino. Non chiamiamo peccato queste cosucce: non è che abbia evaso le tasse, non si sia vaccinata o, peggio, sia una tradizionalista. Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei. Mamma, metti giù quel sasso!». E chinatosi di nuovo, continuava a scrivere per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più inquinatori fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Ci mancherebbe, non hai fatto niente di male. Bisogna essere aperti alle nuove esperienze, il mondo è cambiato, non possiamo restare aggrappati al passato. Basta che tu stessa ti perdoni, va’ e continua pure». Giuda si accostò alla donna e le chiese dove (il frammento si interrompe)

Una situazione esplosiva

Cari ascoltatori, stasera intervisteremo un personaggio molto famoso: Yosemite Sam. Siamo qui nel suo capanno. [Apre una porta fatta di assi inchiodate, tutto scricchiola paurosamente]
Eccolo qui, il nostro amato Sam, con le sue fide due pistole e i baffoni, mentre fuma un sigaro seduto su un barile. Come sta, signor Yosemite?

f**! c*****!

Ah ah, molto divertente. Ci dica: quali sono le sue attività al momento?

Cacciare conigli, ovviamente. Quel rompiballe di coniglio, gli voglio mettere una carota nel **** e *******!!

Scusi, scusi, signor Dinamite, ci sono anche dei bambini che ascoltano

Bambini? Io odio i bambini. Sono la sola cosa che odio più dei conigli. Se diventerò Presidente, oltra alla stagione di caccia al coniglio inaugurerò una stagione di caccia ai bambini.

Non le sembra esagerato?

Niente affatto. Conigli e bambini, tutti e due fastidiosi. Rovinano l’ambiente.

La preoccupazione per l’ambiente è lodevole, ma…

Le carote! quel coniglio si mangia tutte le mie carote, con la scusa che le ho seminate sopra casa sua.

Quindi la sua è una guerra giusta?

Certo che è giusta! E’ stato lui ad invadere il mio campo! Se non lo fermiamo, si divorerà tutto da qui a Minneapolis! E’ legittima difesa. Io voglio la pace, per questo gli posso sparare quando voglio.

Ma le armi non sono un male?

Se non dovessimo avere le pistole, perché avremmo le dita per premere il grilletto? E’ per questo che mi fa inc****** che non riesco ad ammazzarlo. Gli ho tirato addosso di tutto: proiettili ACME, missili ACME, treni ACME…mi ha costretto a spendere tutto il patrimonio in armi. Ma niente, quello se la cava sempre. Adesso però basta: ho riempito casa mia di esplosivo. Se quello fa un’altra mossa, faccio saltare tutto.

Ehm… mi scusi, ma invece di vivere in una baracca cadente e a buttare soldi in una guerra che non riesce a vincere, non sarebbe meglio trovare un accord… [Yosemite Sam con un rapido gesto punta le pistole] Come non detto. Scusi, signor Yosemite, ancora una domanda: perché ha un sigaro acceso mentre è seduto su un barile pieno di esplosivo?

Perché questo è un cartoon, bello!

La tentazione definitiva

Il demone scorse un’ombra muoversi a ridosso dell’ingresso deserto. O meglio, non un’ombra. Il suo opposto.
“Vieni fuori, tanto ti ho visto”, disse rivolto verso quel ributtante chiarore.
La figura uscì riluttante nel crepuscolo senza sole rosso e malato che avvolgeva ogni cosa. Non era l’inferno, non da questa parte del cancello; ma vi era sufficientemente prossimo da dare conati di vomito a chiunque avesse un minimo di sensibilità.
Questo ovviamente non valeva per il guardiano della soglia. Anzi, la pressione che la minima presenza del Nemico-che-sta-Lassù continuava a esercitare lì all’esterno, quella gli dava la nausea. Come del resto la presenza dell’antico compagno e ora avversario che, riluttante, camminava verso di lui. Erano stati colleghi prima della Caduta, e anche ora di tanto in tanto si incrociavano nello svolgimento dei rispettivi doveri. Portinai entrambi, ma di porte che non avrebbero potuto essere più diverse.

“Sei venuto a verificare che anche qui fosse lo stesso?”, domandò l’essere fatto di corna e putride scaglie. Il suo corrispettivo di luce annuì, guardandosi attorno inquieto. In altri tempi davanti all’enorme cancello oscuro si sarebbero accalcate file di dannati in attesa di transitare verso la loro destinazione finale. Il fatto che, nonostante l’ampiezza dell’ingresso, in passato vi fosse sempre un’immensa coda che avanzava piano in direzione dell’Abisso era parte integrante della progettazione. Nessuna occasione per infastidire, terrorizzare e deprimere andava perduta. Ora, invece, non si vedeva letteralmente un’anima. I crudeli insetti che infestavano il luogo ronzavano senza meta, alla vana ricerca di qualcuno da tormentare.
La figura luminosa sospirò, come si fossa tolta un peso. “Avevo temuto che finissero tutti quaggiù, ma vedo che anche da te c’è assoluta mancanza di arrivi. Da una parte mi rassicura, dall’altra… cosa sta succedendo?”
Il demone rise. “Come, non l’hai saputo? Gli uomini hanno scoperto il segreto dell’immortalità”.
La luce sussultò. “Com’è possibile? A difesa dell’Albero della Vita ci sono cherubini armati. Non credo che un mortale possa facilmente superarli”.
Il diavolo si guardò sussiegoso gli artigli, mentre scopriva fila e fila di denti aguzzi. “Davvero? Magari qualcuno di loro non è poi così fedele”, insinuò, un bagliore rossastro nei suoi molteplici occhi. “Oppure, semplicemente gli umani hanno aggirato il problema. Quando il tuo Capo, lassù, li ha creati, avrebbe fatto meglio a concedere loro un po’ meno libertà”. Il suo inquietante sorriso si allargò. “Hanno elaborato tecniche per tenere a bada persino l’Angelo della Morte”.
La sagoma luminosa sembrò roteare e vibrare nell’aria. “Quindi è per questo che non arriva più nessuno? Nessuno muore più?” Chiese incredula.
“Esattamente. E’ per questo che tu e io siamo disoccupati”.
La luce si fermò. Qualcosa non andava. “Non mi sembri preoccupato”, disse.
Il demone ridacchiò. “Per niente. Rifletti: la vostra parte ha sempre promesso la vita eterna in cambio di salamelecchi rivolti al vostro boss. Gli scienziati mortali offrono la stessa cosa senza bisogno di inginocchiarsi o impegnarsi a fare i buoni”. Si accostò al suo interlocutore. “Non hai idea di cosa stia succedendo nel mondo dei mortali. Tutti i vizi e le perversioni che erano tenute a bada ora vengono riversate fuori. Che bisogno c’è di limitarsi, se si vive per sempre? Non muoiono neanche se li ammazzi, e ti assicuro che ci provano. Ormai non c’è più nessuno che parla di Redenzione. Il mio Nemico, lassù, non ha più nessuna presa su di loro. Noi quaggiù, d’altra parte…”, sussurrò, protendendo la lingua prensile.
La figura luminosa si scostò di scatto. “Ma che vantaggio ne avrete se non arriveranno qui? Rimarremo tutti a secco”.
La bestia demoniaca buttò la testa all’indietro e rise sguaiatamente. “Non comprendi? Quel loro mondo è già condannato. Non importa quanto sia lunga la tua vita, se ne perdi il senso. Non possono sfuggire la morte per sempre, e noi abbiamo l’eternità per aspettarli. La cosa importante è che nessuno di loro ha più un briciolo di fede. Senza quella, che futuro possono avere? Mi aspetto che presto ci sarà chi metterà la parola fine al loro mondo. Quando il momento arriverà, giungeranno tutti insieme qui. Tutti. Ci prendiamo tutto il malloppo in una volta. Rinunciando alla morte rinunciano alla vita che avrebbero avuto dopo di essa, ma la tentazione è troppo grande per perdere l’occasione”.
Ghignò. “Il peccato più antico: prendere il posto del loro Creatore. Volevano fare a meno del Paradiso. Saranno accontentati”.
Un tremore attraversò il terreno, facendo vibrare l’antico cancello e quasi facendo perdere l’equilibrio al demone. Il suo ghigno si allargò. “Così presto? Spostati, collega: tra poco qui ci sarà parecchio traffico”.

Dentro il Turco

Il professore cominciò a proiettare. “Il primo esempio di quella che oggi si chiama intelligenza artificiale risale all’anno 1770”, esordì.
Un mormorio corse tra gli allievi. “Impossibile!”, “Non c’era neanche l’elettricità”, “Si è confuso, voleva dire 1970”.
“Ripeto, 1770”, continuò imperterrito il docente. “In quell’anno un geniale nobile ungherese, Wolfgang von Kempelen, ideò e costruì un automa in grado di giocare a scacchi”.
Il silenzio scese nell’aula.
“Non era, naturalmente, elettrico né tantomeno elettronico, ma meccanico. Aveva l’aspetto di un turco con tanto di pipa e turbante seduto a una scrivania su cui c’era una scacchiera. L’automa rispondeva alle mosse dell’avversario e, molto spesso, vinceva”.
Il professore indicò l’immagine. “Come potete notare, nella scrivania vi era un meccanismo molto complicato, con ruote dentate, cavi e leve. Prima di ogni esibizione i tre portellini presenti su di essa venivano aperti per dimostrare al pubblico che non si trattava di un inganno, ma che la macchina era effettivamente in grado di “vedere” le mosse e rispondere in modo adatto”.
Seguirono varie illustrazioni d’epoca del Turco Giocatore di Scacchi. “L’automa fu presentato nelle corti di tutta Europa. Giocò con l’Imperatrice d’Austria, con lo Zar e a Parigi con Benjamin Franklin. Alla morte del suo inventore fu venduto dai figli a Johann Maelzel, l’inventore del metronomo, che proseguì con gli spettacoli. Da esso fu sconfitto anche Napoleone. Tuttavia Maelzel si indebitò e scappò in America, presentando al pubblico statunitense questa primitiva intelligenza artificiale. Edgar Allan Poe lo vide e ne scrisse. Alla fine fu venduto a un museo di Filadelfia per soli 400 dollari e venne distrutto in un incendio nel 1854”.
Il professore sorrise. “Ovviamente, non era l’automa che pensava le mosse, ma una persona di bassa statura e alto talento scacchistico che si nascondeva all’interno del marchingegno, spostandosi tra i vari scomparti in modo da non essere scoperto”.
Un allievo alzò la mano. “Scusi, professore, ma lei non ha ha detto che si trattava del primo esempio di quella che oggi è chiamata intelligenza artificiale? Non era vera intelligenza, in realtà si trattava di un trucco!”
“Appunto”, replicò il docente.

Sto da favola

La taverna era rumorosa, ma il profumo della porchetta che arrostiva nell’ampio camino compensava ampiamente gli odori non sempre gradevoli dei suoi avventori. Il locale era stracolmo: in piena zona movida, gestito da un collettivo di bardi sbandati, la sua conclamata multiculturalità equa e solidale attirava avventori di tutte le specie e di tutte le classi sociali. Una bandiera arcobaleno un poco stinta occupava il fondo della parete dietro il bancone e un folletto ne osservava con sospetto le estremità. Una orchessa piena di piercing ballava con trasporto al centro del locale insieme a una persona-lucertola dal genere indefinito. Seduto a uno dei tavoli riservati ai verticalmente svantaggiati, una figura imbronciata osservava corrucciata la danza.
“Posso mettermi qui? Tutto il resto è occupato” chiese una voce alle spalle del nano, che si voltò.
“Tremotino! Da quanto tempo! Certo, accomodati. Come stai? Che fai da queste parti?”
“Oh, sto da favola. Sono in viaggio per lavoro”, disse il nuovo arrivato, sospirando, mentre si sedeva con un boccale pieno di birra in mano. “Noi maghi finanziari siamo sempre in giro, non hai idea di quanti teletrasporti ho fatto questa settimana. Tu, piuttosto, Brontolo, è raro vederti in città! Che è successo, la miniera non va più?”
“Siamo noi che non andiamo più”, borbottò Brontolo, imbronciato. “Siamo in trattative per vendere tutto a una multinazionale. Sai, sono cambiate molte cose dall’ultima volta che ci siamo visti”.
Tremotino si accostò per udire meglio, incuriosito. “Davvero? Racconta!”
“Hai mai sentito parlare di Biancaneve?”
“Chi, la principessa? Pallida come la pancia di un pesce, lieve ritardo mentale, tette…”
“Proprio lei”, lo interruppe Brontolo.
“Ho sentito che ha avuto qualche problema di eredità che ora dovrebbe aver risolto e che si è sposata alcuni mesi fa con Azzurro, dico bene?”
“Sì, ma non conosci tutta la storia. E’ vissuta con noi per un po’, prima di mettersi con il principe”.
“Questa non la sapevo. Con voi nella baracca? Quella tana di topi?”
“Sì, proprio lì. Ma casa nostra adesso non è più così disastrata. Quando Biancaneve è arrivata ha preso in mano la situazione e l’ha ripulita da cima a fondo. Quando c’era lei pareva uno specchio. Ed era pure bravissima in cucina.”
“Ugh! Sessista!” inorridì Tremotino.
“Già, proprio così. Noi le abbiamo detto, dai, vieni con noi in miniera, è giusto che tutte le donne possano accedere a lavori riservati ai maschi dalla cultura dominante, ma lei no, non ne ha voluto sapere. ‘Io sono per il patriarcato’, ci ha detto sorridendo, così è restata e si è presa cure di tutte le nostre necessità”.
“Ehm”, fece Tremotino.
“Oh, pulire, rammendare, pranzi e cene e così via”, aggiunse in fretta Brontolo. “Poveretta, dev’essere stato davvero duro per lei. Io non so cosa farei se dovessi stirare invece di spaccare rocce con il piccone in cunicoli sotterranei tutto il giorno”.
Tremotino scosse la testa. “Che tristezza, che mentalità ristretta da stereotipo femminile”.
“Aspetta, non sai il resto”, continuò Brontolo.
Mentre Brontolo proseguiva il racconto, Tremotino notò una figura al bancone con la coda dell’occhio. Possibile?, si chiese.
“…in questo modo, Biancaneve è diventata ereditiera. Si può dire quello che si vuole sul carattere della sua defunta matrigna, ma quella era una donna con le palle e il senso degli affari, così ora la ragazza è ricca sfondata. E, ci crederesti? Appena dopo che ha ereditato ricompare il principe Azzurro, che prima era sparito chissà dove, e…”
“Guarda un po’ là”, disse Tremotino interrompendolo. “Chi ti sembra quello con il cappuccio che sta venendo via adesso dal bancone?”
“Per il piffero, hai ragione, quello è proprio Azzurro! Si parla del lupo…” Brontolo prese a fare ampi cenni verso il principe. “Hey, da questa parte!”
Azzurro li vide e spalancò gli occhi, poi si affrettò a raggiungerli. “Brontolo! Non ci vediamo dalle nozze. E lei è messer Tremotino, vero? Ci siamo conosciuti tre anni fa per quelle forniture di paglia”. Si guardò attorno, poi bisbigliò “Per favore, non attirate l’attenzione su di me. Sono qui in incognito”.
Brontolo aggrottò le spesse ciglia. “Che succede? Qualche stregone oscuro nei paraggi?”
“Magari”, sospirò il principe. “No, sono qui per farmi un cicchetto senza che Biancaneve lo sappia. Lei disapprova gli alcolici”.
“Ah”, fece Tremotino. “Capisco. Bene, Principe, spero che potrò tornare a fare affari con voi…”
“Oh, ne dubito”, replicò Azzurro. “E’ mia moglie che adesso si occupa di tutta la parte finanziaria, al castello. E’ più probabile che tratterete con lei. Le piace pianificare la vita di tutti e ha riorganizzato ogni cosa nel nostro regno”. Si schiarì la voce. “A questo proposito, devo rientrare prima che si accorga che non ci sono e mi privi del cavallo per una settimana…”
“Certo, certo”, replicò Tremotino. “Tanto ora devo andare anch’io. Stammi bene, Brontolo, mi ha fatto piacere rivederti, il resto me lo racconti alla prossima. Uno in nome dei vecchi tempi?”
“Sicuro”, brontolò Brontolo.
I due si baciarono appassionatamente sulla bocca, mentre il principe distoglieva lo sguardo imbarazzato. Il bacio durò a lungo.
“Fatti sentire qualche volta”, salutò Brontolo staccandosi. “Magari potremmo fare una rimpatriata anche con tutti gli altri”. Strizzò l’occhio.
“Contaci, ciao!”
Tremotino e il principe uscirono dal locale. Azzurro non parlava. Tremotino gli diede di gomito. “Che succede, principe, sconvolto? Guardi che siamo nel XII secolo, ormai!”
“Ehm, non voglio giudicare, ma…”
Tremotino sospirò. “Principe, che sa dei nani femmina?”
“Uhm, se non erro d’aspetto sono come i maschi, solo con la barba più corta…” la voce gli morì in gola, e si fermò impietrito.
“Già”, gli disse Tremotino ghignando. “Sono tipi un po’ particolari, ma devo proprio dirlo, scommetto che con Biancaneve sono state da favola”.

Il tramsumano

Sono solo alla fermata. D’altra parte è notte, e i mezzi pubblici a quest’ora sono radi. Finalmente il tram appare all’incrocio. Mentre si avvicina sono un po’ assonnato, un po’ distratto, sto ancora pensando a lei. Il mezzo pubblico si ferma davanti a me. “Attento al gradino”, fa una voce. Alzo gli occhi e cerco l’autista. Solo che non c’è un autista, ma una specie di muro liscio. Il gradino è stranamente cedevole, rivestito di una sostanza rosacea. Sembra pelle. Rallento, esitante a salire. C’è qualcosa che non va.
“Allora, entri o no?”
Mi giro verso la voce. Il tram si volta verso di me.
La sua testa è enorme, e occupa quella che sarebbe normalmente la cabina di guida. Gli occhi hanno le dimensioni di piatti. “Allora? Guarda che ho un orario da rispettare, e se non sali il gradino non posso chiudere le porte”.
Prendo una decisione ed entro. Alle mie spalle una porta membranosa si chiude di scatto. L’interno è forse appena più piccolo di un tram convenzionale e non c’è nessun altro passeggero. Dei sedili in pelle, in vera pelle viva, ne occupano la lunghezza.
Il tram riparte, con appena un piccolo scossone. Mi siedo. “Dove scendi?”, mi chiede il tram. Sulla parte dove dovrebbe stare la cabina si è aperto un occhio e una bocca.
“Piazza Statuto”, rispondo. “Ok”, fa lui. “A quest’ora dovremmo metterci poco”.
Mi schiarisco la voce. “Ehm, scusa… posso chiederti che… chi sei?”
“Nessun problema”, risponde. “Sono un tramsumano”.
“Eh?” faccio io.
“Un seguace del tramsumanesimo. Quelli che seguono il nostro stile di vita si rifanno il corpo come tram o uomobus o treniuomini. Accettiamo pure taxumani, se possono portare almeno quattro persone”.
“E’ un po’… inconsueto”, faccio io.
“Non siamo moltissimi, ma stiamo crescendo di numero. Giusto ieri ho conosciuto un tizio che ha iniziato la trasformazione. Prima era una mucca, ci crederesti? Ha deciso di cambiare dopo che il governo ha abolito i sussidi per il latte”.
“E lavorate tutti per il trasporto pubblico?”
“Oh, no, anche per il privato, ma nel pubblico ci sono le quote, capisci? Essendo in una minoranza inclusiva sono entrato praticamente subito. Come dipendenti comunali hai un sacco di agevolazioni sui pezzi di ricambio. Non hai idea quanto mi si consumino in fretta le rotule”.
“Come mai hai deciso di diventare un tram?”
“Non è che sono diventato un tram, io mi sono sempre sentito un tram, fin da piccolo. Salivo sopra quei mezzi meccanici e avrei voluto essere uno di loro, sapevo di essere uno di loro. Quando la tecnologia è arrivata al punto di poter rimodellare il corpo secondo i desideri, beh, non ho esitato un attimo”.
“E sei felice? A essere un tram, intendo”.
Mi pare che lo stantuffare delle sue gambe abbia un’esitazione, ma forse me la sono immaginata. “Certo”, replica, ma la risposta mi pare in qualche modo meno entusiastica delle precedenti. “E’ quello che ho sempre voluto. Vero, non è semplice avere un corpo così, avere rinunciato…” Si interrompe, riprende. “E in fondo è un po’ noioso fare sempre la stessa strada. I passeggeri, poi, ce ne sono di tremendi”. La voce sfuma. “Mi sa che è la tua fermata”.
Mi guardo intorno, è vero, abbiamo fatto davvero in fretta. “Grazie, allora scendo”
“Aspetta, fa lui. “Questa è la mia ultima corsa, poi stacco. Non è che verresti con me fino al capolinea”, mi dice speranzoso. “Sai, non capita spesso di trovare qualcuno con cui chiaccherare, e noi filomeka siamo visti peggio dei cyber. Potremmo…”
“Mi dispiace”, taglio corto. “E’ stata una giornata impegnativa e sto morendo di sonno. Ci si rivede, eh?”. Scendo. Il tram attende un secondo, chiude le porte e riparte.
Che sono stanco è vero, ma io con un filomeka non ci esco. Hanno fisiologie davvero contorte. Intendiamoci, non è che voglia discriminare, ma preferisco il pelo o al limite le piume alla pelle e al metallo. Uff! Quel tramsumano mi ha abbattuto il morale. Stimolo le ghiandole che mi sono fatto installare il mese scorso e mi inietto nel sangue un po’ di felicità chimica. Ecco un’estensione davvero utile, altro che ruote. Salgo i gradini e sblocco la porta del mio appartamento. Maledizione, adesso mi è passato il sonno, mi sa che trascorrerò la notte a guardare sitcom vietnamite. Mi tiro la porta dietro, stando attento a non pizzicarmi la coda. Tramsumano, da non credere, dove andremo a finire.

Le storie di San Randazio: lo stile saraceno

Quell’anno la gran moda era lo stile saraceno. Alla festa, le donne sfoggiavano complicate acconciature ricche di perline e piume colorate e ostentavano veli trasparenti, mentre gli uomini vestivano ricchi caffetani damascati ricamati con filo d’oro. Gli appassionati discutevano di falconeria, se fossero migliori i rapaci dell’Arabia o gli astori dei Khan asiatici, e v’era parecchia ammirazione per il Gran Sultano che si mangiava fetta a fetta la cristianità e si poteva permettere un harem.
Frà Randazio, in disparte in un angolo, pensava solo a come potersi allontanare da tutta quella confusione. Era stato strattonato a presenziare, dopo che i suoi servizi avevano finalmente fatto cessare la faida dei Cassenelli che tanto aveva insanguinato la città; il suo priore gli aveva fatto capire molto bene che non poteva declinare l’invito del Governatore. Bene, aveva presenziato; oggetto di curiosità per qualche minuto, subito accantonato quando aveva tentato di accennare a quelle virtù a cui anche i nobili e i ricchi avrebbero dovuto aspirare per potere accedere alla vita eterna. Ohibò, era abituato. Si chiese se avrebbe ottenuto maggior successo nell’apostolato presso questi epuloni se avesse concesso più larga indulgenza ai loro piaceri. Fingere di essere dei loro, per poterli conquistare? La tentazione, per il pio monaco, c’era. Ma era appunto una tentazione. Sapeva anche troppo bene che simulare compiacimento nel vizio si può facilmente trasformare in apprezzamento dello stesso. Finendo poi per perdonarsi da sé, invece che domandar perdono: “Scampami da questa tentazione, Signore”, si disse il frate mormorando piano mentre i musici suonavano quella che doveva passare per musica orientale facendo stridere i loro strumenti come gatti in amore.
Perso in questi pensieri quasi non si accorse che intorno a lui si era formato un capannello di gente ammiccante. Ne riconobbe il centro: Fabrizio Ghigolini, il marchese di Portoferrato, quel gran volpino che s’era oltremodo arricchito con i suoi commerci con i Turchi per vie proibite. Si vantava di amicizie con gli arabi che neanche i mercanti veneziani possedevano; sicuramente la gran parte dei panni di cui erano rivestiti i presenti provenivano dalle stive delle sue galee. A fianco stavano appunto un paio dei suoi capitani, qualche cagnolino di corte e il figlio del Governatore stesso, un ragazzotto fin troppo robusto per la sua età. Li contornavano l’usuale codazzo di amanti e concubine starnazzanti, i cui abiti sembravano urlare “Gezabele”. Randazio scacciò quel pensiero poco caritatevole. Nostro Signore non aveva forse ammonito che le prostitute avrebbero preceduto i benpensanti nel regno dei Cieli? Sì, però una volta pentite dei loro errori, bisbigliò una vocina alla sua coscienza. Il frate sospirò, e si sforzò di non guardare le abbondanti scollature delle novelle odalische ma le anime loro e dei loro compari.
Non era la sua prima disfida con il marchese. Già sapeva cosa sarebbe seguito.
“Frà Randazio!” Esordì il nobile tra gli sghignazzi. “Non mi aspettavo di vedere un monaco in fama di santità qui in mezzo ai peccatori”.
Randazio, serafico: “Non tentate la mia vanità, sono tutt’altro che santo. Piuttosto, dove dovrebbe stare un uomo di Dio se non dove c’è più bisogno di Lui? Nostro Signore non è venuto per i giusti, ma per coloro che hanno bisogno di salvezza”.
Il Ghigolini rise, di un riso forzato. “Avrei dunque io bisogno di voi? Vi assicuro che sto bene così. I miei commerci non potrebbero andare meglio; la cristianità ha capito che con i saraceni è meglio commerciare che combattere, finché il Sultano si accontenterà delle sue ultime conquiste. Ma so che voi diffidate degli arabi”.
“Oh, non di tutti, solo di quelli che seguono il loro credo”.
“Ohibò, frate, come mai dite così? Non è in fondo lo stesso dio quello che voi adorate, sotto forme diverse?”
Randazio si rabbuiò. “Tanto poco conoscete la vostra stessa religione, marchese? Quella fu fondata da un predone che assoggettò sterminando i popoli vicini, la nostra dallo stesso Figlio di Dio che si fece mettere in croce per li peccati nostri. Nostro Signore non si compiace dello sterminio”.
“Ah sì? Io avevo sentito diversamente”, replicò il nobiluomo, tormentando l’orlo del suo tabarro scarlatto. “Che ne dite di quei prìncipi cristiani che non si fanno pregare a massacrare gli infedeli?”
“Caro Marchese, siete anche voi un principe cristiano, eppure non mi sembra che seguiate così rigorosamente gli insegnamenti di Nostro Signore. Volete negare agli altri la stessa libertà di peccare, anche gravemente, che vi prendete per voi stesso?”
Il viso del Ghigolini si fece livido. Le donne che lo circondavano avevano smesso di ridacchiare da un pezzo e seguivano attonite lo scambio.
“Eppure vi giuro che conosco saraceni retti e onesti, di cui mi fido ben più che de’ preti e mercanti nostri. Negate che loro possano avere bontà d’animo e già li condannate al fuoco eterno?”
Randazio ristette un attimo, poi disse: “Orbene, vi racconterò una storia narratami da un mio confratello. Presso il monastero dove lui risiedeva viveva una famiglia saracena. Il marito era una brava e onesta persona, ma non trovava lavoro: così i frati, per pietà sua e dei suoi figli, si risolsero di farlo portinaio del convento. Codesto arabo si dimostrò un gran lavoratore, di buon cuore e premuroso, e i frati presero a ben volerlo nonostante perseverasse nella sua religione. Un giorno quel mio confratello gli si accostò e gli espresse l’alta considerazione sua e degli altri monaci per lui. “Padre”, questo replicò, “anch’io mi sono molto affezionato a voi. Quando arriveranno i miei fratelli saraceni a bruciare la città provvederò io stesso a darvi una morte rapida, che non abbiate a soffrire”. Frà Randazio alzò gli occhi verso coloro che gli stavano intorno, muti. “Chi me l’ha raccontata era degno di fede, e io non dubito la sua parola. Quell’uomo era sicuramente convinto che ammazzare i cristiani fosse un servizio da rendere al suo dio, proprio come Saulo, che poi diventò San Paolo. Quindi io non mi fiderò di loro finché non si convertiranno, per quanto giusti e retti siano, perché per me giustizia e rettitudine sono altro. E voi”, disse, indicando le signore acconciate come odalische, “Che vi vestite come le femmine dell’harem del sultano, pensate attentamente se vi piacerebbe essere una di loro; come sono trattate quelle del sesso vostro in quei paesi, cosa sono costrette a fare, e se una donna cristiana si possa piegare di sua volontà a quello stato. State attente che la maschera che portate in questo momento non diventi la vostra uniforme, come forse qualcuno in questa sala sembra sperare”. Si alzò. “E adesso, scusate, ma l’ora s’è fatta tarda. Domattina dirò la messa a Santa Lucia, che come dovreste sapere fu eretta sul luogo dove quelli a la cui moda vi agghindate decapitarono, qualche secolo fa, gli abitanti di questa città che rifiutarono di convertirsi. Mi augurerei di vedervi colà, domani, a mormorare una prece e una scusa alla loro memoria”. E, nel silenzio più totale, uscì dal banchetto. I musici si guardarono tra loro, timorosi di riprendere quella nenia orientale che tanto, fino a poco prima, era piaciuta.

Il Natale di Berlicche

Don Egidio considerò le bandiere arcobaleno pendenti fuori dalla chiesa. Era stato un errore appenderle. Era piovuto per tre giorni; adesso si erano tutte infradiciate e stinte, e non c’era più tempo per cambiarle prima della messa di mezzanotte. Mentre studiava il da farsi si accorse, con la coda dell’occhio, di una presenza che non aveva notato e si voltò. Due figure lo stavano osservando, ridacchiando tra loro, un elegante tipo di mezz’età dalla barba caprina e un giovinastro robusto dai capelli ricci e l’aria un po’ svanita. Malintenzionati? Si chiese. No, sembravano piuttosto… Gli si illuminò il viso. Ma certo!
“Buonasera fratelli, siete qui per una benedizione?”, chiese alla coppia.
Il giovane assunse un’espressione terrorizzata e si ritrasse, il vecchio sogghignò. “No, grazie, non credo che il Nem… che la vostra divinità, lassù, sia così d’accordo nell’estendere le sue benedizioni a noi. Abbiamo avuto a che ridire in passato, e poi esuliamo un po’ dai suoi schemi”.
Don Egidio alzò la mano. “No, non dovete preoccuparvi di questo. Dio è superiore alle convenzioni sociali e alle idee della società borghese sulla sessualità: lui guarda i cuori. Basta che ci sia l’amore”.
“Appunto”, replicò il tizio con la barbetta. L’occhio gli brillava. “Mi tolga una curiosità: come mai quando vede due maschi insieme come prima cosa pensa che si trastullino la papera a vicenda?”
“Eh?” fece il prete.
“Suvvia, padre… un tempo la prima cosa che veniva in mente erano due amici, due conoscenti, due parenti, non intrallazzi genitali… omnia munda mundis, eh? Per dissipare le sue convinzioni, anche se non i sospetti, la informo che il qui presente efebo è mio nipote, e le assicuro che il nostro rapporto non è proprio di quel tipo”.
Il sacerdote si schiarì la voce. “Ehm, scusate l’equivoco. Ma sapete, pensavo che foste appunto venuti a chiedere…”
“No, proprio no”. Un sorriso fugace attraversò il volto astuto del passante più maturo. Si accostò al sacerdote. “Mi tolga una curiosità”, sussurrò, “pensavo che quella faccenda lì, il sesso, fosse regolamentata in una certa maniera da voialtri spandincenso, che il solo accoppiamento valido fosse quello legale e benedetto. Com’è che d’improvviso non rimproverate più quelli che sgarrano, anzi, li inseguite per somministrare loro qualche giaculatoria prepuzia, pardon, propizia?”
Don Egidio si sentì più sicuro. Un tradizionalista! Doveva spiegargli come stavano le cose nel mondo moderno. “Perché oggi abbiamo capito che è sbagliato caricare le persone di pesi troppo gravosi quale la fede impone. Se per loro l’osservanza dei dogmi e dei precetti è difficile, meglio che rimangano ignoranti e si salvino proprio grazie alla loro semplicità”.
“Aah… comprendo. Ma, ditemi, non dicevate che i vostri dogmi e precetti eccetera erano verità? Lo sono ancora?”
“Ehm… certo che lo sono, anche se forse qualche sinodo potrebbe rivalutare…”
“Aspetti, aspetti. Se sono verità, se non li spiegate e non li imponete vuol dire che lasciate che le persone vivano nella menzogna, giusto? Perché la verità è troppo difficile e seguirla porta all’infelicità”.
“Io non so se la porrei in questi termini…”
“E’ quello che ha detto. Che la verità è impossibile da seguire e chi la segue vive male. E’ per questo che non ne parlate più, vero? Un po’ come un dottore che non dice che le sigarette fanno male per non inquietare il fumatore con l’idea del cancro ai polmoni. Molto intelligente, sono d’accordo con voi. Sono giunto da un pezzo alla vostra stessa conclusione”.
“E che sarebbe?”
“Che il Nem… che il vostro Dio vi odia. Vi vuole veramente male. Vi poteva lasciare tutti nell’ignoranza a vivere come animaletti e accoppiarvi con chi vi pareva, e sareste stati tutti salvi. Invece no, ha dovuto immischiarsi, è dovuto per forza incarnarsi a fare lo spiegone, a portare quella verità che rende la vita invivibile, sperando che la seguiste per il suo bel faccino”. Batté una pacca sulla schiena del prete. “Ma tanto non è un problema vostro, no?”
Don Egidio rimase un attimo fermo, come fulminato da quelle parole, poi si riscosse e indietreggiò di un passo. “Ehm, è stato piacevole parlare con voi, ma tra poco inizia la Messa di Natale e devo prepararmi. Verrete anche voi?” chiese alla coppia.
I due si guardarono e quello riccio scoppiò in una risata rauca, come avesse i polmoni pieni del fumo di mille fornaci. “Contegno, Mala… malandrino”, lo rimproverò l’altro, voltandosi poi verso il sacerdote. “Sapete una cosa? Un tempo non avrei potuto accettare, ma adesso in certe feste di compleanno non trovo più nulla che non mi vada, non corro più il rischio di incontrare il festeggiato. Quasi quasi faccio un salto, sa, che non si dica che non ho cura dell’anima che mi è stata affidata…”
“Vuol dire che ha avuto una conversione?”
L’anziano si accarezzò la barbetta e sorrise con troppi denti. “Non io, padre, non io”.

Lo spirito del N.

“Cos’è lo spirito del Natale”, chiese.
“Che domande, le vetrine”, rispose pronta la Giornalista. “Cercare il regalo giusto, di moda”.
“Perché bisogna regalare qualcosa?”
“Non è questo il Natale?” replicò lei, vagamente perplessa.
“Intanto, parlare di Natale è di cattivo gusto”, intervenne in aiuto il Responsabile del Personale. “Non è abbastanza inclusivo, anzi, è fortemente razzista e discriminatorio”.
“Quindi non posso augurare Buon Natale?”
“Certo che no, non siamo nel medioevo. Se proprio si vogliono fare degli auguri, si facciano i season’s greeting, gli auguri stagionali, belli neutri, che non offendono nessuno”.
“Auguri stagionali? Che bello! Allora anche per la Primavera, l’Estate, l’Autunno…”
“Ehm, no, mi sa che non ha capito”.
“Cosa non avrei capito?”
“Che è un giro di parole, un modo per non dire…”
“Buon Natale?”
“Ancora con il Natale? Lo trovo offensivo”, asserì glaciale la Manager. “Pensate a tutti quelli di noi che non hanno avuto figli perché hanno privilegiato il lavoro. E’ crudele sbattere in faccia, così, un bambino”.
“Ma non è stata una scelta libera?”
Arrivò in aiuto il Rampante. “E che scelta azzeccata! Pensate a quanti fastidi avanzati. I piccoli sono solo una rottura di coglioni. Io e il mio compagno andiamo solo in posti dove è vietato loro l’ingresso, come per esempio in queste vacanze. Lo consiglio anche a voi”.
“Ma non ne avevate, ehm, adottato uno? Come fate?”
“C’è la tata, no? La Thailandia non è un posto per bambini. Il nostro, almeno”. Si fermò un istante. “Sì, direi che lo spirito del…” si interruppe, riprese “…della stagione sono le vacanze”.
“Non c’è bisogno di nessuna nascita. Di nessun bambino”.
“Certo”.
“L’importante è distrarsi e riposare”
“Assolutamente”.
“Dimenticare il vuoto”.
Tutti tacquero. Quando il silenzio si fece troppo pesante, intervenne la Manager. “Ops! Si è fatto tardi, ho una call con la Cina. Facciamo la settimana prossima?”
“Si, ciao, vado anch’io”
“Ciao”.
“Ciao”.
La Responsabile del Personale uscì. Faceva freddo. Già, era quasi Natale.
Si morse quasi la lingua. Perché nemmeno lei riusciva a trovare una parafrasi meno offensiva? Che quel nome fosse di turbamento era evidente. Era finita presto, tutti erano scappati via. Quelle domande erano state proprio inopportune. A proposito, chi era che le aveva fatte? A pensarci bene, non era uno che conoscesse. Strano. Chiunque fosse, era meglio la prossima volta non invitarlo. Aveva messo tutti a disagio. Come se ci fosse davvero un vuoto non riempito nelle loro vite così piene. Come se non avessero tutto, come ci fosse bisogno di qualcosa, di qualcuno.
Natale. Che idiozia.

Entopo, cugino di Esopo – Fiaba XXVI – Il canto delle rane

I popoli della palude ammirarono il loro nuovo sovrano prendere possesso del suo territorio. Il precedente re, l’Aquila, aveva dovuto cedere lo scettro per l’età avanzata e per l’ostilità da parte delle nutrie e dei corvi. Erano stati proprio questi a fare sì che venisse eletto come nuovo sovrano l’Airone.

L’Airone si posò sulla grande roccia che sovrastava la palude e cominciò il suo discorso di insediamento. “Mio popolo, questa nostra casa soffre di cattiva fama presso le altre genti. E’ vista come una terra grigia e oppressiva, umida e nebbiosa, triste e malinconica. Ringrazio il mio predecessore per la cura dimostrata durante il suo regno, ma tutto questo deve cambiare! Bando alla tristezza: si faccia festa, accogliamo i visitatori dalle montagne e dal mare. Voi alligatori, sorridete! Zanzare, danzate! E pure voi rane, così poco favorevoli alle novità e alla mia persona, non tacete, dite quello che volete dire, allietate le acque con il vostro canto. Sì, gracidate senza timore, riempite il cielo con quello che passa nel vostro cuore: io, vostro re, vi ascolterò volentieri”.

Il discorso piacque, e cominciò la festa. I moscerini ballavano come impazziti e il gracidio delle rane felici era assordante. Si era già quasi all’imbrunire e l’Airone prese congedo dalla sua gente.
“Continuate pure senza di me”, disse, “Io vado a fare cena”.
“E’ quasi buio”, fece notare la Nutria. “Come farai a trovare nutrimento?”
“Oh, nessun problema”, replicò l’Airone. “Mi basterà seguire il canto delle rane”.

Dare tempio al tempio

Dal Vangelo di Mattia, l’apostolo che non c’era

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Chiamò a sé i discepoli e disse loro: “Non è lodevole? Queste brave persone facilitano l’adorazione, aiutano la gente a pregare e sono un esempio di buona imprenditoria”. Pietro bisbigliò “A me paiono dei disonesti e dei bestemmiatori. Insomma, otto sesterzi per una colomba e dieci per un panettone…” Ma Gesù, avendolo udito, replicò: “E anche fosse? La casa del Padre mio dev’essere aperta a tutti, per quanto perversi e malvagi possano essere. Pensate ai guadagni, più gente entra più bestie si vendono. L’accoglienza è la prima cosa. Vorrete mica negare a qualcuno l’ingresso nel Tempio del Padre mio solo perché non gliene importa niente di ciò che è sacro e fa quel che gli pare e piace? Come posso sapere che cerca davvero? Chi sono io per giudicare?” Al che i discepoli si guardarono l’uno con l’altro imbarazzati. “Senti”, disse Pietro (il frammento si interrompe)

Infozoi

Infozoi infożòi s. m. pl. [lat. scient. Infozoa, comp. di info- e -zoon «-zoo»]. – In zoologia, gruppo di organismi acellulari che possono essere definiti come campi tensoriali autonomi della noosfera proquantistica.

Sebbene l’esistenza di questi esseri sia stata in qualche modo intuita in precedenza, la conferma che si trattino di vere e proprie entità viventi è giunta solo alla fine del secolo scorso, con gli sviluppi delle tecniche proquantistiche. E’ ancora accesa la discussione se possano essere visti come parassiti degli animali e dell’uomo o viceversa. Attualmente sono conosciuti e catalogati circa centoventi specie di infozoi, un numero in continuo aumento.

Un tipico infozoo vaga nella noosfera fino a che incontra un cervello in grado di accoglierlo. Qui si annida e sfrutta l’energia proquantistica emessa dal suo ospite per replicarsi, generando altri infozoi portatori del particolare concetto e idea di quella specie, pronti per lasciare l’ospite originale e infettare altre menti.
Sebbene gli infozoi in genere abbiano un’esistenza breve, esistono esemplari in grado di rimanere anni in apparente stasi. Non deve essere sottovalutata la pericolosità di questi esseri: un solo infozoo può essere in grado di riprodursi in milioni di esemplari in tempi brevissimi. Tra le specie più invasive e dannose possiamo ricordare lo i. depressionis, lo i. hostilis e gli i. preconcepta che tendono ad insediarsi in gruppo in un singolo ospite e hanno vita molto lunga. Analogamente, l’i.narrationis nelle sue molteplici varietà rappresenta uno degli infozoi generalmente benigni di maggiori dimensioni e complessità.

E’ ancora largamente ignoto il ciclo vitale completo degli appartenenti alle varie specie di infozoi, ed è fonte di speculazioni il loro ruolo nella storia. Una teoria in voga sul finire del secolo asseriva che le entità chiamate Muse non siano nient’altro che infozoi di livello superiore che riescono a rimanere nascoste grazie alle loro abilità, e che l’uomo è stato fatto evolvere da loro come incubatore perfetto. Se gli animali possiedano un pensiero indipendente dagli infozoi è ancora oggetto di dibattito, come ignota è l’influenza che gli infozoi esercitano sulle indagini sul loro stesso conto.

Parallelamente al riconoscimento di questo nuovo regno di viventi sono state sviluppate cure e vaccini allo scopo di frenare il proliferare di infozoi sgraditi. Alcuni vedono queste cure come una forma di predazione o selezione naturale tra specie all’interno della stessa infosfera, in quanto il loro studio sarebbe impossibile senza gli infozoi stessi. Questi esseri si sarebbero fatti conoscere allo scopo di sradicare alcune specie sgradite agli infozoi più evoluti.

Certe correnti religiose asseriscono che la cosiddetta anima esista e non sia in realtà che un infozoo di livello superiore, con la divinità come infozoo supremo. Tali idee sono ritenute blasfeme dalla religione musulmana e sono oggetto di discussione tra i cattolici, specie dopo l’enciclica papale in merito.
Per concludere si deve notare qui che la tecnologia proquantistica è ancora troppo immatura per giungere a conclusioni sulla autentica natura di questi esseri a lungo sconosciuti, in attesa che gli infozoi stessi ci permettano di comprenderli.

Bibliografia:
I.M. Broglie, E .Khon, F. Fushi et al., “Infozoi e campo proquantistico”, in Nature 4, 2089
K. Staddi, “L’infosfera”, ed. Columbus 2091
P. Olemick, “Il ciclo vitale degli infozoi”, ed. Brutus, 2096
E. Von Zaineken, “Siamo tutti infozoi”. ed. Miretti Press 2098
Papa Francesco VII, Enciclica “De spiritu infospherae”, 2099

Pietà

“Che sciocchezza”, disse l’uomo. “Esiste solo ciò che si può misurare e toccare, il resto è illusione”.
Lei lo guardò con pietà, ma lui non se ne accorse.

Coerenza

Aprì gli occhi e si guardò le mani. Non erano più le mani di un vecchio, ma erano sicuramente le sue. Alzò lo sguardo, stupito. Aveva scommesso che non ci sarebbe stato niente, dopo avere chiuso gli occhi per l’ultima volta.
“Non è il primo sbaglio che hai fatto, ma oso dire che è da quello che sono derivati tutti gli altri”, gli comunicò con voce pacata l’uomo che gli stava davanti.
Fissò quell’uomo. Un’allucinazione? Le contorsioni di un cervello morente? No, non si sentiva più morente. Probabilmente non era mai stato meglio.
Rimase immobile. Sapeva abbastanza da capire che stava venendo giudicato. In qualche maniera strana, ogni particolare della sua vita gli stava davanti nitido, ancora più nitido di quando l’aveva vissuto. Ora si trattava di comprendere come venirne fuori. Ci era sempre riuscito, in un modo o nell’altro. Quale strategia seguire? “A mia discolpa”, cominciò, “Ho sempre cercato di fare ciò che è giusto. Sono stato coerente con le mie convinzioni, anche se non credevo a…” Abbassò lo sguardo, la voce gli si affievolì, si fermò, continuò, “I tuoi mi hanno onorato, sono stato anche amico, molto amico con alcuni di loro. Questo vorrà pur dire qualcosa. Mi pare di ricordare che voi apprezziate i giusti”.
L’uomo annuì. “Questo è vero. Però bisogna intendersi su una cosa. Qual è la giustizia che hai seguito? Di chi era?”
“La giustizia è… la rigorosa osservanza delle leggi, il più severo controllo di legalità”, rispose.
L’uomo sospirò. “C’è differenza tra ciò che è legale e ciò che è lecito. Se ci curiamo solo del primo e dimentichiamo il secondo la nostra non è vera giustizia, ma una costruzione di chi decide le leggi e le usa secondo quanto lui stesso ritiene giusto”.
Si irritò. Sempre la stessa storia. “Perché la mia giustizia sarebbe inferiore a quella tua?”, replicò.
C’era un tocco di amaro nella voce dell’uomo, quando rispose. “Non hai creduto in me quand’eri in vita, nonostante tutti i testimoni che ti ho mandato e le prove che ti ho offerto, e continui a non credermi neanche ora che vedi la verità, mi sembra. Coerente anche oltre l’ultimo”. Ancora quello sguardo. “La ragione è perché hai commesso immense ingiustizie seguendo quella tua giustizia”. L’uomo accennò dietro di lui. “Guarda”.
La folla alle sue spalle, di cui non si era accorto, lo guardava non con rabbia o rimprovero, ma con tristezza. Riconobbe alcuni di quei volti. “Capisco”.
Alzò il capo con orgoglio. “Anche se forse con alcuni di loro ho sbagliato, l’ho fatto con onestà e coerenza, pensando di fare il bene. Mi punirai perché ho pensato in modo differente da te?”
“Quale bene?” L’uomo scosse il capo. “Punirti? No, anzi. Rispetterò la decisione che con coerenza hai perseguito. Non mi hai voluto, mi hai rifiutato per inseguire altro”, gli disse guardandolo con tristezza “quindi come da tuo desiderio non avrai parte con me”.

Colui che dà le carte

“Non comprendo donde veggi tutto questo ordine di cui blateri, frate” disse Dagoberto posando un’altra carta da gioco sul tavolo. “A me pare che questo mondo sia tutto una gran baraonda”.
Fra’ Randazio sospirò. Il compito di sottrarre quel nobile rampollo dalla sua vita dissipata era più improbo che convertire un’intera tribù di masnadieri turchi. D’altra parte, non poteva esimersi dall’incarico. Il priore del convento era stato chiaro: i Girobaldi erano importanti benefattori, ed erano pressoché disperati per quel loro figlio.
L’avevano mandato a Parigi perché fosse educato, ed era tornato maleducato. Pareva che le uniche cose che avesse imparato fossero dadi e tarocchi, inseguire le gonnelle e disputare di cattiva filosofia. Randazio, che ben conosceva lo stato in cui era ridotta la Sorbona, non si stupiva più di tanto. I maestri del nobile rampollo erano stati chierici inorgogliti dalla sapienza, e non c’è niente di peggio per chi voglia insegnare che il non aver voglia di apprendere. Malgrado ciò, però, il frate non era del tutto pessimista. Il fatto che il ragazzo fosse sì avvezzo al gioco voleva dire che così assiduo alle lezioni non doveva essere stato. C’era ancora una speranza di salvarlo.

Randazio si alzò e si avvicinò al tavolo dove Dagoberto sedeva dandogli le spalle con studiata cafonaggine. Gettò un’occhiata alle diverse colonne di carte impilate una sopra l’altra, a cui il giovane aggiungeva nuovi tarocchi pescando dal mazzo che teneva in mano.
Il frate rimase qualche istante immobile, mentre il gioco continuava, poi disse con voce cheta: “Una certa ragione tieni, figliuolo, sul disordine. A fe’ mia, queste pile di carte ammucchiate non possiedono alcun ordine”.
Dagoberto sbuffò sprezzante. “Per te forse, frate, che non sei avvezzo ai giuochi di carte. Se guardi bene, però, noterai che il valore di ognuna carta della pila è di uno superiore di quella che le è sottana. Il giuoco consiste proprio in questo, nel riordinare…” la voce gli si smorzò, e il giovane si girò a guardare il volto di Randazio. “Ben giocata, padre”.
“Non sempre noi uomini riusciamo a veggere dove sia l’ordine, o a comprenderlo, ma ti assicuro che c’è”, replicò quietamente il fraticello. “Nelle carte come nel mondo”.
Gli occhi di Dagoberto si fecero astuti. “Ah sì?”
Con un gesto improvviso scompigliò i mucchi di tarocchi, aggiungendo alla rinfusa quelli che aveva ancora in mano. “Dimmi, frate, adesso riesci ancora a trovare un ordine in questo bailamme?” chiese beffardo.
“Certo”, replicò Randazio. “Dimmi: qualcuna di quelle carte ha forse cambiato seme, valore, invece di rimanere sul tavolo disparve oppure sta innalzandosi nell’aere?”
“Certo che no”, rispose Dagoberto.
“Allora ognuna di esse risponde ancora a un ordine e una legge; può avere cambiato di posizione, perché così ha imposto la tua mano, ma nella sua stessa sostanza ancora obbedisce all’esistenza che Dio immette in tutte le cose”.
Il giovane incrociò le braccia. “Sei furbo, frate. Ma dimmi: lo dimonio, lo tentatore, donde rientra in questa tua visione? Se ogni cosa è ordine e disiderio divino, lo è lui anco?”
Randazio incrociò le braccia e guardò il ragazzo. “Mi parve, Dagoberto, tu non fossi d’accordo con mia codesta visione d’ordine, tanto che sparigliasti pocanzi le carte per farmi dispetto”.
“Certo che nol sono. Aborro quella tua antiquata credenza”.
“E se Domineiddio ti lascia per amore della tua libertà di uomo codesta possibilità, quella di rifiutare Lui e la Sua opera, perché la dovrebbe negare a colui che era il più bello dei suoi angeli, Lucifero? Pur esso non crede all’ordine del suo Creatore, e tenta di disfarlo, ma non ci può riuscire, proprio come tu non puoi disfare la realtà delle carte”.
Randazio mise una mano sulla spalla del ragazzo, che si era ammutolito. “La legge di Nostro Signore non è un ordine fine a se stesso, ma per la nostra salvezza. Essa comprende financo i miracoli e la possibilità di negarla, proprio per guidarci ad essa e perché liberamente possiamo amare, senza costrizione alcuna. Non siamo schiavi ma figli: come i tuoi parenti ti mandarono ad apprendere sperando di fare di te un uomo, cosa ricavare a vantaggio nostro e della nostra anima da ciò che Nostro Padre Celeste ci dà è compito nostro. Non ci sono difetti nella sua opera. Non sottovalutare Colui che ha creato le carte, e tutti noi”.
Detto questo, Randazio si diresse verso la porta. Con la coda dell’occhio vide che Dagoberto stava raccogliendo le carte, muto e pensoso.
Sì, forse il gioco non era concluso.

Sopravvalutata

“Studiare non serve”, esordì il professore.
L’allievo del primo banco alzò il braccio. “Scusi, prof, ma come fa a dirlo? Sono millenni che ci sono le scuole, a qualcosa serviranno…”
“Inutili, lo ribadisco con cognizione di causa. Tutti i moderni trend della psicologia e dell’educazione sono concordi. Lo posso affermare con certezza perché io sono un esperto, ho studiato a lungo la materia”, terminò il docente con un ondeggiare dismissivo della mano.
L’allievo sollevò ancora il braccio. “Scusi ancora, prof, ma se non studiamo come facciamo a imparare?”
Il professore sospirò, scuotendo la testa deluso dall’immaturità dei suoi allievi. “Basta che voi siate convinti di sapere. E’ il viaggio che importa, non la meta. L’esperienza è sopravvalutata, quindi se voi davvero siete convinti di qualcosa nel vostro cuore, se ne siete certi, allora è fatta! Nessun bisogno d’altro”.
“E questo lei ce lo dice…”
“Perché ho studiato. Non commettete l’errore di pensare che quella che viene chiamata la conoscenza tradizionale valga qualcosa. Non si può affermare niente con certezza, quindi tanto vale lasciarla perdere. Non vorrete mica ritornare al medioevo, dove tutti erano tradizionalisti, credevano che la verità esistesse e quindi erano cattivi e ignoranti?”.
“Ah, ok”, fece l’allievo poco convinto. “Quindi a chi ci darà il lavoro da adulti non importeranno le nostre competenze ma…”
“Quanto sarete convinti di sapere, oppure se fate parte di quelle categorie svantaggiate che possono permettersi di saltare questo particolare”.
“Come?”
“Le categorie svantaggiate hanno diritto automaticamente a ogni privilegio come compensazione”.
Il giovane assunse un’aria perplessa. “Questa non la capisco. Come possono essere svantaggiate se hanno tutti i vantaggi?”
“E’ qualcosa che voi che non avete studiato non potete capire. Certuni sono naturalmente svantaggiati, quindi è giusto che siano avvantaggiati in qualsiasi altro caso”.
“Anche se, mettiamo, appartenessero a una di queste categorie ma fossero straricchi e superintrodotti, tipo?”
“Certo. Lo svantaggio prescinde da questi particolari contingenti. Per fortuna oggi la società, dalle aziende ai governi, con matura consapevolezza favoriscono in ogni modo questi perseguitati sfortunati e colpiscono con durezza ed emarginano chi non si adegua alla tolleranza”.
Ancora una volta il braccio si alzò.
“Sì, che c’è ancora?” fece il prof infastidito.
“Scusi, prof, ancora non capisco. Dice che studiare non serve e bisogna crederle perché ha studiato, afferma con certezza che niente è certo e che essere svantaggiati è un vantaggio. Non le pare che manchi un po’ di logica in tutto questo?”
“Boh”, fece il prof, “anche la logica è sopravvalutata”

Format

Science Now: “Gli alieni potrebbero minacciare la Terra”
Una simulazione fatta da alcuni docenti della Stanford University suggerisce che potrebbero esserci civiltà aliene nella galassia che forse sono una minaccia per la Terra

New York Times: “Gli alieni minacciano la Terra”
Il pericolo degli alieni è reale, asseriscono gli studiosi

The Times: “Gli alieni sono una minaccia reale
“Non dobbiamo sottovalutare il pericolo”, dicono gli scienziati

Washington Post: “Cresce la paura per la minaccia aliena
Premio Nobel spiega perché sarebbe errato sottovalutare la minaccia aliena

Time: “Guerra aliena!”
Perché la politica non fa niente contro la minaccia aliena?, si chiedono pubblico e scienziati, mentre il terrore dilaga

Newsweek,: “Catastrofe aliena: la razza umana a rischio estinzione”
La razza umana rischia l’estinzione per mano aliena nei prossimi 10 anni se non si fa qualcosa. Bisogna muoversi ora

Sunday Times : “Dimostranti bloccano aeroporti”
Attivisti di “Stop aliens NOW” si sdraiano sulle piste. “Ci rubate il futuro”, urlano.

Ansa: “Onu indice giornata contro gli Alieni
Il 25 settembre è la giornata della consapevolezza aliena. Dimostrazioni in tutto il mondo per la lentezza dei governi a reagire alla minaccia

New York Times: “Solo il raggio a neutrini ci potrà salvare”
Contro gli alieni è la sola arma efficace. Parla l’inventore

Reuter: “L’arma che ci salverà”
Sempre più forti le voci che chiedono di accelerare lo sviluppo dalla tecnologia neutrinica. “Servono fondi ora, prima che sia tardi”. Intervista con il massimo esperto

Reuter: “Quasi pronta l’arma antialieni”
Il primo prototipo è previsto per settembre, ma la tecnologia è ormai matura

The Economist: “Team di industrie per il neutrino
Le più grandi compagnie industriali e finanziarie appoggiano lo sviluppo della scienza del neutrino: “E’ la tecnologia del futuro”

New York Times: “Gli stati finanziano la tecnologia antialieni
Forti investimenti in tutto il mondo hi-tech per il neutrino. Dal summit nuovi incentivi

Repubblica: “Anche l’Europa avrà il suo Cannone a neutrini
Previste sovvenzioni per centinaia di miliardi di Euro nei prossimi cinque anni

Scientific American: “E’ sicuro il neutrino?
La scienza si interroga sulla sicurezza delle armi neutriniche. Parlano gli esperti

Wall Street Journal: “Il neutrino vola in borsa
Ogni giorno cresce il numero delle startup per lo sviluppo del neutrino. Forti ricadute tecnologiche, “E’ un’occasione”

Herald Tribune: “Il neutrino serve, ma occorre regolamentarlo
Quale legislazione per le armi neutriniche? Cresce la preoccupazione per i possibili usi scorretti

LA Weekly: “Il raggio sarà pronto a fine anno
L’industria del neutrino si muove a passi da gigante, imminente la commercializzazione. “Possibilità infinite”

Le Figaro: “Licenziato professore, dubitava di alieni e neutrini
E’ stato licenziato il docente che insegnava che gli alieni non sono reali. “Non possiamo permetterci dubbi”, dice il ministro

Europenews: “Altri soldi per il neutrino
Sulla scia degli USA, anche l’EU aumenta gli incentivi per lo sviluppo del neutrino e sblocca nuovi fondi

La Stampa: “Gli antineutrino, ignoranza e disinformazione
Coloro che attaccano il neutrino attaccano la scienza e ci vogliono schiavi degli alieni

Reporter: “Schmidt, il neutrino sarà pronto in tempo
Il commissario per lo sviluppo neutrinico dichiara infondate le voci critiche dopo l’ennesimo rinvio

Chicago Tribune: “Neutrino, ancora problemi
Nell’imminenza dell’attacco alieno gli sviluppi fanno fatica a soddisfare le aspettative. Il Presidente fiducioso: ce la faremo, ma abbiamo bisogno di maggiori risorse.

Le Monde: “Ma sono veri questi alieni?
Alcuni studiosi avanzano dubbi sulla minaccia aliena. “Sono una minoranza di fanatici”, dicono gli scienziati

Corriere della Sera: “Il neutrino ce la farà
Crescono i dubbi sulla sostenibilità neutrinica. “Servono più fondi per lo sviluppo”, ribatte il commissario. Si pensa a una nuova tranche di aiuti per il settore.

The Economist: “Il neutrino crolla in borsa
La più nota startup di sviluppo del neutrino ha dichiarato bancarotta. “Ma non vuol dire che la tecnologia non sia valida”. Accuse di malversazione a note personalità.

Science Daily: “Dove sono questi alieni?
Il pericolo alieno potrebbe essere stato grandemente sopravvalutato

The Guardian: “Il flop del neutrino
Dopo tutto il tempo e le risorse impiegate ancora non si ha un cannone neutrinico funzionante, nonostante gli annunci.

Il Tempo: “Il neutrino, vent’anni dopo
Vi ricordate il grande panico degli alieni? Amarcord tra nostalgici, delusi e chi ci crede ancora

***

Quanto sopra è un format per le TRUFFE globali, dove pochi si arricchiscono a dismisura sfruttando i fessi. Sostituite ad “alieni” e “neutrini”:
emergenza monetaria, criptovalute;
cambiamento climatico, green economy;
COVID, vaccini;
discriminazione sessuale, gender;
sviluppo tecnologico, nanotecnologie;
sviluppo tecnologico, intelligenza artificiale…
e via andare.
Funziona sempre.

Il potere delle tenebre

“Così è questo il potere delle tenebre”, sussurrò Marco.
Il silenzio era rotto solo da un ululare lontano. Il cielo era coperto da una cappa grigia che nascondeva le stelle, come aveva celato il sole fino a poco prima. Il colore plumbeo del giorno aveva lasciato il passo a una oscurità ancora più fonda. Niente sembrava muoversi tutt’attorno. L’aria era calda, immobile, soffocante. Marco sapeva bene che altri come lui dalle loro case osservavano il cielo muto, domandandosi cosa sarebbe accaduto domani. Il domani, il domani. Era arrivato, quel domani che un tempo si pensava avrebbe risolto ogni problema; solo per accorgersi che non c’era nessun paradiso oltre l’angolo.
L’umanità ora scrutava con il fiato sospeso il cielo, in attesa di un raggio di sole, uno spicchio di cielo blu, un refolo di vento che potesse sollevare la maledizione che li stava condannando. Il futuro che stavano vivendo era il prodotto della mente malata di pochi folli, che avevano liberato la catastrofe sul mondo credendo di poterlo salvare.

Un rumore, al limite dell’udibile. Il ripetersi ossessivo di parti metalliche che si urtavano, sfregavano una con l’altra, riempendo la notte con il mantra del loro disarmonico martellare.
Qualcosa si stava avvicinando.
Marco si voltò verso l’origine del suono, sempre più forte, che ora echeggiava tra i palazzi silenti e le strade sporche come lo zampettare di un empio insetto. Ormai era nella via accanto, e ora quasi sull’angolo. Infine apparve.
Ingranaggi che giravano, metallo antico scrostato, una cassa oblunga che ospitava chissà quale oscena ordinazione. Il corriere avrebbe fatto meglio a comprarsi un’altra bicicletta, perché quella era chiaramente all’ultimo stadio di usura. Rumorosamente attraversò il viale e sparì verso la sua destinazione ignota, il suo clangore che si spegneva in lontananza.
“Accidenti, che casino che faceva quel rottame”, disse il suo vicino, una sagoma che si indovinava appena. Non l’aveva veduto, seduto anche lui nel buio sul suo balcone, mentre in canottiera si faceva aria con un ventaglio.
Marco alzò il braccio in segno di saluto. “Ciao, Diego. Mi sa che domani tocca anche a noi andare di nuovo in bici. Con queste nuvole e senza vento col cavolo che domani ridanno corrente”.
Diego emise un grugnito. “E intanto la mia auto elettrica arrugginisce. Quel po’ di batteria che avevo me l’hanno succhiata tutta via”. Marco capiva bene Diego. Il suo posto di lavoro distava venti chilometri, e i pochi mezzi pubblici che ancora giravano erano sovraffollati. La scarsa energia generata dalle centrali non ancora dismesse finiva tutta alle fabbriche.
“Vedi il positivo. Siamo a giugno, se non altro fa caldo. Quest’inverno mi sembrava di morire a lavarmi con l’acqua gelata. Almeno voi i pannelli solari li avete ancora”. Quelli del suo condominio erano stati spazzati via da una grandinata l’anno prima, e non c’erano i soldi per rimpiazzarli. Avevano scaldato poco, ma almeno quel poco c’era. Ora invece…
“E che ce ne facciamo? Sono vecchi, e quel niente che producono siamo obbligati a metterlo in rete”. La voce di Diego era amara, ma di quell’amaro troppo stanco per essere ancora iroso. Ormai anche le lamentele avevano un che di rassegnato, come una filastrocca ripetuta troppe volte, un cerino usato che non infiammava più. Così andava il mondo. Se non altro lo avevano salvato dal riscaldamento globale, o cambiamento climatico, o catastrofe ambientale o come lo chiamavano adesso. Temporaneamente. C’era sempre un sacrificio in più da fare.
Il silenzio si prolungò. “Ho sentito che vogliono sospendere del tutto l’importazione di auto dalla Cina”, gli comunicò Diego perso nel buio. “Ci stavo facendo un pensierino, peccato”. Marco rise. Il suo vicino scherzava, ovviamente. Nessuno a parte gli straricchi poteva più permettersene una, e da quando avevano messo fuorilegge i benzinai procurarsi carburante al mercato nero era diventato sempre più impossibile.
Si udì lo scricchiolio di una sedia. “Buonanotte. Vado a letto, domani mi devo alzare alle cinque se voglio arrivare in ufficio in orario”.
“Buonanotte, Diego”. Marco rimase solo a fissare la citta spenta nel suo blackout. Era ancora una volta la notte primigenia, l’oscurità nella quale gli uomini tremanti si nascondevano dalle ombre notturne aspettando il giorno con cuore tremante. Neanche un fuoco di sterpi si poteva più accendere. Sarebbe stato antiecologico. Ognuno da solo, ad attendere quel futuro scintillante promesso e non mantenuto, il cuore sempre più cupo.
“E’ il potere delle tenebre”, ripeté Marco, rivolto al silenzio.

La ristrutturazione

A volte capita che, per nessun motivo particolare, ci mettiamo a conversare con dei perfetti sconosciuti.
Si commenta qualcosa ad alta voce, ci si guarda negli occhi e si attacca a chiacchierare. Spesso è gente che non rincontreremo più in vita nostra. Ci si scambia banalità, ci si saluta e ci si dimentica.
Certi incontri, però, sono difficili da dimenticare. Come quello che mi accadde tre anni fa, in un piazzale dove attendevo che un mio familiare mi raggiungesse per tornare verso casa.
Avevo parcheggiato la macchina ed ero sceso. Anche la sera stava scendendo sulla città, e le luci si accendevano a cancellare le prime stelle di un cielo limpido. Avevo camminato per qualche metro fino al punto in cui l’asfalto finiva in una bassa siepe e si apriva la vista sui viali percorsi dal traffico cittadino, il cui rumore giungeva attutito dalla distanza. Guardavo il panorama già da un paio di minuti quando mi accorsi dell’altro.

Per qualche motivo non riesco davvero a ricordare che viso avesse, la sua età o come fosse vestito. In maniera del tutto normale, suppongo. Era voltato, come me, verso gli antichi edifici del centro cittadino, seduto su un panchina dietro le mie spalle, immobile. La sua presenza mi era completamente sfuggita fino a quel momento, immerso com’era nella penombra. Provai quasi imbarazzo in quell’istante, come se fossi stato colto a compiere qualcosa di vergognoso o illegale. Sentii un bisogno irrazionale di giustificarmi, quasi fosse in qualche modo deplorevole fermarsi a contemplare la bellezza. Così sbottai in un “Grande vista, eh?”

Sarebbe potuta finire là, ma lui mi diede corda, e iniziammo a scambiarci battute. Mi ricordo poco o niente dei primi minuti di conversazione, o come arrivammo a parlare di lavoro. Mi rammento solo che, a un certo punto, confessai di essere un ingegnere. “Sono ingegnere anch’io”, affermò lo sconosciuto.
“Ah, e di cosa si occupa?” chiesi, incuriosito.
“Ricostruzione e ammodernamento”.
“Ingegnere civile?”
Lui scosse la testa. “No, lavoro sull’Universo”.
Da quell’istante il dialogo prese una strana piega. Lui parlava con tono amichevole e sincero e, per qualche ragione, non mi sognai di mettere in dubbio quello che mi stava raccontando anche se era del tutto assurdo e impossibile.
“Cosa c’è da ricostruire nell’Universo?”, chiesi, buttandola sullo scherzo.
“Oh, un sacco di cose”. Si interruppe per un istante, guardò lontano, verso le prime stelle che brillavano ammiccanti in un blu cupo, continuò. “Lo facciamo spessissimo. Abbastanza spesso, via, quando occorre. Per esempio: quattromila dei vostri anni fa l’Universo era molto più piccolo di adesso. Era appena più largo di questa città, periferie comprese. Non che ci fosse bisogno di molto altro, le cose erano parecchio più semplici. Il sole gli girava attorno e tutto funzionava che era un piacere”.
Forse voleva essere divertente. “Il sole girava attorno alla Terra?”, sogghignai. “E magari era anche piatta”.
“Certo che era piatta”, replicò, sembrando quasi offeso. “Non c’era ragione di farla sferica, ancora. Bastava allargarla ogni tanto. E’ rimasta piatta per un millennio o due, prima che la ristrutturassimo”.
Decisi di stare al gioco. “E perché l’avete ristrutturata?”
Lui allargò le braccia. Il suo profilo spiccava scuro contro le luci dei lampioni. “I soliti problemi. Gente che cerca di scoprire di più, che non si accontenta e che si imbatte in cose che non può spiegare. Raggiungono i limiti, e noi dobbiamo spostarli un poco più in là. Con la Terra e il Sole è stato ancora facile, sono le stelle e le galassie che sono un vero mal di testa”.
“Io pensavo che l’Universo fosse nato quindici miliardi di anni fa”, sbuffai.
“Certo che è nato quindici miliardi di anni fa. Non ci limitiamo a ristrutturare lo spazio, ristrutturiamo anche il tempo”. Rise tra sé, come per un gioco lasciato non detto. “Gli oggetti astronomici sono semplici, in fondo. La vita è molto più complessa. Provate a progettare l’evoluzione all’indietro, partendo dal gatto per arrivare al suo progenitore archeozoico. Quello sì che è un lavoraccio”.
Rimanemmo in silenzio. Per qualche motivo ero quasi tentato di credergli, tanto incredibile era ciò che mi stava raccontando. “Perché mi sta dicendo queste cose?”, chiesi.
Lui mi guardò, rilassato. “Perché sto aspettando che la prossima ristrutturazione parta, tra un paio di minuti, e ho qualche istante da perdere. E’ probabile che la nostra conversazione sia sovrascritta: il tempo sta per essere modificato, e quasi sicuramente queste quattro chiacchere non saranno mai avvenute. Ma, anche se così non fosse, non credo che dovrò preoccuparmi”. Mi fece l’occhiolino.
Un vago senso di disagio mi avvolse. “Cosa state facendo, stavolta?” sussurrai.
Lui sorrise. “Tutta la faccenda ‘materia oscura’ l’abbiamo rimandata anche troppo. Mai sentito parlare dell’effetto transolografico?”
“No”, feci io.
“No? Ne sentirà parlare eccome, tra un po’…” La sua voce si spense, e improvvisamente non era più lì.
Mi guardai intorno. Dov’era andato? Ruotai su me stesso, ma il parcheggio era deserto e lui non si vedeva più da nessuna parte. Scossi la testa. Che assurdità, mi dissi, mi stava sicuramente prendendo in giro. Ci stavo quasi per cadere, ma come si fa a credere a storie fantastiche e irreali in un pomeriggio assolato come questo?