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Roma rivendicata ai suoi liberatori

Su una parete dello studio di mio suocero ci sono due cornici. Dentro la prima c’è il “Congedo illimitato e assoluto” di Luigi Benedetto, classe 1847. Estrasse a sorte il numero ventinove del suo mandamento, e partì militare nel 1869. Era un soldato semplice; nel documento è scritto che poté fregiarsi di due decorazioni per l’occupazione di Roma.

Quelle decorazioni sono nella seconda cornice, appese a un rettangolo di seta stinta ricamato a mano. Su di una c’è l’effigie del re Vittorio Emanuele II; sull’altra, di bronzo, legata ad un nastrino bicolore, la scritta incorniciata da fronde di quercia “Roma rivendicata ai suoi liberatori”.

Sono, a ieri, centocinquant’anni.

I Savoia rivendicavano Roma, che mai era stata loro; la loro invasione fu un’invasione brutale e immotivata, contraria a tutte le norme di diritto internazionale, sulla falsariga dell’invasione nazista della Polonia o del Kuwait da parte di Saddam Hussein. Una presa di possesso che andava ad eliminare il più antico stato del continente, per mezzo di un esercito esageratamente sovradimensionato contro un difensore che scelse una resistenza solo simbolica; i liberatori non faticarono più di tanto ad impossessarsi della città. Libertà, ma da che? I violenti avevano vinto.

La conquista aveva sponsor importanti, primi tra tutti i massoni inglesi, che avevano nella distruzione del papato un loro obiettivo primario. I Savoia ottennero il loro regno, ma distrussero la loro nazione. Il costo di quelle armate mandò in bancarotta il paese; è l’origine del debito pubblico italiano che ancora oggi paghiamo, e la causa prima della povertà della penisola che causò le migrazioni di massa degli anni successivi. Quell’esercito fu usato principalmente per uccidere italiani, nella spietata repressione delle rivolte che seguirono quegli avvenimenti.

Chissà se l’antenato fu davvero contento di avere fatto parte della armate che “liberarono” Roma. O se in cuor suo, povero soldato analfabeta della campagna piemontese, sentiva che era solo una pedina di un gioco violento, fatto di sopraffazione e odio, di ricerca del potere ammantata di belle parole, buoni sentimenti e medaglie ricordo. Passano i secoli, e l’uomo continua  a cercare di distruggere ciò che solo lo può salvare.

Il monumento

A Torino, il proseguimento di via della Consolata si chiama corso Siccardi.
Il santuario della Consolata sorge proprio dov’era uno degli angoli dell’antica città romana. Sono visibili, qualche metro sotto l’attuale piano stradale, le fondamenta dell’antica torre angolare. Il santuario è di un sovrabbondante barocco sorvegliato dall’alto da un massiccio campanile medioevale. Al suo interno vi riposano spoglie di santi e beati piemontesi: Cafasso, Frassati…
Chiamare corso Siccardi il proseguimento della via che porta al luogo di culto più popolare e frequentato della città non è stato un caso, ma un deliberato insulto. Così come non è casuale il monumento eretto al centro di una piazzetta che sorge lungo la stessa via, a pochi metri dal santuario stesso. Il monumento è un obelisco la cui epigrafe incisa recita così:

Abolito da Legge IX Aprile MDCCCL il Foro ecclesiastico, popolo e municipio posero IV Marzo MDCCCLIII

E’ certamente inconsueto per uno stato celebrare una delle sue leggi con un monumento; ma bisogna capire cosa siano state e cosa abbiano significato quelle leggi che portano proprio il nome di Siccardi, guardasigilli dell’epoca. Esistevano degli accordi firmati, tra Stato e Chiesa, che furono infranti.
Il foro ecclesiastico era il principio per cui il clero era giudicato da un tribunale, appunto, ecclesiastico. Fu abolito; come diretta conseguenza, il governo piemontese potè mettere liberamente in prigione vescovi e preti che si opponevano o criticavano il loro regime. Praticamente finì incarcerata la maggioranza della gerarchia ecclesiastica dell’epoca.
Fu abolito il diritto d’asilo; gli oppositori del regime non trovarono più un posto dove rifugiarsi.
Fu abolita l’inalienabilità dei beni della Chiesa; lo stato si appropriò della quasi totalità delle terre, degli edifici, dei conventi da tempi immemorabili in possesso degi ordini religiosi e li espulse dal paese. In tal modo i componenti del governo e loro amici si si arricchirono a dismisura, e trovarono i fondi per finanziare l’abnorme esercito con il quale invasero il resto dell’Italia. L’espropriazione e la cacciata proprio di quelle istituzioni che proteggevano i più poveri fu anche causa di quella esplosiva situazione sociale a cui tanti santi cercarono di porre rimedio, e che causò l’emigrazione di milioni di italiani negli anni seguenti.

Quel monumento è affine alle statue dei dittatori che abbiamo visto in tanti paesi: segna il trionfo del propotente sull’inerme. Non è un caso, l’abbiamo detto, che stia dove sta. E non è un caso che sia un obelisco, simbolo per eccellenza della massoneria.

Chi sia stato quel Siccardi che promulgò le leggi lo sappiamo se l’abbiamo studiato a scuola, e se lo ricordiamo. L’obelisco non lo legge nessuno, e sarei stupito se più di un torinese su cento sapesse cosa rappresenta davvero.
Il Santuario della Consolata è ancora là.

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Monti giustiziato

Oh, mi rendo conto che posso avervi indotto nell’errore.
No, non stavo parlando di Nassirya nel post precedente. Mi riferivo ad un altro attentato, compiuto ben prima, ma con modalità sorprendentemente simile.
Dobbiamo andare a Roma il 22 ottobre 1867.
L’Italia è stata ormai occupata quasi tutta militarmente dai Savoia. Nel sud continua la spietata repressione del brigantaggio, con interi paesi passati per le armi e civili fucilati sul posto alla minima infrazione, fosse anche avere sconfinato nei lavori agricoli. La Francia si è ritirata da Roma, dopo avere ottenuto dai Savoia lo spostamento della capitale a Firenze e la solenne garanzia che avrebbe protetto lo stato pontificio da ogni aggressione esterna. In pratica, come tutti si rendono conto, è come avere affidato la protezione del gregge al lupo. Tutto quello che manca a Vittorio Emanuele II è un pretesto per l’aggressione.

Pretesto che ancora una volta si cerca in Garibaldi. Equipaggiati dai sabaudi, truppe “volontarie” garibaldine attaccano Roma. Contemporaneamente una serie di attentati dovrebbe decimare i difensori, causare una reazione e l’insurrezione. Diversi gruppi di “patrioti” si infiltrano con lo scopo di prendere possesso dei punti strategici. Il popolo romano si guarda bene dall’intervenire, la rivolta non scatta, gli assalitori sono dispersi. I francesi intervengono, Garibaldi è sconfitto a Mentana, Vittorio Emanuele mette un piede in Lazio, poi ci ripensa e fa marcia indietro. Non ci sono più le condizioni politiche per un altro colpo di mano. 
Ma nel frattempo lo scoppio di due barili di polvere da sparo posti sotto la caserma Serristori causa “solo” la morte di venticinque zuavi pontifici, quasi tutti italiani e francesi, e di due civili, tra cui una bambina.

I responsabili materiali sono un marchigiano ed un romano, Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti. Saranno catturati e, un anno dopo, processati e ghigliottinati. Le loro sono le ultime sentenze di morte eseguite a Roma prima di Porta Pia. I due avevano ammesso di essere stati reclutati da agenti sabaudi.

Come ho anticipato sono stati chiamati martiri, sono state scritte poesie su di loro, è stato girato un film. Hanno delle strade a loro nome in alcune parti d’Italia. In che maniera la loro storia si differenzia dagli attentatori di Nassirya?
In una cosa almeno. Ci risulta che i due si pentirono amaramente di quello che avevano fatto.

Sotto attacco

Pensate a Nassirya.

Un paese sotto attacco, attentati continui. Stato di emergenza, protocolli di giustizia militari. Un contingente di truppe di un paese straniero, ragazzi venuti lì per cercare di difendere la pace.

Una terribile esplosione. Terrorismo, compiuto senza nessun rispetto per la popolazione. Muoiono una ventina di quei militari. E civili, bambini, gente che non chiedeva di meglio che vivere la propria vita.

I responsabili sono stati finalmente arrestati. Hanno confessato tutto, anche il fatto di essere a libro paga di una certa nazione.
E adesso che succede? Hanno fatto saltare per aria delle persone innocenti – nominalmente le stesse che volevano riscattare dall’oppressione – e vengono chiamati martiri. Su di loro si fanno film, si scrivono poesie, vengono dedicate delle vie. Probabilmente l’opinione pubblica ha altro a cui pensare, ormai, dato che il conflitto è finito, le truppe sgomberate, si pensa solo alla ricostruzione.

Ma ditemi, quest’ideologia che esalta degli assassini vi sta bene?
Secondo voi cosa si dovrebbe fare con quegli omicidi? Cosa ne fareste, voi?

Memoria

Vorrei celebrare la giornata della memoria ricordando un campo di concentramento che sorgeva a quattro passi da casa mia, e di cui non conoscevo assolutamente l’esistenza.
Ci sono incappato per caso. Leggendo il nome del paese sono trasecolato: com’è possibile? San Maurizio e’ un posto che sono solito frequentare nelle mie sgambate ciclistiche; e da nessuna parte avevo mai letto che avesse ospitato migliaia di prigionieri per anni: più di dodicimila, dicono le fonti; mediamente sugli ottomila. La cittadina al tempo non arrivava a tremilacinquecento abitanti.

E’ curioso che nelle varie celebrazioni nessuno o quasi si sia ricordato di quei tanti che di lì transitarono, e spesso ci lasciarono le penne a causa delle intemperie, della fame, delle malattie; in fondo erano italiani come noi, anche se appartenenti ad un ceppo particolare.
I “terroni”.
Absit injuria verbis. Nel medesimo periodo personaggi altrettanto “terroni” sedevano comodamente in Parlamento senza preoccuparsi troppo della sorte dei loro compaesani se non per studiare di mandarli nella Terra del Fuoco o su una isoletta atlantica a morire.
I suddetti prigionieri appartenevano ad una specie particolare di “terroni”: facevano parte del disciolto esercito borbonico, ed erano coloro che si erano rifiutati di voltar gabbana, rinnegando il giuramento a Franceschiello per abbracciare l’usurpatore savoiardo.

Le condizioni davvero miserevoli in cui erano rinchiusi i poveretti non trovarono molto riscontro sui giornali liberali dell’epoca. Diciamo pure nessuna. Dobbiamo rivolgerci a “Civiltà Cattolica” o altre fonti per saperne di più.
I detenuti di san Maurizio in fondo erano fortunati rispetto a quelli mandati al forte di Fenestrelle, dove certo l’inverno era più aspro e addirittura erano stati tolti i vetri alle finestre per “sveltire” il naturale processo di selezione. Pare che su una parete di lassù si possa ancora leggere “Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce“: non so a quando risalga la scritta, ma un’eco di massime tristemente più famose si sente.

Perché è da quelle parti che siamo. Secondo l’ideologia liberal massonica che si impadronì del Regno delle Due Sicilie le persone non erano importanti, lo erano le idee. Perciò quanti non rientravano nello schema andavano eliminati, in un modo o nell’altro. Che di loro si sia persa anche la memoria la dice lunga su quanto possono essere interessati e parziali certi facili schemi.
Gli ebrei italiani deportati durante la seconda guerra mondiale furono ottomila circa. I meridionali italiani deportati dal 1860 al 1865 circa cinquantamila.
Non so quanto a lungo restarono in quel campo, nè quando esso fu chiuso. E’ difficile avere memoria di qualcosa che nessuno vuole ricordare.

150: parla parla Parlamento

Un bell’allestimento, non c’è che dire. Anche se io avrei preferito starmene ancora un po’ a guardare le tavole di Defendente Ferrari al piano terra.
Ma è quasi terminato il centocinquantenario, e anche la ricostruzione del primo Senato italiano che è attualmente ospitata a Palazzo Madama a Torino avrà tra poco la sua conclusione. Meglio affrettarsi.

Ci si può sedere in imitazioni di quegli scranni che ospitarono per un ventennio le discussioni dei senatori del regno. Scorre un video, voci registrate si levano nella riproduzione di una seduta di quello storico consesso.
E qual è quella seduta? L’approvazione dellle leggi Siccardi sull’abolizione del foro ecclesiastico.

Ricordo brevemente di cosa si tratta. Fino alla primavera del 1850 gli ecclesiastici, quando ritenuti colpevoli di qualcosa, non venivano giudicati d un tribunale normale ma da uno apposta per loro. Il ministro Siccardi propose una legge per cui preti e vescovi sarebbero stati sottoposti alla magistratura come cittadini qualsiasi.

Beh, certo, sembra giusto e corretto, no? Un segno di civiltà. L’attore che legge i testi del ministro ha una voce forta, sicura, quella che siamo abituati ad associare al protagonista. Al termine degli interventi favorevoli scrosciano gli applausi.
Invece le voci di quanti parlano contro sono insinuanti, un poco enfatiche, diciamola tutta antipatiche. Ti figuri dietro biechi figuri che combattono per mantenere antichi privilegi. Le motivazioni che adducono sono “il mantenimento della religione cattolica”, con un velo di minaccia. Nessun applauso per loro, e stupisce un poco il pubblico apprendere che la discussione è durata giorni. Com’è possibile? La casta, evidentemente.

Ma alla fine il nuovo trionfa. Colui che declama i testi ci informa, bontà sua, che questa è solo la prima di una serie di leggi che comprendono anche il matrimonio civile e che costeranno la scomunica al Re. Di seguito parte una carrellata sull’odierno Parlamento, forte, laico, indipendente, sottinteso grazie a quelle antiche decisioni.

Il visitatore, dunque, apprende che la Storia di Italia si è fatta grazie all’abolizione dei privilegi ecclesiastici, ottenuto in forza alla lungimiranza di quell’antico parlamento.

A me scappa da ridere, per non piangere.
Quella “Siccardi” non è certo la prima legge contro la Chiesa che quel Parlamento discute, come si cerca di far credere. Anzi, tra i suoi primissimi atti, in piena guerra del ’48, il Senato ha votato l’espulsione dei gesuiti e altri ordini “gesuitanti”.
Il Foro ecclesiastico c’è perchè c’è un Concordato; di questo viene fatto carta straccia – altri stati cattolici l’hanno abolito, ma di comune accordo, non per un atto unilaterale. Oltre al Foro sul piatto ci sono altri provvedimenti che vedranno la luce nei due anni successivi: l’abolizione del diritto d’asilo, cancellazione di feste religiose (“Che distraggono il popolo dal lavoro”), limitata la possibilità per la Chiesa di ricevere donazioni, introdotto il matrimonio civile. Se si abolisce il Foro ecclesiastico rimangono però intatti quelli dedicati a senatori, militari e commercianti.

Quali sono dunque i motivi per cui questa “legge di civiltà” viene proposta e approvata tanto di fretta? Il motivo è visibile immediatamente. Il Vescovo di Torino Fransoni prepara un’istruzione ai preti sulla legge; manco è uscita di tipografia che Fransoni è arrestato per abuso di stampa, condannato ad un mese di galera e 500 lire di multa; seguirà, di lì a poco, l’esilio.
Forse è un pochino più chiaro adesso? Il poter giudicare il clero consente al governo di applicare pressioni, imprigionare, perseguitare i sacerdoti cattolici come più gli piace. Non può permettersi una Chiesa libera, con le porcate che si accinge a fare: espulsione del clero, appropriazione dei beni ecclesiastici, invasione senza casus belli di stati confinanti…Vent’anni dopo, nel 1861, centocinquant’anni fa, ci sono in Italia oltre cento sedi vescovili vacanti.

Se lo stato si configura come unica fonte del diritto allora può fare quello che vuole. A chiunque. E chi richiama al fatto che esiste una legge più alta…è scomodo.

A distanza di centocinquant’anni il potere non ha finito di cercare di imporre la sua visione. Non ha finito di distorcere il passato per potere plasmare il presente. Chissà quanto se ne sono accorti, in quella falsa aula del Senato, simile ma non uguale a quella che fu, che quello che vi veniva descritto era forse simile a quanto avvenne, ma diverso quel poco che basta ad essere falso?

150: Far cassa

La situazione finanziaria dello Stato è spaventosa. Il deficit è un abisso incolmabile. Il popolo è esasperato dalle nuove tasse, la crisi economica fa il gioco delle opposizioni. La folla assalta l’abitazione del Presidente del Consiglio. Colpiti sono soprattutto i poveri. Cosa fare allora?
Semplice: abolire gli ordini religiosi, incamerarne le proprietà, tassare il resto dei beni ecclesiastici e smettere di pagare le congrue al clero.

Come forse avrete capito non siamo ai giorni nostri: è il 1853, in quello che è ancora il Regno sabaudo.
Non è un caso che il Piemonte sia in fortissimo deficit. Più di metà del suo bilancio va a coprire le spese di un esercito enorme e sproporzionato. I debiti contratti e che contrarrà per l’avventura della Crimea strozzeranno gli italiani per molti decenni a venire.
Per coprire almeno in parte l’immenso buco il Presidente del Consiglio – Cavour, sì, proprio lui – decide di rivalersi appunto sulla Chiesa.
La famiglia del conte deve in gran parte la sua prosperità proprio dall’avere acquistato a prezzo stracciato le proprietà ecclesiastiche che Napoleone a suo tempo aveva requisito e svenduto per far cassa. Il colpo si può ripetere con quanto ancora rimane: cancellando quella congrua che lo stato si era accollato per sfamare il clero a cui erano state sottratte le fonti di sostentamento dai francesi e sopprimendo le congregazioni incamerandone i beni.

Parte la campagna di stampa; vengono fatte, con gran risonanza, “petizioni pubbliche”; il Governo, prima ancora di esaminare il caso, dà già per cancellate le congrue dal bilancio. L’opinione pubblica viene convinta che sia doveroso, legittimo, atto dovuto espropriare una Chiesa “troppo ricca” di quanto possiede.

Boncompagni, il guardasigilli che ha già sforbiciato in precedenza le congrue, così giustifica il suo operato: “La Chiesa è un grande istituto di beneficienza (…) concetto che meglio corrisponde all’idea del suo fondatore.” La Chiesa “ha sui beni stabili quei diritti che lo Stato trova conveniente concederle“, e quando lo Stato decidesse di assumere su di sé il provvedere ai poveri…i beni ecclesiastici non dovrebbero forse passare anch’essi al Governo?
In Commissione si delibera che una comunità religiosa è un ente morale che non esiste in natura e quindi non si può arrogare la pretesa di possedere dei diritti naturali. Se non esiste in natura, allora è lo Stato che gli permette di esistere: “Lo Stato crea, lo Stato può distruggere quello che ha creato”. Peccato che lo Stato, storicamente, sia l’ultimo arrivato che scambia per concessioni sue le creazioni del popolo cristiano. Che lo scopo sia appunto quello di schiacciare la Chiesa rendendole molto più difficile proseguire la sua opera, più che di fare cassa, risulta evidente quando viene rifiutata la proposta dei vescovi di provvedere loro stessi alla congrua.

E’ interessante leggere quello che dice Solaro della Margherita sugli analoghi provvedimenti fatti in passato dai governi che Cavour plaude come “illuminati”: “Il ministro (…) doveva dirci che i tesori immensi da Arrigo VIII derubati in una somma uguale a 46 milioni di nostre lire di rendita furono dissipati in pochi anni, e sul finir del suo regno l’erario era nella più estrema penuria. Doveva dirci che sotto il regno di Elisabetta undici leggi dovè promulgare il parlamento per sollevare le migliaia di poveri, resi miseri dello spoglio dei beni della Chiesa. Doveva dirci che la Francia ebbe in mercede la dilapidazione delle finanze, la guerra civile, l’universale miseria; avremmo allora meglio apprezzati i rari benefizi che questa legge prepara al paese.

Parole profetiche: la soppressione degli ordini religiosi nel 1855 e la susseguente tassazione dei beni ecclesiastici contribuiranno a creare quella situazione di arretratezza ed estrema povertà che causerà l’emigrazione di tanti nostri concittadini negli anni seguenti.

Una cosa del genere non potrebbe accadere ai giorni nostri. Ormai è chiaro a tutti il principio che il non profit debba essere aiutato e non ostacolato perchè fornisce un servizio inestimabile alla società, servizio che sarebbe ben più costoso e inefficace se fosse fornito direttamente dal governo. Il principio di sussidiarietà: non è lo Stato a provvedere a tutto, ma lo Stato stesso sostiene discretamente coloro che fanno senza sostituirsi ad essi.
Con bene chiari i disastri dello statalismo nessuno sarebbe tanto folle da…non è vero?

150: Fare gli italiani

Ma l'Italia, da chi è fatta? Chi sono gli italiani? Cosa li unisce?
La lingua, dirà qualcuno. Ma centocinquant'anni fa questa lingua non è che fosse così chiara. La maggior parte degli italiani parlava solo dialetto. Re compreso. E alcuni di questi dialetti sono lontani dall'italiano come e più di altri linguaggi, sono lingue vere e proprie.
E neanche era vero che l'Italia gemesse sotto tallone straniero. A parte il lombardo-veneto, i sovrani delle altre terre erano tutti italianissimi, anche più dei Savoia. Se vogliamo dirla tutta anche il tallone degli Asburgo non è che fosse così oppressivo. Come, ad esempio in Veneto, hanno dovuto poi constatare le popolazioni.
Non discutiamo poi su alcuni luoghi come Nizza – che, non dimentichiamolo, ha dato i natali a Garibaldi – Val d'Aosta, Corsica, Trentino, Istria la cui italianità è in bilico.
Italiano è solo quello al di sotto delle Alpi, più in su del Mediterrraneo? O esiste un qualcosa di più profondo, che non si può confondere con altro?

Perché qualcosa esiste, è chiaro. Ce l'abbiamo chiaro adesso come ce l'avevano chiaro nell'ottocento. A cui è stato appicicato qualcosa, ovvero che questo sentimento nazionale debba per forza esprimersi in uno stato-nazione univoco. Se esaminiamo lo svilupparsi dell'idea troviamo che è – ovviamente – strettamente connessa con i nazionalismi ed è molto più recente di quel sentimento patrio di cui sopra. Gli abitanti di Modena e Palermo si riconoscevano italiani anche senza un unico governo, dovunque esso stesso risiedesse.
E' facile far vedere, storiografia alla mano, che quest'idea di stato unico sia stata propagandata e imposta come solo possibile risultato storico da chi aveva tutto l'interesse a farlo – i Savoia, con l'aiuto di alcune nazioni europee a dire la verità più interessate a far fuori il Papa che ad un'Italia unita.
La dimostrazione spicciola di ciò è nella famosa frase "pur troppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gl'Italiani" che il D'Azeglio scrisse. Quest'unità fu un'unità imposta, e il prezzo fu ed è altissimo.

Nel mondo attuale si tende di più alla divisione che all'unione. Le nazioni di un tempo si spezzano, gli indipendentismi prosperano. Forse varrebbe la pena ragionare su cosa possa tenere uniti ancora gli italiani, al di là di una retorica vuota; cosa convenga – e non solo in una prospettiva di egoismo spicciolo. Il problema si può vedere a qualsiasi livello: cosa ci costa stare in un'Europa che cerca di imporre un pensiero unico, ad esempio, quando questo pensiero non sia il nostro.
E mi domando se il problema non sia più alla radice: ovvero che non contino la bandiera e l'inno, espressioni parziali di un'identità, quanto il concetto di autorità, di governo, di stato di chi in una maniera o nell'altra è chiamato a governarci. Cosa unisca gli uomini e cosa li separi. Ancora una volta questione di persone, di libertà, di verità.


 Altri post della serie "150" e affini:
Ottocentoeuno: domande
Ottocentoedue: Massoni
Ottocentotre: Gesuiti
Er Che de noantri
Invasione di campo
Petizione!
Repressione tragica
La madre dell'Italia
Italiasessantuno

150: Italiasessantuno

Quando da piccolo passavo per la zona sud di Torino, mi colpivano sempre alcune grandi strutture. Un binario di metropolitana che correva a diversi metri d'altezza e che si interrompeva bruscamente ne vuoto, la struttura di cemento già mangiata dall'umidità. Un palazzo a forma di fetta di formaggio fuso, dai vetri sporchi e circondato dagli sterpi. Un laghetto artificiale su cui correva il binario di cui sopra ridotto a palude. Chiedevo: cosa sono quelle cose? E mi si rispondeva: è Italia '61!
Erano i resti titanici delle celebrazioni per i cento anni dell'Italia unita. Erano bastati una manciata d'anni per renderli relitti abbandonati, dispendiosi e difficilmente recuperabili.

A me, bambino cresciuto nella più roboante retorica risorgimentale, era una cosa difficilmente comprensibile. Avevo letto Cuore una decina di volte. Mazzini e Garibaldi erano i santi che ci avevano dato la nostra patria. Tutto era stato bello, eroico: la guerra contro il bieco austriaco, la gioiosa insurrezione popolare, i patrioti, i Mille…
 Sono passati anni da allora, e sono cresciuto, Mi è stato insegnato a farmi domande, a tenere gli occhi spalancati, a vedere. E ho visto che il Risorgimento è una menzogna gigantesca che ci è stata data da bere per anni e anni, e in cui c'è ben poco di giusto. Un'esposizione finita la quale gli acclamati traguardi si rivelano essere costosissimi ed ingestibili catafalchi.

 Forse l'Italia andava fatta. Ma è stata riunita con l'inganno e il tradimento, con la sopraffazione e l'omicidio, con il massacro e la consapevole negazione di ogni norma del diritto dei popoli e delle nazioni.
 Qualcuno potrà anche dire che è andata bene così. Io non sono d'accordo. Tutto quel male l'abbiamo pagato caro, e continuiamo a pagarlo.
Almeno non continuate a raccontarci palle. Non pigliateci per scemi. E' ora di smetterla. Perché il male di oggi è il male di allora, e non possiamo uscire dal male di oggi se non chiamandolo con il suo nome.
 Viva l'Italia, e abbasso il Risorgimento.

150: la madre dell'Italia

Sfruttamento della prostituzione. Questa l'accusa che si può rivolgere al nostro primo ministro. La ragazza è sicuramente estremamente giovane, bella, diciamo glamour – disinvolta, potrebbe essere la parola. Con voglia di farsi notare. E gusti molto costosi. E perciò quale migliore ambasciatrice per la causa italiana presso un imperatore, quello francese, noto per i suoi appetiti in fatto di donne, voraci quasi quanto quelli del Re Savoia?

Stiamo parlando, come avrete certamente intuito, di Virginia Oldoini, più nota con il nome di Contessa di Castiglione. Il titolo le era arrivato per avere sposato, appena diciassettenne, il conte Francesco Verasis Asinari. Pare che il suddetto conte l'avesse voluta per la sua fama di essere la più bella d'Italia, ed in seguito se ne sia pentito dopo avere constatato sia la sua dispendiosità che la sua, appunto, disinvoltura. In pratica, lei si portò a letto un buona parte della corte e del parlamento, Re compreso.

 Suo cugino il conte di Cavour pensò di sfruttare la propensione della giovane per la "diplomazia" inviandola alla corte di Napoleone III. Gran successo: la diciannovenne diventò l'amante ufficiale del sovrano parigino. La sua opera e una guerra, quella di Crimea, in cui morirono un paio di migliaia di piemontesi, divennero la moneta di scambio per la partecipazione francese alla seconda guerra di indipendenza. Il venir meno della passione di Napoleone per la bella contessa andò di pari passo con il deteriorarsi dell'alleanza tra i re sabaudi e la Francia. La cessione di Nizza e Savoia fu il prezzo che oltralpe reclamarono per avvallare i "referendum" fasulli che decretavano l'annessione dell'Italia a Torino.

La contessina, da cui il marito cornuto aveva ottenuto la separazione appena prima di lasciarla vedova facendosi schiacciare dalla carrozza reale, ebbe molta poca riconoscenza dal governo italiano. Nonostante, o forse proprio perché amante di troppi uomini potenti, se ne tornò in Francia dove visse una breve vecchiaia all'ombra del rimpianto della sua bellezza sfiorita, della sua famiglia distrutta e del progressivo deteriorarsi della sua condizione finanziaria.
Di lei restano documentati diari intimi (anche se le carte più compromettenti furono bruciate) e una tomba a Père Lachaise, a Parigi.
In un certo senso si può dire che sia stata la madre della patria. Cosa ciò faccia dell'Italia si può discutere.

Repressione tragica

Abbiamo tutti presente quanto sta accadendo. Verso sud si addensano nubi di tempesta, anzi, la tempesta stessa è già scoppiata. Nelle acque del Mediterraneo confluisce il sangue di migliaia, decine di migliaia di rivoltosi che la dura repressione governativa ha trucidato.
Il sangue non è solo di chi ha preso le armi contro un regime che sente tirannico e perverso, ma di civili inermi: vecchi, donne, bambini che truppe regolari e non hanno colpito per la loro vicinanza ai ribelli. Si racconta di bombardamenti indiscriminati, massacri, incendi di villaggi, fucilazioni sommarie.

C'è chi parla del rischio religioso. Del rischio che la laicità dello stato abbia fine, che si crei un regime confessionale, con ripercussioni sull'assetto internazionale. Mi domando: basta questo per giustificare l'intervento armato dell'esercito contro gli stessi cittadini che hanno giurato di difendere? Non si può ignorare che ad accendere la rivolta è stata la crisi, le tasse, la fame, ma molto di più la mancanza di prospettive, la corruzione, il giogo di un potere che è sentito come estraneo ed oppressivo.
Si può ragionevolmente prevedere che parte della popolazione deciderà di emigrare, di cercare scampo altrove, di imbarcarsi per fuggire da una situazione che percepisce senza via d'uscita verso terre che garantiscano maggiore libertà, nuove opportunità.

La situazione appare tragica. Cosa accadrà del sud dopo che l'esercito dei Savoia avrà finito di stroncare quelli che loro chiamano "briganti" nessuno lo sa con certezza. Sappiamo solo che in questo sanguinoso 1861 la nostra neonata Italia segna una delle sue pagine più tragiche.

150: Petizione!

Ormai è certo. Non sono pettegolezzi. Non sono solo intercettazioni, "si dice" di terza e quarta mano. Ci sono i testimoni.
Si sta parlando, l'avrete intuito, di quel nostro governante che ha avuto una relazione stabile con una minorenne. Fin da quando la ragazzina aveva solo quattordici anni. Alloggiandola in una dependance della sua lussuosa villa. La notizia è confermata.

Non c'è modo che la cosa possa passare sotto silenzio. La cerchia degli amici più intimi ne erano a conoscenza da un pezzo. Il legame era cominciato fin da quando il nostro uomo di Stato era ancora sposato, nonostante i figli. Si dice che l'abbia conosciuta durante una festa e che sia la figlia di un militare. I suoi amici raccontano che avrebbe voluto introdurre la sua giovane amante in politica, ma ne sia stato dissuaso per le possibili forti reazioni. Quello che è certo è che le avrebbe trasferito denaro, titoli e possedimenti.
La ragazza non sarebbe comunque che una tra le molteplici frequentazioni femminili di cui si narra, tutte ripagate con favori…o anche solo con "l'onore" di essersi giaciute con un personaggio famoso.

Se fino ad ora abbiamo taciuto per convenienza, queste notizie sono tanto gravi che zitti non si può più stare. Bisogna cacciare via chi pensa di potersi comportare come pare e piace. E' una vergogna per l'Italia tutta. Adesso le masse l'idolatrano e inneggiano al suo nome, ma può il populismo tarpare in codesta maniera la giusta indignazione, il giusto scandalo? L'azione politica può mascherare la dirittura personale? Quanto a lungo dovremo restare succubi del suo potere senza ribellarci? Come si può pensare che l'Unità d'Italia possa essere fatta e gestita da un uomo siffatto?

Bisogna cancellare il suo nome dai libri di storia, esecrarne la memoria, rimuovere ogni cosa che a lui si possa riferire. Solo così potrà guarire questa insanabile ferita.
Associatevi a noi, cacciamo il sovrano corrotto e le sue amanti, e ristabiliamo l'impero della morale!

Petizione:
Rimuoviamo Vittorio Emanuele II dai libri di storia e cancelliamo ogni cosa da lui fatta! E' inammissibile che un uomo del genere possa essere additato ad esempio per il nostro paese.
Qui la documentazione delle accuse.
Firma anche tu!

Invasione di campo

Il politico salì sul palco e si schiarì la voce. Le casse vibrarono con un sibilo metallico, risuonando nella piazza praticamente deserta.
"Quest’anno celebriamo l’anniversario del ricongiungimento alla madre patria di quella terra che, un tempo divisa, grazie agli sforzi e all’eroismo dell’esercito e del suo popolo, si è finalmente unita…"
Da sotto la tribuna si levò una salva di fischi. "Buffone! Provocatore! Vai a casa!"
Un ragazzo con una maglietta di colore indefinito e capelli e barba ispida mostrò i pugni all’oratore. "Non ti vergogni? Stai parlando dell’invasione di uno stato sovrano!"
Il politico si accigliò. "Calma, calma. Il territorio di cui parliamo in realtà ha sempre fatto parte moralmente della madre patria, e se era separato politicamente è stato solo per un accidente storico. L’intervento armato ha semplicemente ristabilito in modo pressochè pacifico quanto la storia negava."
Il giovane strabuzzò gli occhi. "E secondo te assaltare con cannoni e fucili una città è sinonimo di pace? E’ uno schifo che tutti, per convenienza politica, facciano finta di niente di fronte ai morti, agli imbrogli, alle violazioni del diritto internazionale…"
L’uomo sul palco si sporse ed affrontò l’interlocutore a muso duro. "E secondo te si sarebbe dovuto sopportare che una città carica di passato restasse per sempre sotto l’oppressione di un clero antiquato e corrotto, di una religione che con i suoi…"
"Una civiltà millenaria! Che da tempo immemorabile, arricchendo di capolavori…"
"Preservati, in musei per il popolo e i turisti. Sono state garantite al capo di quella religione ampie possibilità di continuare…"
"Chiuso nel palazzo! Un fantoccio dileggiato! Tant’è che  è fuggito…"
"Fuggito? Non mi risulta."
"Sì, i sessant’anni di oppressione di cui celebrate l’anniversario…"
"Come, sessanta? Ma se sono centocinquanta!"
Il giovane si fermò, stupito.
"Non è la manifestazione per il sessantesimo anniversario dell’invasione del Tibet organizzata dal consolato cinese?"
"Vi sembro cinese? Questa è la manifestazione per i centocinquant’anni della breccia di Porta Pia!"
"Ma allora, la religione di cui parlavate…oh, sì, allora sono d’accordo! Fuori il Papa da Roma e dall’Italia!"
"E voi in realtà dicevate di…ma certo, Sono d’accordo con voi! Viva il Dalai Lama!"
I due si abbracciarono, sotto gli occhi stupiti di alcuni turisti.
 
"Kosa essere questa konfusione?" Domandò un anziano ad un uomo che gli stava accanto
"Non sapere, parlare invasione stato sovrano…forse di Polonia di parte di Germania, da?"
L’anziano ammiccò. "O di parte Russia Stalin, ja?"
Un uomo dall’aspetto mediorientale li interruppe "Scusate, sapete me dire dove manifestazione per anniversario invasione Iraqui?"
I due lo squadrarono. "Aspetti il suo turno…"

Er Che de noantri

Gran discussione sul fatto che un consiglio di istituto abbia deciso di cambiare il nome di una scuola da quello di Carlo Pisacane a quello di Makiguchi, un educatore buddista giapponese da noi non granchè noto, salvo tra addetti ai lavori. Occasione per una polemica basata sul vuoto.

Il nome Pisacane fu dato a quella scuola dall’elite massonica che governava la città ai tempi della sua istituzione, poco più di cent’anni fa. In spregio ai cattolici, diedero agli istituti di educazione i nomi di coloro che avevano tentato in ogni maniera di espellere il fatto cristiano dall’Italia, compreso quello di un cretino e illuso come Pisacane. Il "patriota" tentò una rivoluzione velleitaria armi in pugno e finì male – e, data l’approssimazione della preparazione, non poteva finire altrimenti. Quando i galeotti e delinquenti con cui pensava di condurre operazioni di guerriglia furono fatti a pezzi da quegli stessi contadini che secondo lui avrebbero dovuto "liberare", si sparò. Bell’esempio per la gioventù: un Che Guevara un poco più sfigato.

Adesso quella stessa elite che glorificava il rivoluzionario da strapazzo in nome dell’italianità si è prima comunistificata, e Pisacane andava ancora, e poi ha perso Marx e ogni altro riferimento. Rivoluzionariamente distruggendo, si è persa coscienza di chi si è; e per trovare un esempio non si cerca nella propria tradizione omai sconosciuta. Il nome di Pisacane è rimosso da quello stesso stesso processo da lui perseguito. Makiguchi per costoro è più reale dell’antico guerrigliero, perché a forza di sradicare hanno sradicato le proprie radici, anche quelle cattive. Non è questione di multiculturalismo, è questione che non si sa chi si è. E quando non si sa chi si è sono gli altri a dirti chi sei.

Ottocentotre: Gesuiti

E’ il 1848, 8 giugno. E’ appena scoppiata la prima guerra d’Indipendenza, le truppe piemontesi si muovono in Lombardia. Ma di cosa si sta occupando il governo del Regno di Sardegna?
Sta cacciando via i gesuiti.*

Il 2 marzo Carlo Alberto aveva già decretato l’espulsione di tutti i gesuiti stranieri, e l’incameramento dei loro beni. L’avvocato Cesare Leopoldo Bixio presenta un progetto di legge** riguardanti quelli "nazionali". I 160 gesuiti ancora presenti sono costantemente sorvegliati dalla polizia, i loro collegi già espropriati e convertiti ad uso militare. Ma non basta ancora, evidentemente. Di cosa li si accusa?

"Semi di discordia"  e "Rappresentanti di un funesto passato", ne dice Bixio***; "Cacciando lontano la lue gesuitica intendemmo liberare il paese dalle sue malefiche influenze, di liberare la gioventù nostra dai pericoli di un’educazione corrompitrice", chiosa Valerio. Per Bottone "Ognuno sa che la esistenza della compagnia è incompatibile colla libertà, colla civiltà, colla prosperità dei popoli." Indicativo quanto dice il massone Chenal: "L’istituto gesuitico non è tanto un ordine religioso, quanto un ordine politico con la missione di favorire la schiavitù dei popoli(…), di inculcare nell’animo ancora tenero dei fanciulli mille pregiudizi contrari alla libertà. E’ una sorta di massoneria che però, al contrario di quella che porta questo nome, non ha per fine ultimo che un dominio senza fine." Cavallera sostiene che non si può "in coscienza" essere cattolici e Gesuiti al tempo stesso, e in definitiva si sostiene che la Compagnia di Gesù è uno strumento di Satana.

Ma perchè tanto accanimento contro i Gesuiti?
Ignazio di Loyola fonda la sua Compagnia nel 1534. I Gesuiti sono tenuti ad una obbedienza totale al Papa, che li porterà da una parte ad essere missionari nelle terre più remote, Americhe, Cina e Giappone; e dall’altra a scontrarsi frontalmente con la Riforma Protestante. Spesso di elevata cultura, scienziati, universitari, di disciplina ferrea e rettitudine morale esemplare, conquisteranno posti rappresentativi nelle corti europee ottenendo con i loro collegi il monopolio dell’istruzione della gioventù che conta.
Saranno quindi i primi bersagli da abbattere per tutte quelle forze che sono ostili a Roma e che vedono in essi il maggiore ostacolo ai loro piani. "Quando avremo distrutto i gesuiti avremo buon gioco contro l’Infame": l’"Infame" che, secondo la celebre espressione di Voltaire, la rivoluzione illuministica deve "schiacciare" non è solo la Chiesa cattolica, ma è la stessa religione e infine lo stesso Dio. E Voltaire aveva studiato dai Gesuiti.

Il mito relativo alle perfidie dei gesuiti, diffuso da un complotto illuministico e massonico le cui fila sono ormai ben note, penetrerà perfino nella Chiesa e porterà nel 1773 alla soppressione temporanea della Compagnia di Gesù da parte del Pontefice Clemente XIV, moralmente e fisicamente minacciato dall’ambasciatore spagnolo, l’illuminista Monino.
Il Parlamento sabaudo decreterà alla fine l’espulsione dei gesuiti, che non saranno difesi praticamente da nessuno.

Non è che il primo passo, Voltaire aveva visto giusto. Negli anni seguenti uno dopo l’altro tutti gli ordini religiosi saranno espropriati e cacciati dai governanti piemontesi****, che giungeranno fino ad impadronirsi della stessa Roma. Spesso portando a motivo che "Per i gesuiti si era già fatto, e nessuno aveva protestato" e "Tutto ciò che è venuto a contatto coi Gesuiti deve essere considerato come contaminato".

I Savoia, in tal maniera, si procureranno le credenziali e i fondi per il loro assalto finale al resto dell’Italia. Ma di questo parleremo poi.

*Angela Pellicciari, "Risorgimento da riscrivere", ed. Ares
**Atti del Parlamento Subalpino, Documenti, I, p.66
***Atti del Parlamento Subalpino, Discussioni, I, p.125-422
**** Prima furono cacciati gli ordini "gesuitanti", poi nel 1854, tutti gli altri

Ottocentoedue – Massoni

La massoneria moderna nasce a Londra nel 1717. Nel giro di poche decine d’anni si diffonde a macchia d’olio in tutta Europa. A metà secolo conta tra le sue file la maggioranza dei governanti del Vecchio Continente. Le sue idee saranno il motore della Rivoluzione Francese, anche se pure Luigi XVI, ghigliottinato nel 1793, è massone. Con la Rivoluzione prima, e con Napoleone poi, essa viene allo scoperto, facendo però anche esplodere le sue contraddizioni interne.

Su cosa sia in realtà questa società segreta e iniziatica, in bilico tra sproloqui gnostici e affarismo spietato, molto si è scritto. Quello che è certo è che la Massoneria ritiene di detenere una verità assoluta, la morale universale che si addice a tutti gli uomini* ; e questa convinzione quindi la pone in rotta di collisione frontale con la Chiesa Cattolica. Le costituzioni massoniche sono piene di esecrazioni rivolte a Roma. Viene indicato come necessario al bene dell’umanità il suo abbattimento, con ogni mezzo: in qualche modo l’obiettivo prioritario**. Da parte sua, la Chiesa si rende conto presto di essere sotto attacco. La prima condanna è di Clemente XII, nel 1738; ne seguiranno moltissime altre.

L’avventura rivoluzionaria e napoleonica, come dicevamo, denuncerà tutti i limiti della filosofia massonica. Il regno dei lumi si rivela essere un sogno sanguinario, e le logge di "fratelli" si combatteranno tra loro in America come sui campi di battaglia europei. Il liberalismo, il socialismo, il comunismo saranno i figli dispersi della sua filosofia utopica, come pure ne è incarnazione diretta quella Carboneria che sarà il motore di insurrezioni violente e inconclusive nella prima metà del 1800. Ma lo scopo finale, l’obiettivo sembra essere sempre quello: la distruzione della Chiesa. Le logge inglesi perseguiranno questo scopo*** con l’aiuto di un Regno piccolo e marginale, ma che sarà favorito e finanziato fino a farlo diventare il Regno d’Italia. Presto vedremo come. 

* "Alleata con nessun sistema religioso, la Massoneria è piuttosto una sintesi, un concordato, per uomini di ogni razza, di ogni credo, di ogni setta e, poichè i suoi principi fondativi sono comuni a loro tutti, non ammette variazioni." (Wilmshurst, "Significato della massoneria")

** "Il nostro scopo finale è quello di Voltaire e della rivoluzione francese: cioè l’annichilmento completo del cattolicismo e perfino dell’idea cristiana" (Istruzione permanente della Carboneria, 1819)
 «Le nazioni riconoscevano nell’Italia il diritto di esistere come nazione in quanto le affidavano l’altissimo ufficio di liberarle dal giogo di Roma cattolica. Non si tratta di forme di governo; non si tratta di maggior larghezza di libertà; si tratta appunto del fine che la massoneria si propone; al quale da secoli lavora, attraverso ogni genere di ostacoli e di pericoli»
(Bollettino del Grande Oriente della Massoneria in Italia, 1865).
«La massoneria avrà la gioia di debellare l’idea terribile del papato, piantandovi sulla fossa il suo vessillo secolare – verità, amore»
(Bollettino, 1869).
«Facciamo sì che dalla Eterna Città nostra la luce si diffonda per l’Universo, che il mondo ammiri a canto del nero e avvilito gesuita, il libero gigante potere della massoneria»
(Rivista della Massoneria Italiana, 1872).

*** La Massoneria inglese fu la prima nel mondo a inviare le sue felicitazioni per la presa di Roma alla giunta del Grande Oriente che aveva allora sede a Firenze, tanto che questa apprese la notizia prima dello stesso governo italiano.

Ottocentoeuno – Domande

Ma a voi, quando a scuola raccontavano di Garibaldi e del Risorgimento e sù e giù, non sentivate mai la puzza?
Io, c’erano molte cose che non capivo.
Come i Savoia, pur subendo batoste rovinose in ogni guerra, si fossero intascati l’Italia intera.  Che fine avessero fatto i regnanti di tanti stati antichissimi che avevano ceduto i loro domìni ai piemontesi così, d’un tratto. Non capivo come Mille persone, per quante eroiche e ben comandate, avessero potuto avere la meglio su eserciti molto più grandi e bene organizzati. Non capivo come una nazione nominalmente cattolica avesse potuto impadronirsi dello Stato Pontificio senza opposizione. Non capivo il Silllabo, non capivo il "Non Expedit", cioè la rinuncia dei cattolici alla vita politica.

Insomma, i conti non tornavano. Gli indizi portavono a cose non dette, non scritte, che i libri di testo non riportavano e a cui i maestri, interrogati, non sapevano dare risposte se non molto insoddisfacenti.
Gli anni sono passati, adesso ho a disposizioni molti più testi, molti più indizi. Le domande cominciano a trovare risposta.

E la risposta è che uno dei motori che stanno dietro agli avvenimenti, forse il più grande, è il tentativo consapevole, lucido e tenacemente perseguito di distruggere la Chiesa cattolica.

Non è mito, non è illusione, non è la teoria del complotto globale tanto caro a qualcuno. Sono fatti avvenuti. E’ una vicenda oscura di ideologia, sangue, illusione e tradimento. Il disegno è reso esplicito dagli stessi che lo portarono avanti. Vedremo nei prossimi giorni quale esso fosse; come abbia vinto ma sia fallito; come la retorica del Risorgimento che abbiamo studiato a scuola sia un tentativo di coprire le distese di scheletri di cui sono colmi gli armadi di questo nostro Stato.
Cercherò di illustrare alcune delle dinamiche nascoste che muovono la Storia. E come, sebbene qualcuno desse la Chiesa per spacciata, la notizia della sua distruzione fosse quantomento prematura.