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Le storie di San Randazio
San Randazio e i due prigionieri
San Randazio bussò al pesante portone. Una finestrella dalle spesse sbarre si aprì per un istante, e nell’ombra un paio d’occhi infossati guardarono il religioso. “Chi è?” udì pronunciare da una voce distante dietro il portone. “E’ quel frate”, sentì rispondere.
Attimi di silenzio, bassi borbottii, poi il portone cigolando si aprì di uno spiraglio. Randazio vi si infilò.
Un ufficiale barbuto lo squadrò. “Ha un bel coraggio a venire qui. Potrei anche decidere di tenerla dentro.”
Randazio lo guardò sorridendo. “Suvvia, capitano. Se i suoi superiori mi avessero voluto arrestare l’avrebbero certamente già fatto. Invece mi hanno dato questo lasciapassare”, disse, sventolando un foglio arrotolato e sigillato “Per poter far visita ai miei poveri fratelli in carcere.”
L’ufficiale si massaggiò la barba. “Glielo ripeto, avrebbe fatto meglio a scappare come gli altri. Ma voi preti siete matti del vostro. I veri preti, cioè.”
Accennò ad una porta sbarrata che conduceva nelle viscere della fortezza. “Ce ne sono tre dentro, ora come ora. La guardia la scorterà dal suo.”
Randazio lo guardò in volto. “Sarebbe possibile visitare anche gli altri due?”, chiese.
Il capitano lo guardò con aria perplessa. “E perché? Mica li conosce gli altri. Sono delinquenti.”
“Ragione di più. Chissà che si ravvedano”.
Il capitano sbuffò, a metà tra la noia e il riso. “Soldato, scorta questo frate nelle tre celle e stai di fuori di guardia alle porte. Frate, tra mezz’ora ti voglio fuori”.
Il corridoio era scuro e umido, appena sotto il piano del cortile. La prima cella era un buco di forse tre metri per parete, con un pertugio di finestrella in alto. Tanfava di muffa e orina.
“Hai visite”, disse la guardia al prigioniero incatenato al muro. Questi si voltò a guardare Randazio per un attimo, poi tornò a fissare con sguardo torvo la finestrella, come potesse svellere a forza d’occhiate le sbarre.
“La pace sia con te”, disse Randazio.
“Ma vaffanculo, monaco”, fu la risposta.
Randazio sospirò. “Sono in visita. Posso fare qualcosa per te?”
“Sì, sparisci. Anzi, meglio, frega la spada alla guardia e porgimela”.
“E cosa ne vuoi fare?”
“Spezzo le catene, poi sbudello te e tutte le guardie”.
“Programma interessante. Temo però di non poterlo fare.”
“Allora sei inutile, barba. Vattene prima che ti metta al collo queste catene e ti ci strozzi. Non sai chi sono io?”
“Non ho il piacere.”
“Sono il bandito Lentizzi. Vuoi parlare ancora con me?”
“Certo. Se non volessi parlare con chi ha peccato avrei fatto voto di silenzio perpetuo. Tutti facciamo il male, ma per Nostro Signore tutti possiamo essere perdonati per tutto. Basta esserne pentiti.”
“Io ho ammazzato”.
Randazio lo guardò per un lungo istante. Poi “Quante volte?” chiese.
Lentizzi scattò in piedi, in un tintinnar di catene. “Che te ne frega? Che me ne frega di quelli? Io faccio quello che voglio. Credi di poter fare il furbo perché io sono incatenato e tu no? Questa prigione non mi può tenere. Presto sarò di nuovo libero, e ti verrò a cercare, prete.”
Randazio si limitò a guardarlo. “Ci sono catene che si possono spezzare e sbarre che si possono piegare, ma ce ne sono altre che ci tengono prigionieri da cui non ci si può liberare così. Io ti offro la liberazione da questo tipo di prigione; e ti assicuro che è la peggiore. Se mi cercherai, mi farò trovare.”
Il prigioniero ringhiò. “Guardia, portamelo via di qua”.
“Non molto successo, eh, padre? Quello è una bestia.” gli sussurrò la guardia richiudendo la porta della cella.
“Siamo tutti bestie, prima di diventare uomini”, disse Randazio. “Chi è il secondo?”
“Un funzionario accusato di avere rubato”
“Capisco, mi faccia entrare”.
La seconda cella era del tutto simile alla prima, ma la persona incarcerata molto differente. Lentizzi era massiccio quanto questo era magro. Ambedue avevano in comune la sporcizia e l’odore.
“Che significa questa visita? Che volete?” domandò il prigioniero allarmato.
“La pace sia con te. Son venuto a trovarti”, disse Randazio.
“Perde tempo con me, frate. Vede, io sono innocente, non ho fatto niente. Se sono qui è solo colpa della sfortuna. Tra poco tutto sarà chiarito e io sarò liberato. Quindi non ho bisogno di un prete”.
Randazio si grattò la testa. “Non so dire dei crimini di cui lei è accusato, ma nessuno può dirsi davvero innocente. Se posso…”
“Ho già detto che non ho bisogno di niente. Lo so che vorrebbe approfittarsi di me, come fate sempre voi preti quando vedete qualcuno in difficoltà, ma questa situazione finirà presto. E’ temporanea.” Tacque, poi lo squadrò con sguardo improvvisamente calcolatore.
“Però, se è riuscito ad arrivare fin qui vuol dire che conosce gente importante. Se volesse adoperarsi per farmi liberare, io potrei essere molto generoso una volta fuori, mi sono spiegato?”
“Si è spiegato benissimo”, rispose Randazio, “Ma sfortunatamente non sono neanch’io molto ben visto, come del resto tutti quelli della mia Chiesa, in questo momento. Come forse sa, il Re è stato scomunicato e nella cella di fianco alla sua c’è il mio vescovo”.
Il carcerato si allarmò. “E viene a parlare con me, con il rischio di compromettermi? Non ha pensato alla mia sicurezza? Vada subito fuori!”
“Ma io…” provò Randazio.
“Fuori! Guardia! Guardia! Quest’uomo mi minaccia!”
“Neanche qui molta fortuna, eh?” Gli sussurrò la guardia mentre richiudeva anche la seconda cella. Randazio scosse la testa. “Io posso offrire, ma sta alla loro libertà accettare”.
La terza cella non era meno angusta delle altre, anzi. Il volto del prigioniero incatenato al muro quando vide Ranzazio si aprì in un sorriso.
“Randazio! Quale gioia! Vieni, entra nella mia umile cella. Accomodati. Purtroppo non ho da farti sedere.”
Il frate si inginocchiò. “Eccellenza, è bello anche per me. Come sta?”
“Bene, bene. Non mi posso lamentare. Il nostro sovrano ha pensato di premiare la mia fedeltà alla corona favorendo la mia umiltà e la mia penitenza. Mi ha offerto questa cella, e gliene sono grato. Finalmente posso pregare senza le preoccupazioni mondane e le distrazioni. E tu? Ti vedo bene.”
Randazio allargò le mani. “Ancora non mi hanno mandato a farle compagnia. Ci stanno pensando, ma non si decidono”.
Il vescovo rise. “Non so se è perché ti ritengono meno importante di me, o di più. Che pericolo per me, l’invidia!” abbassò ancora la voce “Ma se puoi, non provocarli. Basto io qui. Anzi, come tuo vescovo ti chiedo di lasciare pure tu il paese.”
Randazio scosse la testa. “Sa quanto io sia disubbidiente”. “Lo so, lo so…” il vescovo si chinò in avanti per quanto lo permettevano le catene. “Spero che tu abbia portato il pane e il vino…” “Ce li ho”. “Bene, bene. Allora se vorrai prima udire i miei peccati…”
Qualche minuto dopo, il carceriere bussò alla porta per richiamare Randazio. “Non posso trattenermi oltre”, disse il frate al vescovo. “Tornerò presto, anche se mi fa male vedervi prigioniero.”
Il vescovo rise. “Prigioniero? Io sono libero. Essere rinchiusi tra quattro mura non vuol dire essere prigionieri, solo impossibilitati ad andare altrove. C’è differenza.”
La guardia richiuse la porta della cella. “Tornerò tra qualche giorno a vederli”, gli disse Randazio.
Il carceriere scosse la testa. “Si risparmi il viaggio. Qui non troverà più nessuno. Li impiccano tutti domani all’alba”, gli sussurrò.
Randazio si bloccò, come fulminato, poi lentamente si avviò per risalire alla luce.
Mentre stavano per uscire, una serie di violenti colpi dalla prima cella richiamò la loro attenzione. “Guardia, guardia!” si sentì urlare.
“Che c’è, Lentizzi?”
“E’ ancora lì quel frate? Rimandamelo un attimo”.
La guardia fece per rispondere male, ma Randazio gli mise una mano sulla spalla. “Faccia questa grazia. Tanto, domani…”
Il carceriere esitò un attimo, poi riaprì la cella.
Il bandito guardò Randazio entrare. “Frate, prima hai detto che ti saresti fatto trovare”, Esitò. “Non so se mi dispiace davvero di tutto quello che ho fatto.” “Ma ti dispiace di non dispiacerti?” chiese piano Randazio. Lentizzi, lentamente, annuì.
Un quarto d’ora dopo, Randazio uscì dai cancelli del carcere. “Allora, ha parlato con i nostri tre prigionieri?” chiese il capitano.
Randazio alzò il capo e lo guardò con un sorriso dolce che fece indietreggiare stupito l’ufficiale. “Tre? Già ne avevate solo due; adesso solo uno ne rimane. Ma non è ancora l’alba.” E se ne andò nella sera che cominciava a tingersi di notte.

Le storie di San Randazio: il sole di sapienza
Il corteo variopinto si fermò al di fuori della chiesetta di mattoni cotti. Frà Randazio sbirciò fuori dalla stretta finestrella. Erano non meno di una ventina di palafreni, orgogliosamente scattanti e guidati al morso da servitori in livrea, le gualdrappe ornate e luccicanti di oro e d’argento. Randazio riconobbe alcuni dei rampolli delle più nobili e ricche casate cittadine. Le dame vennero fatte scendere dai valletti, mentre i signori si aggiustavano giustacuori colorati e mantelli ricamati. “Proprio qui vengono”, borbottò Randazio. “Occorre prepararsi”. Per un attimo il suo sguardo indugiò sul pesante bastone di noce appoggiato al lato della porta, poi sospirò e si voltò ancora verso l’altare.
La porta della cappella fu spalancata e la compagnia irruppe ridendo e schiamazzando. Uno dei nuovi venuti indicò la figura massiccia inginocchiata davanti al tabernacolo. “Eccolo là! E’ quello!”
Randazio si voltò a mezzo. “E’ questo il modo di entrare alla presenza del Re?” domandò con il suo vocione soprendentemente musicale.
“Quale Re?” Domandò uno dei nobili. Randazio indicò il crocefisso. Si fece d’un colpo silenzio, i maschi si tolsero il cappello e qualcuno abbozzò un segno della croce e un inchino più o meno malfatto. Ma la figura attorno a cui, si rese conto Randazio, tutte le altre sembravano orbitare, non fece alcun cenno di devozione.
“A che debbo la vostra visita?” Domandò Randazio, stringendo gli occhi.
“Padre Randazio”, disse uno dei presenti, un cavaliere che il frate conosceva, “permettetevi di presentarvi il famosissimo e illustrissimo filosofo della Sorbona Aristide de’Gigli, detto il Sole di sapienza italico!”
Il Sole suddetto, colui che aveva già attirato l’attenzione di Randazio, si erse e fece un cenno con la testa, come per richiedere omaggio. Mantenne la posa per parecchi secondi, nel silenzio sempre più imbarazzato degli astanti. Vedendo che il frate rimaneva inginocchiato e non faceva cenno di muoversi. l’araldo si ripetè. “Padre Randazio, questi è il famosissimo…”
“Sì, sì, ti ho sentito la prima volta. Mi fa piacere per lui.” tagliò corto il frate.
Intervenne un altro dei nobili. “Padre Randazio, codesto che avete di fronte…. o meglio, alle spalle, è uno dei pensatori più famosi al mondo, la cui fama immortale è esaltata per ogni luogo, Senza dubbio tutte le generazioni di qui all’eternità celebreranno le sue scoperte…”
Randazio sospirò e agitò la mano. “Va bene, va bene. Nella mia esperienza, sono i santi coloro il cui nome è ricordato; il ricordo de’saggi umani dura quanto la loro saggezza. Che desiderate, adunque?”
“Il qui presente filosofo sostiene che…”
Aristide si schiarì la voce. “Credo di poter continuare da me qui, grazie. Invero, mio frate, siete scortese: non vi siete neanche alzato per omaggiarmi”.
Randazio si drizzò in piedi. “Invero, mio sire, dato che non avete omaggiato il padrone di casa”, accennò al crocefisso, “pensavo non vi tratteneste.”
Aristide non mosse muscolo. “Vedete, mio frate, non l’ho omaggiato per un semplice motivo. Perché penso che sì occorra devozione, ma nel proprio intimo. Nella vita quotidiana essa non è necessaria, dato che sono sufficienti i nobili moti dell’animo umano per essere nel bene.”
Randazio infilò i grossi pollici nel cordone del saio. Tutti si erano radunati attorno a loro, come gli scommettitori ai combattimenti dei galli. “Quindi voi sostenete che per fare il bene di qualcuno non occorra Dio?”
“Esatto! Vedo che mi avete compreso. E’ mia convinzione che basti trattare ogni individuo con lo stesso rispetto e dignità e amore.”
“Essendo tutti fatti ad immagine di Nostro Signore, pur’io lo credo. Se invece voi Nostro Signore lo mettete da parte, che giustificazione date a questa vostra convinzione?”
“Prego?” chiese Aristide, inchinando un poco la testa.
“Perché dovrei trattarvi con rispetto, dignità e amore?” gli chiese nuovamente Randazio.
“Perché così entrambi otterremo rispetto, dignità e amore. Il vostro Cristo non ha forse detto anche lui ‘Fa’ agli altri quello che vorresti sia fatto a te?'”
“Sì, ma questa è il mezzo, non il fine. Voi mi state dicendo, ti tratto con rispetto perché è utile, perché vuoi essere trattato nello stesso modo, non è così?”
“E’ corretto”.
“Ma se mi fosse più utile il percuoterti con una verga e insultarti, cosa mi tratterrebbe dal farlo?” Randazio lanciò un’occhiata desiderosa al suo bastone, appoggiato al muro in fondo alla chiesa.
“Voi non vorreste essere bastonato a vostra volta!” ribatté Aristide.
“Non m’importa: se è l’utile ciò a cui miro, l’utile sia; il dar rispetto, dignità e amore è un accidente che può esservi o non esservi secondo circostanza. Come decido dunque cos’è bene e cos’è male, se il male mi è più utile del bene?”
“Per rispetto significo il dar riguardo al diritto di una persona, per la dignità significo la qualità di essere degno di rispetto, e per amore intendo il senso di una forte affezione”.
“E ciò non mi avvicina di una spanna sul perché ve lo dovrei concedere, se non perché m’aggrada. Perché dovrei esserne moralmente obbligato?”
“La natura umana…”
Randazio rise fragorosamente. “Mastro mio, se tu udito avessi tante confessioni quanto me medesimo, sapresti bene la natura umana dove spinge. Possiedi altra ragione per la tua morale?”
Aristide sbuffò. “Morale? Una cosa oggettivamente malvagia è ciò che danneggia un essere umano. E un’azione è oggettivamente sbagliata se reca danno ingiustamente ad un essere umano”.
Randazio rise ancora più forte. ” Oggettivamente? Perché oggettivamente? E cosa valuti acciocché si possa dire un danno giusto o ingiusto?”
Aristide fece una faccia strana. “Proprio lei, che è un frate, mi sostiene codesta tesi? Forse che tutti gli uomini non hanno ugual valore?”
“E chi lo dice questo?” Ribatté Randazio. “Domandalo ai tuoi compari costì, che sono quivi giunti esaltandoti come novello profeta, se pensano che tu sia di egual valore dello storpio che vive qui a fianco, lui che a stento farfuglia. Va’ in terra dei mori e convinci il Sultano che mozzare mani e piedi e testa ai cristiani è sbagliato, se riesci. Dillo al Gran Vizir, che oggettivamente erra. E lui ti dirà, infedele, Il mio Allah mi dice che mozzare teste è giusto, e tutti qui la pensano come me. Donde tu che replicherai?”
Aristide aprì la bocca, e poi la richiuse.
“Vedi, fratello mio”, disse Randazio ponendo una delle sue grosse mani sopra la spalla del filosofo, che venne scosso da un brivido “a meno che il tuo dire giusto e sbagliato, il tuo diritto non trovino porto e origine in ciò che è oltre il mondo umano, essi possono essere solo una umana invenzione. E chissà quali invenzioni domani i perversi e gli sciocchi potrebbero escogitare, finendo per convincersi che tutti gli uomini debbano condividerle.”
Aristide si sottrasse al braccio del frate. “Frate mio, vedo che i tuoi argomenti sono deboli e speciosi. Mi avevano detto del tuo acume, ma erravano. Avevo sperato di trovare qualcuno degno con cui discutere, ma non sei mio pari. Me ne torno; i miei rispetti.”
Randazio scosse la testa mestamente. “Se ti fossi ascoltato or ora, o sole d’italica sapienza, avresti scoperto quanto vale veramente la tua parola. Tu manco credi ad essa, è solo suono. Beato colui che si ascolta e si trova mancante, perché sta cercando il vero, e chi cerca il vero cerca Dio che è il sommo vero. Tu non cerchi che il battimano compiaciuto, e ti sarà concesso; ma null’altro.”
La compagnia uscì, facendosi beffe di Randazio. Rimontarono sui destrieri e se ne ripartirono; e solo alcuni dei servi, e pochi de’nobili si voltarono con sguardo grave o pensoso verso di lui.
Randazio richiuse la porta, e accarezzò il randello. “Forse sarebbe stato il caso di usarti, quale esempio di ciò che è giusto o no; ma che vantaggio se ne ha a rompere una zucca, se è vuota?” E tornò alle sue preghiere.
Le storie di San Randazio: l’orgoglio del giusto
…Accadde ora che, mentre Randazio era abate del monastero di Val Limpia, il nuovo superiore del suo ordine addivenne Egisto Brambazzi. Era costui una persona di famiglia nobile, non affatto noto per propria fede, quanto per amicizie e scaltrezza. Egli mai aveva potuto sopportare Randazio, il quale aveva ostacolato certi suoi affari, giudicandolo troppo ligio e rigido. Trovandosi su questo in accordo con il vescovo locale, e con un certo numero di que’ frati che erano delusi per la di lui elezione ad abate invece di loro medesimi.
Codeste parti fecero consiglio tra loro e decisero di liberarsi dell’incomodo abate. Addussero indi ragioni per cui la di lui elezione era invalida, asserendo vizi di forma; e quindi provvidero a destituirlo, e a mettere a capo del monastero un tal Guiduccio che era stato loro compare in certi traffici passati e che mal aveva sopportato non esser lui l’abate del convento.
Insediato che fu Guiduccio, prima cosa che fece fu convocare a sé Randazio. Ito che fu a lui, Guiduccio gli fe’ gran complimenti per quanto aveva operato in passato e si disse dispiaciuto per questo rovescio di fortune. Poi suggerì che non era opportuno che lui, che aveva comandato nel convento, ora dovesse obbedire, e che forse sarebbe stato meglio che subito l’abbandonasse. Ma Randazio, tranquillo come infante, replicò che l’obbedienza era la sua regola, e che di comandare a lui non importava nulla; avrebbe servito il Signore con ugual vena anche nel posto più infimo tra i frati, anzi, bene ne avrebbe avuto la sua umiltà. Guiduccio, quindi, masticando amaro perché avrebbe avuto più piacere che se ne fosse ito, temendo per la sua carica, replicò che se codesto era il desiderio di Randazio egli l’avrebbe accolto, e l’avrebbe destinato alle più basse occupazioni. Diceva tra sé: gli renderò la vita difficile, e lui se ne andrà, lasciandomi libero di compiere ciò che m’aggrada.
Fu così che l’abate destinò Randazio a pascolare porci e pulire pitali, come l’ultimo novizio; e s’apprestò a disfare tutto ciò che l’altro aveva compiuto, le Società che aveva fondato nei paesi vicini,e financo a congedare con delle scuse i novizi di maggior fede che si era procurato per il convento. Coloro che erano vicini al nuovo abate non trascuravano occasione di dileggiarlo e aggravare i suoi compiti, ora che più non poteva rimproverarli pe’ le di loro mancanze. L’abate stesso, in più occasioni, rovinava ciò che Randazio aveva operato in modo che dovesse intraprenderlo daccapo o domandava stravaganze come zappare l’orto a dicembre tra la neve. Randazio, da parte sua, faceva tutto quello che gli veniva chiesto, senza un lamento, e accettando sereno anche gl’ingiusti rimproveri; anzi, mostrando sempre una faccia lieta che suscitava ira ne’ suoi persecutori.
Avvenne che una notte, mentre Randazio stava in preghiera nella sua cella, sentì bussare: erano parecchi de’ monaci suoi confratelli che lo venivano a cercare.
“Randazio”, dissero lui, “ci sentiamo fremere per l’ingiustizia che ti viene inflitta. Se tu lo vuoi, abbatteremo l’abate o, se ciò non fosse possibile, lasceremo il convento e ne fonderemo un altro con te a capo.”
“Lungi da me!” rispose Randazio. “Come potrei essere frate opponendomi all’autorità che è posta su di me? Con che autorità, allora, potrei comandare? Detta autorità arriva da Dio, anche se è esercitata da un homo. Rifiutando ciò che mi è dato non farei l’opera di Dio ma degli uomini e dei loro traffici.”
Si sedette indi sul graticcio, e iniziò a istruire i monaci che gli parlavano. “Vedete, fratelli, tante volte il demonio mi ha tentato con dei mali; cupidigia, lussuria, ira; ma ho confidato nel Signore e Lui mi ha salvato. Ma la tentazione più difficile da rifiutare è quella di un bene; chi potrebbe infatti negare che la giustizia sia un bene, che la verità sia un bene? Eppure andare contro l’autorità a noi ordinata per farci giustizia da soli o per imporre una verità è la forma peggiore di orgoglio: l’orgoglio di essere giusti. Fossimo pure giusti, non sarebbe merito nostro. Essere orgogliosi di ciò che è divino è l’errore del demonio.
Quand’anche i miei superiori provenissero dall’inferno stesso, finché non mi chiedono di andare contro Dio obbedirò loro, perché è Il Signore che li ha voluti lì per me. Non è degli altri servi rimuovere l’amministratore disonesto, ma del Re che l’ha voluto a capo dei suoi beni e che lo giudicherà al suo ritorno. Umiltà non è percuotersi il petto, non è pretendere di usare della verità, ma farsi di essa servitore, pure che ci si chieda di pulire le latrine. Di niente di più siamo degni, se Signore Iddio non ci vorrà altrove.”
I frati se ne andarono mortificati eppure contenti. E l’esempio di Randazio, che umilmente lavorava l’opera di Dio senza lamento, tanto si diffuse che venivano da’ conventi vicini per vederlo lavare i pavimenti.
Le storie di San Randazio: la ragazza senza amore
La canonica era fredda, in quel marzo così bizzoso. Fra’ Randazio aveva terminato di celebrare la Messa e si stava togliendo i paramenti, quando adocchiò il naso rincagnato della Sereni. E se c’era la Sereni, non poteva non esserci un qualche guaio con la piccola Elisabetta, di cui il donnone era la balia.
Fece un cenno alla donna per far vedere che aveva capito. Randazio richiuse il massiccio armadio, sospirò e si apprestò a rientrare in chiesa.
Come aveva previsto, accanto alla sagoma ursina della Sereni c’era la molto più esile Elisabetta Degli Ardenti. Il frate non poteva fare a meno di pensare che il carattere incendiario della ragazza l’avesse ereditato con il cognome. Una bella anima, ma non certo delle più tranquille.
Le due donne l’accolsero con un inchino. “Non me lo dire: il tuo padrone vuole che mi adoperi ancora una volta nella direzione spirituale per la sua figliuola” disse Randazio avvicinandosi alla coppia.
“Lei è proprio sveglio, Padre” replicò la Sereni. “Questa matta qui ha avuto ancora da dire con il babbo suo. E’ la disperazione della sua famiglia”.
Randazio ridacchiò. “Meglio una testa in ebollizione che nessuna testa”. Agitò la mano. “Via, al fondo della chiesa, o fatti un giro: te la mando quando abbiamo finito di parlare.”
Attese che la matrona si fosse allontanata, poi fece segno alla ragazza di sedersi. Due occhi verdi e vivi, un ciuffo di capelli che sfuggiva alla fascia e attraversava il viso come la banda di un capitano di ventura. “Allora, cosa è successo stavolta?”
“Padre, non ce la faccio più. Proprio in questa famiglia dovevo nascere? Mi sento prigioniera. Lei dice sempre che siamo liberi, ma per me non è vero. Non sono libera. E ho paura, paura di sprecare la mia vita. Vengo continuamente sgridata: dai miei istitutori, dalla mia balia, dai miei genitori, dalle mie amiche. Tutte dicono come dovrei comportarmi, e mi prendono in giro. Alcune sono anche crudeli. Ma io non sono fatta come loro vorrebbero che fossi. Mi dica, Padre, sono sbagliata? Devo smettere di desiderare e fare come tutte loro?” Parlava con passione, e aveva gli occhi umidi. “Mi dica lei, mi dica lei, che ha scelto di seguire una regola così stretta eppure sembra felice… come si fa a smettere di desiderare?”
Randazio la guardò, commosso. “No, non sei sbagliata. Ma stai sbagliando quando chiedi come si fa a smettere di desiderare. Piuttosto, l’opposto: tu desideri troppo poco.”
Elisabetta lo guardò stupita. “Come, poco? Ma se non fanno che rimproverarmi che ho la testa tra le nuvole!”
“Esattamente! Nelle nubi non si vede niente. Tu ti fermi alle nuvole, ma la tua testa dovrebbe stare ancora più su, nel cielo. Tu dici che hai paura: ma hai paura perché non sei libera e non sei libera perché hai paura. Ascolta, ti racconto una storia, così magari mi faccio capire meglio.”
Randazio raccolse le idee, e cominciò.
“Immaginati una ragazza, diciamo della tua età. Vede le sue amiche ciarlare contente, perché vanno a maritarsi, e sente pena per loro. Sente pena perché le conosce: ci sono quelle il cui sposo lo ha deciso la famiglia, per la sua ricchezza e la sua posizione; ci sono quelle che il marito se lo sono scelto, ma per lussuria o per gioco, il primo che si è loro proposto, e domani si daranno ad un altro.” Un certo rossore soffuse le guance della ragazza, e Randazio soggiunse ” E non mi dire che non sono cotali i discorsi usuali che si fanno tra voi fanciulle, perché di confessioni ne ho ascoltate anche troppe”.
Il frate proseguì. “Questa ragazza si sente triste e angosciata, perché vede che tutti quegli sposi non sono degni. Ma sente non degni gli altri poiché lei stessa si sa non degna.”
“Perché non è degna?” Domandò Elisabetta.
“Perché usa bene la ragione” Rispose Randazio.
“Ma come? Chi usa bene la ragione non è persona degna?”
“No, chi usa bene la ragione sa di non essere degna; chi la usa male si illude di esserlo, o non ne vede problema.”
Isabella si quietò, perplessa. Randazio continuò.
“Questa donnina si sente sempre più esclusa, sempre più sola, sempre meno libera. Vorrebbe fuggire. Un giorno va ad una festa importante, data dal Signore della sua città. Si annoia perché vede solo persone vuote; eppure c’è qualcuno che le piace, il figlio stesso del Signore. E’ un bel giovane, ardimentoso, intelligente e sensibile, e tutte le sue amiche lo sospirano. Lei, che non si sente bella come loro, come può sperare di competere con queste? E così si ritira sul balcone. Ma ecco che la porta si apre, ed è proprio il figlio del Signore, che le si avvicina e le dice “Senti, tu non mi conosci, ma è tanto che ti osservo. Questa festa l’ho data per poterti incontrare. Tu non sei come le altre. Mi hai colpito il cuore. Vorresti fidanzarti con me?”
“Oh”, disse Elisabetta.
“Proprio quello che dice la ragazza. Messere, risponde, vi mi fate onore, ma non sono una vostra pari. Come posso meritarvi? E lui replica, non occorre che mi meritiate, perché io vi voglio così come siete; e non preoccupatevi se non siete mia pari, perché io vi faccio tale, e sfiderò chiunque si opponga; perché per il vostro amore sono disposto anche a morire.”
Randazio si chinò verso Elisabetta, quasi bisbigliando. “Come pensate che tornerà a casa quella ragazza, quella sera? Con che spirito pensate che ascolterà i rimproveri e i rimbrotti di coloro che le stanno attorno? Con che viso affronterà le malelingue delle sua amiche? Dirà loro, parlate, parlate, ma niente mi può toccare, niente mi può far male; non mi importa di quello che dite, sono libera da tutto, perché lui mi ama. E come affronterà poi i compiti di ogni giorno, come si comporterà in pubblico, come prenderà i suoi doveri? Cercherà di farli al meglio, cercherà di essere migliore, perfetta, per essere degna di lui; anche se lui non lo richiede, lei vuole esserlo.”
Il frate si rilassò sul sedile. “Allora Elisabetta, cosa è che rende libera quella ragazza?”
“Un amore”, lei rispose. “Un amore così grande che non se lo aspettava”.
“Bravissima. Non è cambiato il mondo attorno a lei, ma è cambiata lei, perché c’è qualcuno che le vuole bene in modo totale.”
Randazio aggiunse, a bassa voce: “Capisci adesso perché sono felice, perché la mia regola non mi pesa, anzi? Perché sono libero. Perché la Verità mi ama. E ama anche te.”
La Sereni, accompagnando Elisabetta verso casa, non poté fare a meno di notare come la fanciulla fosse ora obbediente, cortese, il viso disteso e sorridente, trasformata rispetto a poco prima. Con queste ragazzine non puoi mai sapere, si disse, cambiano di umore come questo marzo pazzerello. Guarda come pare libera e felice, ora. Sembra innamorata.
Le storie di San Randazio: il prossimo abate
“Bene arrivato, Fratel Randazio! Fratelli, accogliamolo con un applauso!”
Randazio tossicchiò, chiaramente imbarazzato. Aveva viaggiato quattro giorni, a piedi da Collemagno, per raggiungere il monastero dove il suo superiore l’aveva inviato. Ad accoglierlo aveva trovato una folla, un comitato di benvenuto. Il monaco che aveva parlato si fece avanti e lo abbracciò. Era di mezz’età, leggermente pingue, con la barba e la tonsura curata e un saio assolutamente perfetto. Come del resto anche gli altri frati che avevano circondato il nuovo arrivato.
Il monaco ben vestito, tenendogli una mano sulla spalla, si rivolse agli altri. “Caro Fratel Randazio, è un onore che un personaggio così famoso abbia accettato il nostro umile invito di entrare a far parte di questa comunità. Sono sicuro che con voi come abate il nostro convento diventerà ancora più grande e prospero di quello che è.” Parlava con enfasi, intervallando le frasi con momenti in cui pareva prendere abbastanza fiato da gonfiarsi come un rospo. “Ah, dimenticavo di presentarmi: sono Fratel Duccio, il priore del nostro caro monastero di Valromita. Ecco, da questa parte”, il monaco fece segno, indicando l’ampio portone. “Permettete che vi accompagni nella prima visita di quella che sarà la vostra casa…”
“Hmm”, fece Randazio.
“Queste saranno le vostre stanze. Mi sono assicurato che il letto sia particolarmente confortevole. Notate il loggiato…”
“Vedo, vedo” disse Randazio. “Tutte le celle dei monaci sono così?”
“Beh, ovviamente no, ma tuttavia…”
“Andiamoci, allora”, tagliò corto Randazio.
“…Ecco le nostre celle, comode, ampie, confortevoli.”
“Non c’è l’inginocchiatoio”, fece notare Randazio. “Vi inginocchiate sul pavimento, qui?”
Il priore parve per un attimo smarrito. “L’inginocchiatoio? Ah, sì, la nostra regola non prevede preghiere particolari, quindi di solito non preghiamo in cella. Se qualcuno ne avesse bisogno di solito si reca in chiesa…”
“Hmm”, fece Randazio. “Andiamo in chiesa, allora.”
La chiesa era ampia, luminosa, pesantemente decorata. Randazio si inginocchiò, entrando, imitato dopo qualche secondo da tutti gli altri.
“Naturalmente abbiamo chiamato gli artisti più celebri per affrescare la nostra chiesa. Guardate poi che splendore queste statue d’oro!”
“Non vedo monaci in preghiera.”
“Beh, è pieno giorno, saranno tutti a lavorare. E poi oggi è il giorno della vostra visita, è comprensibile che ci siano meno confratelli del solito.”
“Dove sono i confessionali?”
“Ah, l’abbiamo spostato nella cappella laterale…capite, qui non sapevamo bene dove metterlo… i dipinti, sapete.”
“La cappella? Quella dove siamo passati prima? Non c’era nessuno.”
“Perché non è orario, probabilmente.”
“Hmm”, fece Randazio, giocherellando con il suo bastone da viaggio. “Quanti monaci avete qui, avete detto?”
“Quasi duecento. Ormai non è più il romitaggio che fu fondato da Sant’Elmando, siamo cresciuti a diventare una piccola città.”
“Hmm.”
Randazio fu guidato attraverso l’ampio cortile interno. “Gli affari vanno molto bene, la produzione agricola si è quasi raddoppiata anche grazie alle ultime acquisizioni di terre. Ed ecco i mercanti con i quali trattiamo abitualmente… volevano assolutamente conoscervi.”
Randazio fu presentato ad una successione di commercianti e notabili locali, insieme alle loro famiglie.
“Davvero gli affari vanno bene. Queste persone sembrano tutte ricche.” Sussurrò ad un certo punto Randazio a Duccio.
“La prosperità del convento si estende a coloro che stanno vicini” replicò il priore. “Tutto a maggiore gloria di Dio, ovviamente.”
“Hmm”, fece Randazio. “E la scuola come va?”
“Scuola? Che scuola?” chiese stupito Duccio.
“Quella per i figli dei vostri contadini. Perché è chiaro che non potete coltivare tutto da soli”.
“Ah, temo che quella non sia la nostra vocazione.”
“Hmm”, disse ancora Randazio.
Duccio rimase pensoso per un attimo, poi prese Randazio da parte. “Caro fratello, con voi qui il nostro monastero acquisterà la notorietà che gli spetta. So che ciò che vi ha reso famoso è il vostro zelo. Adesso però che siete finalmente arrivato a diventare abate, dovrete temperare un poco le vostre abitudini. Alcuni degli uomini che vi abbiamo presentato conducono una vita non proprio conforme a quelle regole strette che noi tutti sappiamo troppo astratte per la vita quotidiana. Sappiamo che almeno formalmente dovremmo chiedere di rispettarle, eppure riteniamo sia nostro dovere privilegiare l’accoglienza sull’osservanza. Ricordare a queste persone che vivono nel peccato potrebbe infastidirle, irrigidirle, farle allontanare. Perciò spesso ci capita di chiudere un occhio su alcune piccole mancanze, su situazioni irregolari, anche su certe opinioni che forse altrove sarebbero tenute come non del tutto ortodosse. Grazie a questo siamo in rapporti amichevoli anche con persone lontane da…”
“Peccatori, insomma”, interruppe Randazio.
“Come…? Ah, sì, peccatori.”
“E’ lodevole che dei peccatori vengano in questo santo luogo. Un po’ meno che ne escano restando peccatori.”
“Bisogna dare loro il tempo di capire… la Grazia agirà.” disse Duccio.
“La Grazia agisce tramite noi, mio buon priore. Se noi taciamo, chi parlerà?”
“Harr”, si schiarì la voce Duccio. “E’ ora di cena, ormai. Andiamo in refettorio? Abbiamo preparato un banchetto speciale, per festeggiare il vostro arrivo”.
Il banchetto era davvero ricco, ma Randazio toccò appena il cibo. Indicò un leggio su un lato della stanza. “Non c’è il lettore. Normalmente non dovrebbe esserci il silenzio, a tavola, per consentire l’ascolto delle letture sacre?”
“Abbiamo ritenuto…”
“Di fare un’eccezione per me, d’accordo. Ma di solito? Non mi sembra di avere visto applicata la regola del silenzio.”
“E’ una regola che ci sembra superata. A tavola è utile discutere dei problemi, non ascoltare trattati noiosi. Il silenzio è stato spostato nelle ore notturne.”
“Ah, capisco”, disse Randazio.
Duccio terminò il dolce, mise da parte il piatto e si fece serio.
“Ora passiamo alle cose ufficiali. L’elezione dell’abate, cioè voi, sarà domani mattina. E’ stato convocato il Capitolo Generale di tutti i monaci; terrete un discorso, quindi avverrà la votazione. Come vuole la regola, abbiamo scelto anche un altro candidato: Fra’ Tobia, quel vecchio là nell’angolo. E’ un poco tonto e non ha gran seguito, ha accettato per obbedienza, pensate un po’. E’ una candidatura solo per figura, si capisce. Non avrete nessun problema a farvi eleggere. E dopo avrete una dignità e un potere pari ad un vescovo. Naturalmente io e gli altri confratelli del Capitolo Maggiore vi aiuteremo a mantenere salda la vostra direzione, e confido che potremo darci una mano a vicenda. La memoria di chi ci ha permesso di diventare quello che siamo è una virtù cristiana.”
“Hmm”, disse Randazio. Accarezzò il suo bastone da pellegrino, quindi l’impugnò con forza e si alzò in piedi. “E’ l’ora della compieta, dopodiché mi ritirerò, se non avete nulla in contrario.”
“Nulla, ovviamente”. Duccio esitò. “Vi sono diverse pie donne donne del villaggio che hanno manifestato il desiderio di incontrarvi per chiedervi una guida spirituale, se non siete troppo stanco…”
“Sono stanco, infatti”, replicò Randazio picchiettando lievemente a terra con il bastone.
“Lo stesso desiderio hanno manifestato, allora, anche alcuni dei nostri giovani novizi, che li possiate guidare nella preghiera…”
“Novizi, eh? E va bene, mandatemeli pure.”
“Sarà fatto. Ora, se volete scusarmi…”
Il mattino seguente il responsabile dei novizi venne a cercare Frà Duccio. “Frà Randazio stanotte non ha riposato molto”
“Ah, lo supponevo” dise Duccio.
Il capo dei novizi aveva uno sguardo strano. “E’ stato tutta la notte a pregare in cappella. Lui e frà Tobia…”
“C’era anche Tobia? Che pregava?”
Il capo dei novizi annuì. “…hanno confessato i novizi che avevo mandato. Uno mi ha detto che lascerà il convento.”
“Ho un cattivo presentimento”, disse Frà Duccio.
La stanza del capitolo era affollatissima. Tutti erano riuniti per l’elezione del nuovo abate.
Duccio, con un filo di preoccupazione, arrivando vide che Randazio era già lì, che parlava fitto con il vecchio Tobia. Alla fine, Randazio gli baciò le mani.
Inquieto, Frà Duccio chiese e ottenne silenzio.
“Ed ora, prima del nostro voto, il nostro futuro abate ci terrà un discorso.”
Frà Randazio si fece avanti. “Cari fratelli, è una grande cosa quello che qui avete fatto. Grazie alla fede dei padri di questo monastero un vasto territorio è stato convertito al Vangelo ed ha trovato anche una prosperità materiale. Come Nostro Signore ci insegna, la cura del corpo è dovuta, perché siamo tempio di Dio. Dobbiamo però fare attenzione a non cadere nell’errore di dimenticare che il nostro primo dovere non è verso gli uomini, e neppure verso il nostro convento, ma verso Dio stesso. Non dobbiamo cercare la prosperità per trovare Cristo, ma seguire Cristo che ci donerà quanto abbiamo bisogno. Che quasi sempre è la sua croce. Se mi eleggerete ad abate, quindi, ecco alcuni dei cambiamenti che intendo fare….”
Duccio ascoltò, con sempre maggiore panico, l’elenco di Randazio. “Ma dove pensa di essere? E’ pazzo! Ci distruggerà!” mormorò uno degli anziani del Capitolo. “E colpa tua”, sibilò un altro “Sei tu che hai avuto questa bella idea di fare venire uno famoso. Come ce la caviamo, adesso?”
“Non è ancora perduto niente. Fate passare la voce tra i nostri: non votate per Randazio. Una volta che fosse abate potrebbe fare quello che vuole. Con Tobia ce la vedremo poi”.
Man mano che lo scrutinio proseguiva, la faccia di Tobia si allungava. Solo un terzo degli aventi titolo aveva votato per Randazio, gli altri avevano scelto l’anziano monaco. Randazio manteneva un’espressione imperturbabile.
Alla fine dello spoglio, Duccio si schiarì la voce. “Cari fratelli, lo Spirito e noi fratelli abbiamo scelto Tobia come nostro nuovo abate. Chiediamo a questo nostro confratello che ha accettato di servire il monastero di tenerci un breve discorso…”
Tobia si alzò, leggermente malfermo sulle gambe. “Avete udito”, disse, con voce inaspettatamente forte, “le cose che Randazio poneva come necessarie per far tornare questo nostro convento e noi a Cristo. Ebbene, io sono perfettamente d’accordo con quanto ha detto, e lavorerò a questo fine…”
Randazio salutò il nuovo abate, abbracciandolo, e riprese il suo cammino sulla strada polverosa. Allontanatosi di qualche centinaio di passi si volse indietro verso il convento. Sarebbe riuscito Tobia a cambiare le cose? Un poco in colpa si sentiva, per avere addossato a quel dolce frate un compito così gravoso. Ma poi si ricordò di Chi avrebbe avuto aiuto in quell’impresa. E comprese che andava bene così. Si voltò, e si concesse finalmente un sospiro di sollievo.
Le storie di San Randazio: In compagnia dei lupi
Chi è che ha lasciato queste impronte fangose sul pavimento?, si chiese irritato Gervasio. “Vanno dritte nel mio studio”.
Salì i gradini, attento a non trascinare sullo sporco il lembo del suo prezioso vestito. Più tardi avrebbe dovuto recarsi dal duca, e non aveva voglia di cambiarsi.
Aprì la porta, e si trovò davanti la gocciolante fonte della scia di fango. Impiegò qualche istante a capire chi fosse.
Perché erano passati anni. Più massiccio, i capelli più grigi e radi sotto la tonsura. Ma il saio, e quegli occhi. Non ci si poteva sbagliare. L’irritazione passò istantaneamente.
“Randazio!” Il volto del monaco si aprì in uno di quei sorrisi che lo trasformavano tutto. Si abbracciarono, Gervasio dimentico del fango e del vestito. “Quanto tempo!” “Anni”.
“Vieni, siediti. Che sorpresa! Cosa ci fai da queste parti? L’ultima volta che ho saputo di te eri a Vallelunga.”
“Oh, Gervasio, viaggio parecchio. Uno non crederebbe mai dove si vanno ad infilare queste benedette pecore. Tu, piuttosto, ho saputo che hai fatto carriera. Sei balivo, adesso.”
Gervasio gonfiò il petto. “Da non credere, eh? Sono uno dei più fidati consiglieri del Duca. E spero che presto mi possa anche nominare… ma è presto, non parliamone ancora”, rise.
“Mi fa piacere, mi fa piacere” disse Randazio. “Mi ricordo di quando eri partito dal convento, così convinto della tua missione di cambiare il mondo. Renderò cristiano questo ducato, dicevi, convertirò tutti, lo renderò un’oasi di pace”.
Gervasio drizzò la testa. Aveva veramente detto così? Certo, erano anni che non ci pensava. “Sicuro. Quanto ero pieno di fede, eh?”
“Più che altro avevi fede che saresti riuscito a fare la differenza”, replicò Randazio.
“Beh, l’ho fatta. Guarda dove sono.”
“Lo vedo dove sei”, rispose Randazio. “Dimmi, come la prende il Duca quando gli rimproveri di avere lasciato la sua duchessa per quella biondina, come si chiama?”
“Malvinia” Rispose automaticamente Gervasio. Si morse il labbro, poi aggiunse lentamente “La duchessa era veramente una donna impossibile, e devi capire che il Duca è un uomo…deciso. Abbiamo bisogno di lui, non bisogna essere troppo duri per le sue, ah, preferenze, dato il bene che fa al suo paese.”
“Indubbiamente, il duca è deciso. Ed è un peccato che non ti abbia ascoltato quando ha assaltato Frugneto e ha fatto massacrare tutti quei poveretti. Perché tu hai cercato di dissuaderlo, vero?”.
Gervasio si accigliò. “E’ una questione politica. Il Duca non poteva lasciare passare quell’affronto impunito.”
“Però scommetto che ti sei fatto sentire quando ha mandato via i frati da San Belbo e si è preso il convento e tutte le loro terre. O quando ha alzato le tasse ai contadini per pagarsi la guerra.”
Gervasio tacque per un bel pezzo. Alla fine, quando parlò, le sue parole uscirono faticose dalla sua bocca, come se risalissero dal fondo di un pozzo.
“Capisco. Non è un caso che tu sia qui, vero?”
“No, non è un caso né una visita di cortesia. Sono venuto a cercarti. Oh, siete partiti in un bel gruppo, quella volta. Ti ricordi degli altri, dei tuoi amici, vero? Avevate l’idea di cambiare il mondo, ma il mondo ha cambiato voi.” Randazio fissò negli occhi l’antico amico. “Sai, è pericoloso credersi più forte del male. Non si gioca con il male. Non ci si trastulla con le tentazioni. Non si pensa di essere più forti del demonio. Non lo si è. Pensi di portare Dio nel mondo, e il mondo ti dà dio. Il suo dio, che Dio non è ma un oscuro emulo.”
Il monaco posò la grossa mano sulla spalla di Gervasio. “All’inizio lasci passare cose insignificanti, per evitare di sembrare troppo rigido, per farti ascoltare. Piccoli cedimenti, dai quali ti dici che ovviamente dopo rimedierai. Ma nel frattempo avrai perso la strada. Avrai smarrito il sentiero. Non riuscirai a ritrovare la via percorsa, perché quella via non esiste più.”
Prese fiato. “E’ questa la verità: senza il Signore che traccia la strada, illumina la via, è solo dirupi e rovi. Ci illudiamo di riuscire a tornare da soli. Ma se non è il pastore che viene, ci mette sulle sue spalle e ritorna, noi rimaniamo smarriti, in compagnia dei lupi.”
Gervasio era bianco come un cencio, gli occhi smarriti e vuoti. “Tu sei venuto a prendermi. A riportarmi indietro. A dirmi di lasciare” allargò le braccia, indicando lo studio , i libri, gli arazzi costosi “per cosa? Ancora il convento, il freddo, le preghiere che non combinano niente?”
Randazio si drizzò. “Esatto. E tu sai bene che tutto questo lusso, questi posti di responsabilità, non ti sono stati dati perché hai predicato Cristo, ma per il suo contrario. Per non averlo predicato. Per avere taciuto il male, e forse anche averlo favorito. Ma quanto vale tutto questo? Amico, non sei più giovane, come me. Presto dovrei ricordarti di Chi hai tralasciato di annunciare, perché lui non si scorda di te.”
Gli strinse le spalle. “Ricorda! Ricorda chi eri, quello che vedesti allora, ciò che ti fece partire. Ricorda chi sei. Non è tardi”.
Gervasio barcollò, quasi cadde, e Randazio lo abbracciò sostenendolo. Lacrime cadevano sulla mantella bagnata del frate.
“Mi riporti indietro tu?”, domandò. Randazio annuì. “Vieni, subito. Qui non c’è niente che ti trattenga.”
Scesero insieme le scale. Alla porta Gervasio si arrestò. “Aspetta. Non posso tornare vestito così” e indicò il pesante vestito di velluto ricamato di cui era rivestito. “Dammi qualche minuto. Mi cambio e arrivo. Aspettami qui.”
Passò quasi un’ora prima che Randazio si decidesse a cercare Gervasio. “Messer Gervasio?” gli rispose un servo alle stalle “E’ partito più di mezz’ora fa a cavallo per Mentara. Credo che il Duca lo abbia fatto chiamare.”
Randazio sospirò, fece dietrofront e si diresse al suo ciuco, che masticava pazientemente del fieno appena fuori dal portone. Pioveva ancora.
“Se torna Messer Gervasio, devo dire qualcosa?” Chiese il servo, parlando forte per farsi sentire al di sopra dello scroscio incessante.
“Non occorre” rispose Randazio. “Lo sto seguendo a Mentara”. Rise, e le gocce violente sul capo sembravano quasi disegnare un’aureola di spruzzi. “Quando mai il pastore rinuncia a inseguire le sue pecore riluttanti, e a portarle via dai lupi?”
Le storie di San Randazio: Panni sporchi
Un giorno il santo monaco Randazio si trovò a passare con alcuni novizi vicino ad un fiume presso il quale alcune lavandaie sciacquavano i panni. Rivolgendosi quindi ai suoi confratelli, così disse loro:
“Guardate quelle lavandaie. Per pulire i panni li battono sulle pietre, oppure con un bastone: li strofinano, li fregano, li colpiscono, li strizzano fino a quando lo sporco non è uscito. Pensate a cosa potrebbe dire il panno: ‘Ma perché mi colpisci con tanta malvagità? Cosa ti ho fatto?’ Perché non si rende conto della sua stessa sporcizia.
Ma una volta ripulito la sua bellezza è molto maggiore: non è più uno straccio sozzo, ma un abito degno da indossare.
Considerate con simpatia il bastone che vi colpisce per purificarvi, non sfuggite alla mano che vi sfrega sul sasso, perché non sapete quanto sporco avete dentro. Non vi vuole male: desidera solo che voi siate degni della stoffa di cui siete stati intessuti.”
Le storie di San Randazio: la misura dell’amore
Si racconta che il santo monaco Randazio un giorno fu invitato a predicare dal Conte Guiberto davanti alla sua corte. Il conte era uomo giusto e severo, ma tra i presenti ve ne erano alcuni che erano soliti farsi beffe della religione, lodando le virtù dell’amore terreno su quello celeste. Il sant’uomo, sapendo questo, si presentò davanti a quel consesso con un gomitolo di spago. “Questo gomitolo, vedete”, disse agli astanti, “è di una corda speciale benedetta, intrecciata dalle vergini del monastero. Serve a misurare l’amore”.
Gli ascoltatori mormoravano: “Ma cosa intende dire?”
“Ve lo spiego subito”, replicò quello.
Si rivolse al Conte. “Vostra Signoria, voi amate il vostro paese?”
“Ma certo che lo amo”, fu la replica un po’ indispettita di Guiberto.
Randazio si avvicinò al Conte, gli accostò il gomitolo al petto e srotolò la corda fino a terra, segnandone la lunghezza. “L’amore per la vostra terra misura due braccia, due braccia e mezza.”
Si volse quindi alla Contessa, “Venite, vi prego, alzatevi ed accostatevi”.
Fattala avvicinare al marito passò intorno a loro lo spago, così che li stringeva come una cintura. Recuperato la cordicella la misurò a spanne. “Il vostro amore coniugale vi lega assieme. Ecco qui: la corda dice che esso misura circa quattro braccia.”
Chiese quindi che si avvicinassero anche i figli. Fatto girare loro attorno lo spago rifece la misura. “Quasi dodici braccia! Anche con il piccolino che non vuole stare fermo. Questo è l’amore della vostra famiglia.”
Alzò il volto, e indicò verso l’alto. “Adesso misuriamo l’amore di Dio”. Si rivolse quindi al chierichetto. “Prendi il capo dello spago, srotolalo e vai più su che puoi verso il cielo. In cima alla torre!”
Il ragazzo andò, ma ad un certo punto arrivò al termine del gomitolo. “Non basta, Padre!”
Randazio si rivolse ai fedeli. “Avete compreso? Non basta tutto un gomitolo per arrivare neanche in cima alle scale, figuratevi fino al cielo! L’amore celeste, a differenza di quello terreno, non ha misura. Vedete bene quanto l’amore di Nostro Signore è maggiore di quello di noi uomini.”
Una nobile dama, nota per i suoi pubblici disinvolti costumi, volle intervenire. “Ma anche noi possiamo avere molto amore! Quanto sarà grande il mio?”
Randazio, che conosceva chi gli parlava, tese tra le dita un palmo di corda. “Mia signora, questa è la misura dell’amore che ti fai bastare. Moltiplicalo quante volte vuoi, sarà sempre molto minore dell’amore di Dio”.
Al che la nobile tacque, arrossendo, e più nessuno per un pezzo osò menar vanto dei propri amori terreni.
Da “Le storie di San Randazio” – Casa pulita
Una volta il santo monaco Randazio si trovò a narrare una storia agli abitanti di un borgo che si dovevano da lui confessare.
“In un paese qui vicino c’era un ragazzo molto bello, umile e onesto. Questo ragazzo non era ancora sposato. Un giorno fu accostato sulla via da una signorinetta in età da marito, che fissandolo gli disse “Ma quanto sei bello! Vieni a casa mia, domani, che ti voglio parlare”.
Il nostro rimase perplesso dalla subitaneità della proposta, però sapeva che la ragazza era di buona famiglia e quindi non ritenne fuori luogo accettare l’invito, se non altro per capire cosa si volesse da lui.
Giunto che fu alla di lei magione, fu colpito dalla sporcizia che vi regnava. Pattume si riversava dalla soglia sulla strada, e con tutta evidenza nessuno aveva ramazzato i pavimenti né messo ordine da un bel pezzo. Un vociare pervadeva l’ambiente, perché parecchie persone oziavano o chiaccheravano in ogni stanza. La signorina che l’aveva invitato si stava intrattenendo con un gentiluomo, con cui era evidentemente in intima confidenza. Alzato lo sguardo e veduto il nostro in attesa, non si diede peso di interrompere le sue effusioni, ma continuò fino a che volle; quindi, congedato il filarino, finalmente si dedicò al suo ospite.
“Ah! Sei giunto!” Gli disse.
“Mi hai chiamato”, quello rispose. “Io giungo sempre se invitato. Ma pare che tu non ti sia data molta pena dal prepararmi accoglienza.”
“E che, tu mi giudichi?” Rispose la donna “Io faccio quel che mi pare in casa mia. Ma veniamo a noi: tu mi aggradi ed hai buona fama, vuoi unirti a me?” Chiese, carezzando il suo interlocutore. “Ci guadagneremmo entrambi: tu mi avrai, dacché so che mi brami, ed io diventerò così una donna onesta.”
Questo si stupì. “Ma come, tu non sembri conoscermi affatto, eppure dici che mi desideri. Ma come la mettiamo con quell’uomo con cui ti vidi amoreggiare quando giunsi?”
“Oh, quello?” Fece la giovane “Non ti preoccupare per lui. Non c’è problema.”
“Nel senso che l’abbandonerai?”
“No, perché dovrei? Mi è caro e mi conviene. Né lui né gli altri come lui ti devono però interessare, non penserai che io debba cambiare la mia vita per venirti incontro?”
Il ragazzo era stupito ed amareggiato. “Ma come puoi pensare ciò? Se tu davvero mi volessi, e non fossi un capriccio, rinunceresti a tutto per unirti a me. Se non sei disposta, qualunque scusa tu ponga innanzi, vuol dire che stimi ciò da cui non demordi più di me.”
“Tu devi capirmi”, disse la donna, “se davvero mi volessi bene saresti anche disposto a permettermi qualche svago”.
Randazio si interruppe e scrutò i presenti. “Ditemi, fratelli cari”, domandò, “voi cosa avreste fatto? Sareste rimasti nonostante tutto con quella donna?”
“Sarebbe da matti” sbottò uno dei presenti “Una che ti stima così poco meglio perderla che trovarla. Ti userebbe e ti butterebbe via, perché ha altri amori.”
“Ed è proprio quello che fece il nostro giovane”, disse Randazio. “Scappò a gambe levate da quel luogo dove non era certo desiderato. Perché per dare tutto se stessi bisogna che ci sia qualcuno in grado di accogliere quel tutto.”
Alcuni dei presenti però mormoravano e si scambiavano risa maliziose e lo santo monaco disse “Così è per la parola che vi ho detto riguardo a Cristo. Se rienete altro più interessante, e non ritenete neanche di ripulire la vostra casa prima di accoglierlo, allora non ne siete degni. Quale uomo che deve ricevere un re o un uomo illustre a casa sua non la pulisce da cima a fondo, e lo onora con il primo posto? Io vi dico: se non farà così, quello ne sarà oltraggiato. Badate di non perdere il vostro tempo con chi non vi ama.”
Le storie di San Randazio: il troll di Burgerio
Si narra che i viaggiatori che transitavano per il ponte di Burgerio fossero afflitti da un singolare personaggio. Era costui un ometto dalla pelle grigia e bitorzoluto, con un gran naso, Qualcuno diceva fosse una creatura demoniaca, o uno di quegli spiriti naturali che si odono nelle fiabe, qualcun altro che fosse solamente un folle solitario che si divertiva a tormentare la gente. Fatto sta che coloro che transitavano per il luogo erano apostrofati da detto individuo con epiteti scurrili e ripetute bestemmie. Il profluvio di parole malvagie era insopportabile, e financo i meno sensibili fuggivano dal molesto essere. Costui era particolarmente pernicioso nei confronti de’ religiosi, che derideva sostenendo che quanto loro credevano non fosse altro che un mucchio di bugie che presto sarebbe cessato.
Il tormentatore non si chetava facilmente; si teneva sugli alberi e sulle rocce, e se uno faceva tanto di inseguirlo svaniva per ricomparire più in là. Sebbene molti si fossero mossi per acchiapparlo, nessuno v’era riuscito ancora a motivo della sua agilità e della sua conoscenza dei luoghi che impervi erano assai.
L’unica maniera di farlo smettere era ignorarlo, come se non esistesse; allora dopo un poco di solito si seccava e desisteva. Ma se lo si affrontava con le parole, era capace di seguitare per ore colmando le orecchie di ragionamenti assurdi e senza capo né coda, come nutrendosi dell’ira altrui.
Gli abitanti del contado si risolsero alfine a rivolgersi al monaco Randazio, che aveva fama di santità. Randazio accettò di buon grado di confrontarsi con la creatura. Appena giunse al ponte, l’ometto grigio saltò fuori. Aveva un lungo crine sporco e vestiva di pelli; e si mise subito ad irridere Randazio. Sosteneva costì che gran spreco era vestire l’abito di frate, che tutto sarebbe terminato con la morte e quindi tanto valeva spassarsela e godersela. Lo monaco stette un poco a sentirlo, senza dar segno di accusare il colpo. Al che l’ometto, con aria furbastra, disse: “Eh! Ben ti seccano le mie proposizioni, che non favelli!”
Al che Randazio replicò con una gran risata. “Ometto, tu non m’infastidisci punto. Se tu hai ragione, e siamo solo cibo per li vermi, tu sei nulla, per me almeno. E come può il nulla infastidire? Ma se ho ragione io e un Signore esiste, tu mi fai solo una gran pena, perché irridi ciò che non conosci. Vedi bene”, proseguì il santo monaco, “in un caso o nell’altro tu non sei punto fastidioso, perché se’ niente. Mentre se tu volessi cambiare e riconoscere lo Signore tuo, allora saresti un fratello, e tutto.”
L’ometto tacque, quindi in silenzio disparve e più non si sentì di lui. Nessuno sa se andò altrove a seccare la gente o seguì il consiglio di Randazio e scelse vita migliore.
Le storie di San Randazio: il regalo
Poldino, il giovane novizio, era distratto e pensieroso. Era già la terza volta che bagnava le stesse pianticelle nell’orto del convento. Fra’ Randazio smise di potare e gli si accostò alle spalle, silenzioso nonostante la rispettabile mole.
“Fratello, quella povera insalata sta annegando…”
Poldino si riscosse con un sussulto. “Io…ecco…”
“…stavi pensando ad altro.” Completò per lui Randazio. “E si può sapere a cosa stavi pensando, per distrarti così dal tuo compito?”
Poldino arrossì. “Parla liberamente”, lo incoraggiò Il monaco più anziano.
Poldino prese fiato. “Mi stavo domandando come mai Nostro Signore non esaudisce i nostri desideri. Io domando, prego, e sono cose buone…ma sembra che Iddio non mi ascolti.”
Randazio considerò gravemente le parole del giovane. “Fratello, non voglio risponderti subito. E’ una domanda profonda, ma per comprendere la risposta non basta ascoltarla. Te la darò domani. Oh, mi pare di ricordare che sia anche il tuo compleanno, giusto?”
“Sì, è vero”, rispose il fraticello, contento che il suo superiore non avesse riso del suo dubbio o, peggio, l’avesse punito per questo. “Ma domani non sono qui all’orto. Deve seguire i bambini dell’orfanotrofio.”
“Tanto meglio. Domani verrò con te.”
Attaccato al convento c’era una casa che i frati avevano adibito ad orfanotrofio per i tanti bambini del paese rimasti soli a seguito della guerra. Ve ne erano una trentina; e tutti erano affezionati a Poldino, anche lui orfano e poco più grande di loro.
L’indomani il novizio si vide arrivare Fra’ Randazio con un ragazzino. “Fra’ Poldino, ho detto a questo scalmanato che oggi era il tuo compleanno, e si è messo in testa di farti un regalo. Codesto figliolo voleva attrezzarsi a tale scopo, e siccome tu sei per oggi il suo custode e maestro te l’ho portato, così che tu possa ascoltare le sue richieste”.
Si fece avanti Nino, un soldo di cacio alto un braccio e un palmo. “Frà Poldino, mi dovete dare quella mannaia che è in cucina”, domandò con voce ferma.
“La mannaia? Ma cosa ne vuoi fare?”
“Prenderò le galline e ne farò un spezzatino” disse il bambino. “Vi piace, no?”
Poldino si passò le mani sulla fronte. “Ascolta, caro Nino: quella mannaia è affilatissima e grande quasi quanto te. Se tu provassi ad usarla ti affetteresti da solo. Le galline, poi, servono per le uova: meglio lasciarle stare.”
“Oh”, fece il ragazzino deluso. Ristette per un attimo, poi si rischiarò in viso. “Lo so io cosa posso fare! Ti prego, prendimi un ramo con del fuoco dal camino.”
Poldino si stupì. “Fuoco? E cosa mai te ne farai del fuoco?”
“Voglio bruciare le erbacce dall’orto, per alleviarti il peso di mantenerlo!” Esclamò gioioso il ragazzino.
Poldino rabbrividì. “Nino, il fuoco è pericoloso. Ti bruceresti. E poi è tutto secco, non piove da settimane. Finiresti per incendiare il convento. Meglio di no.”
Nino si grattò la testa.”Ah, lo so, allora: se mi darete un po’ dei soldi che avete raccolto con la questua, correrò in paese a comprarvi dei biscotti!”
Poldino rise. “I soldi della questua non sono miei da darne via. E poi i biscotti mi piacciono poco. Finiresti per mangiarli tutto tu.” Guardò sospettoso il ragazzino. “O forse questo è quello che speravi di ottenere?”
Nino abbassò la testa.
Intervanne Randazio: “Dimmi, fratello, perché hai respinto le preghiere che questo bambino ti rivolgeva? Sei forse cattivo, o mancante?”
“Gli ho negato quanto domandava perché sarebbe stato un male per lui avere quelle cose. Pur avendo intenzioni rette, o quasi, non sapeva quanto chiedeva”, rispose Poldino. “L’ho fatto perché gli voglio bene”.
“Allora ora comprenderai come si deve sentire Iddio quando Gli rivolgiamo certe nostre richieste, che sa che se fossero esaudite sarebbero la rovina nostra, Lui che sa tutto.” interloquì tranquillo Randazio. “Dov’è che ha sbagliato Nino?”
“Pensava che certe cose mi avrebbero fatto piacere, mentre non è così.”
Nino, tutto contrito, si accostò al monaco “Fra’ Poldino, perdonami. Perché non ci dici tu stesso cosa desideri?”
Poldino posò una mano sulla testa del ragazzino. “Mi piace la crostata di fragole. Perché non vai a raccoglierne al bosco e le porti a Fra’ Bruno, che sta di cucina? Ce ne sarà una fetta anche per te!”
“Evviva!” Gridò Nino, e corse via.
“Vedi, era così semplice”, disse Randazio. “Basta domandare, cosa vuoi da me? E Iddio, il cui piacere è il bene dell’uomo, ti darà quello di cui hai più bisogno. Lui che ti fa chiedere, ti concederà.”
“Ho capito”, disse Poldino.
“E allora su!” Randazio gli menò un gran colpo sulla spalla. “Andiamo da fra’ Bruno, a dirgli che ci sono fragole in arrivo.”
“Se non se le mangerà prima tutte Nino!” Esclamò Poldino.
Da “Le storie di San Randazio” – Le voglie naturali
Tratto da “Le storie di San Randazio”, di anonimo
“(…) Accadde dunque che il santo monaco Randazio si trovasse vicino all’abitato di Subbio, quando scorgea una pulzella assai discinta che tergeva i panni in un torrente. Il monaco prontamente distolse lo sguardo, ma fu apostrofato da un giovane assai ben vestito che trovavasi a transitare per lo medesimo sentiero.
“O frate, perché fuggi tu la vista di sì dolce spettacolo? L’Iddio che creò te medesimo e la bellezza del creato non è forse lo stesso che ha disegnato le forme così soavi di quella fanciulla?”
Randazio si volse verso il giovinetto. “Ma che tu dici? Frate e omo io sono, e non mi è consentito indulgere in siffatte vedute, che solo il marito di quella donna possa godere”.
Il passante ebbe un sorriso. “Tu erri, frate, perché il tuo Signore non avrebbe fatto siffatte bellezze se non avesse voluto che tu anco ne godessi, né avrebbe messo nel tuo cuore il desiderio di goderne se non fosse stato per te una cosa bona. O pensi che Egli metta in te qualcosa di male?”
Il monaco più non favellò e tirò innanzi; ma si avvide che era seguito da quel figuro che gli aveva parlato.
Poco più innanzi vi erano alberi di pomi a lato della strada, ben recintati in un frutteto; e dalle fronde rosseggiavano frutti maturi come mai si erano visti belli. Grande era la calura della giornata, e Randazio era digiuno; si trovò indi a guardare con insistenza verso quelle succulente sfere.
Al che gli si accostò il giovane benvestito che disse lui: “Frate, perché esiti? Non vedi che il cancello è aperto e nessuno si vede intorno? Certo non è peccato quietare la fame e il disiro giusto di cibo che Iddio stesso ti ha posto in core.”
Ma Randazio replicò “Tu sai che quei pomi sono altrui; sarebbe rubare, anco se niuno lo sappia.”
Rise il giovine di un riso sguaiato. “Quanti scrupoli, monaco! Iddio creò quei pomi per il tuo sollazzo, e tu esiti? Andranno sprecati se tu non te ne cibi, e sarà peccato imputato a tuo carico. Non pensi che se lassù ti avessero voluto affamato si sarebbero trattenuti dal mostrarti codesti alberi? La voglia naturale mai dovrebbe essere ignorata.”
Ma il frate già procedeva avanti sul sentiero.
Giunsero alfine ad un prato fiorito, il cui dolce profumo riempiva l’aere, e sopra a cui augelli spandevano i loro richiami. Un venticello leggero rinfrescava, e l’ombra di certi alberi si spandeva sul’erba. Polverosa ed erta la strada andava, nella calura; e Randazio si sentì stanco e con i piedi doloranti.
“Un riposino, frate mio?” Disse lui il giovane, che persisteva nell’inseguirlo. “Veggio che hai le membra affaticate: perché non lasci che il giorno proceda e il sonno del giusto ti prenda su questo magnifico prato? Certo il Signore Iddio stesso ha voluto preparare un luogo sì ameno per te, quale ricompensa per le tue sofferenze. Perché non profittarne?”
“Perché, come forse sai, sono atteso altrove” disse il monaco “e non è riposo che vo cercando nel fare ciò”.
“Ah, sbagli ancora!” Rispose il giovane. “Dovresti cedere a questi desideri che, se sono nel tuo core, sono certamente boni e degni. Come fai a dire che sono male? Meglio, dopo un buon sonno, avanti andrai, e chi ti aspetta aspetterà ancora: che devi a lui, che ti impedisce di pensare prima a te medesimo?”
Randazio si voltò verso il giovine. “Tu questo dici? Che dovrei cedere a fare ciò che il core mi detta?”
Questi allargò le braccia. “Ma certo! Su, più non esitare: fa quello che il tuo animo e la tua voglia ti dicono, senza riguardo per alcuno.”
Al che il monaco raccolse da terra un robusto randello, e disse: “Il mio animo prova il desiderio irrefrenabile di percuoterti con codesto bastone fino a lasciarti a terra insanguinato; e perché non dovrei cedere al disiro, che sicuramente mi è stato messo in core da Iddio in persona?”
Ma il giovine si era dileguato, come fatto fosse stato di ombra e non di carne: perché altri non era che il demonio. Così Randazio riprese il cammino, fischiettando. Portandosi dietro, per prudenza, il randello.”