Scritti politti: Eccellere

Immagine reperibile in rete con scritta su muro, località sconosciuta:
“In un mondo che ci obbliga all’eccellenza fare schifo è un gesto rivoluzionario. A.B.”
Segue simbolo anarchico. Datazione 2016 o anteriore.

La si trova commentata in vari modi qui e là sul web; c’è chi ha cercato di appropriarsene, chi ci ricama sopra, chi si entusiasma per essa. Di primo acchito suona bene, solletica l’anima ribelle che in fondo c’è dentro tutti.
Ma, se ci si ferma cinque minuti a pensarci sopra, cominciano le dissonanze.

Partiamo dall’inizio. “In un mondo che ci obbliga all’eccellenza“.
Esattamente, chi ci sta obbligando? In che modo vi stanno obbligando? Vi torcono le braccia, vi ricattano, minacciano i vostri parenti? La mia impressione, guardandomi attorno, è diametralmente opposta. Praticamente tutto e tutti invitano a tirare a campare. A non esagerare, a stare tranquilli, a fregare il sistema, a cogliere offerte e sconti. Approfittare delle occasioni facendo il meno possibile. Perfino i supereroi ormai sono dei mediocri. Sul serio, chi invita ormai a essere i migliori? Le virtù sono derise e i vizi esaltati, permessi o quantomeno scusati.

E poi, eccellente, che significa? Etimologicamente “spingere fuori”; emergere dalla massa, distinguersi. Oggigiorno ci viene insegnato che per distinguersi occorre seguire la moda, cioè essere esattamente uguali agli altri. Se provi ad avere opinioni diverse da quelle imposte, povero te. Oh, certo, c’è il mito del cantante, dello sportivo: ma è davvero relativo a una bravura, o piuttosto a una fama, a un guadagno?
Sei protagonista, ma solo se compri il prodotto giusto. Rassegnati, spettatore: loro sono inarrivabili. Adorali a distanza e segui lo sponsor.

Se la premessa è falsa, come conseguenza anche la seconda parte della frase non ha senso. Che età mentale ha chi l’ha scritta? “Fare schifo” per reazione, per dispetto? E’ la tua vita quella di cui si sta parlando, caro il mio bimbominkia: se vuoi demolirla per il gusto di contraddizione probabilmente sei un vicolo cieco evolutivo, o hai bisogno di crescere. Il guaio è che se metti in pratica il tuo proposito rischi di non arrivare mai a una maggiore età. Mi vengono in mente quei punk di cinquant’anni fa che tenevano in tasca topi morti per puzzare. Anche loro credevano di distinguersi, ma erano solo il prodotto di un movimento artificiale i cui esponenti spesso hanno fatto una brutta fine. Quale rivoluzione? E’ adolescenza sciocca e vuota. Se la segui, dove ti conduce? Vivi bene in mezzo allo schifo, tra gente schifosa, tu per primo? E’ la società, la compagnia, la casa che vuoi?

Poveretto. Quel graffitaro non riesce a concepire che qualcuno lo possa amare comunque così come è, difettoso come sono tutti gli esseri umani. Che possa desiderare per lui l’eccellenza non per conformismo o desiderio di prevalere, ma per il suo stesso bene, perché possa realizzarsi pienamente la sua umanità.

Sì, lo so, può accadere. Si può fallire anche nel voler bene, nel farlo capire. Caricati di troppe aspettative, vere o presunte, non riuscendo a essere perfetti, si sceglie di essere il contrario.

Eccellere non è qualcosa che devi fare perché il mondo ti obbliga, ma perché tu stesso vuoi essere migliore. Perché il peggio ti fa stare peggio. Eccellere vuol dire anche solo fare un passo in più del minimo, vedere oltre il banale, vivere con gioia il quotidiano. Per eccellere non occorre essere geni, o eroi; basta essere pienamente se stessi. Non farsi vivere da altri. Non bersi le propagande e le sciocchezze, provengano esse da televisione, internet, o graffiti su muri.

Urla

Non so se vi ricordate il Salone del Libro dello scorso anno, quando un assembramento di focosi sostenitori dell’omicidio del non nato impedì, a forza di ingiurie e schiamazzi, al ministro Roccella di parlare. Quei coprolalici individui diedero allora un fulgido esempio di ciò che intendono per democrazia: eliminare chi non è democratico, cioè chi non la pensa come loro.
Mi giunge oggi la notizia che la procura ha archiviato il procedimento nei confronti di quelle allegre menadi, perché
Non vi è traccia di condotte implicitamente o esplicitamente minacciose, violente o intimidatorie poste in essere dalle manifestanti. Non è stato posto in essere nessun comportamento latamente minatorio, se non intonare cori e sovrastare con la propria voce la voce dei relatori”.

Evviva la democrazia, evviva la libertà! Plaudo alla decisione giudiziale: non c’è assolutamente niente di violento o intimidatorio nel coprire l’altrui voce e pensiero con i propri schiamazzi. Grazie a questa sentenza è sbolognato il grido democratico e antifascista: il potere e l’impunita gloria spettano a chi urla più forte, a chi sopprime con baldo orgoglio l’opinione avversa. Coloro con polmoni deboli o che tentano di ragionare sono certamente in torto o, comunque, esclusi. Se ci tenessero, allora alzerebbero il volume.
Non chiamatela censura! Far tacere coloro che dissentono è un dovere per chi a cuore la libertà di fare che cavolo vuole. E’ la legge darwiniana del chi grida più forte, tonsilla per tonsilla, sputazzo per sputazzo.

Potrebbe essere un valido sistema per vincere qualsiasi dibattito: basta coprire il discorso altrui con il proprio, come ci insegnano i talk-show televisivi. La rivincita di Stentore, l’araldo greco dell’Iliade che gridava come cinquanta uomini, che finì ammazzato perché sì, qualcuno preferì la violenza. Quei figli di Troia erano sicuramente antiabortisti, infatti gli Achei presa la città i bambini li sfracellarono, com’era loro diritto. Quelli sì che avevano capito come va il mondo, ah, se ritornassero quei tempi!

‘Extinction Rebellion’, ‘Non Una di Meno’ e ‘Fridays for Future’, le sigle artificiali a medesimo libro paga che effettuarono la contestazione, gioiscono ed esultano pure loro. Hanno censurato, ma si ergono a vittime. Poarette, sono emarginate, nessuno parla di loro, come osano quei rappresentanti eletti avere una loro opinione? L’unica ammissibile è quella del loro finanziatore (famoso peraltro per la munificenza verso la classe giudiziaria), l’importante è avere la cassa toracica e quella di risonanza, l’onda sonora, il fiato. Non certo, a giudicare dalle loro parole, la verità.

Mi domando se chi ha preso la decisione di non procedere voglia silenzio quando parla, oppure preferisca un sano confronto non violento come quello che ha giudicato.

Positività

“Muahahahaha!”, rise il Dottore. L’eco del suo ghigno malvagio indugiò tra le travature gotiche della cripta che ospitava il laboratorio. Fumi solforosi si innalzavano dalle beute e dai matracci, mentre misteriosi meccanismi ticchettavano al ritmo della fiamma guizzante dei candelabri.
“Perché ridete, padrone?” Chiese Igor, con voce nasale, strascicandosi verso il bancone di lavoro.
“Perché, mio servo imbelle, ho finalmente realizzato il mio sogno!” Lo scienziato alzò trionfante verso il cielo nero una provetta piena di un liquido verdastro e inquietante, che ribolliva piano emettendo vapori violacei. “Muahahaha! Avrò il successo! Il mio nome sarà ricordato in eterno!”
Igor alzò la mano deforme per segnalare che non aveva terminato con le domande. “Se posso osare, padrone, quale dei vostri progetti? L’elisir di controllo mentale? La polvere di annichilimento totale? La lozione contro l’acne?”
“No, qualcosa di molto più interessante! Il vaccino contro la positività!” declamò il Dottore.
“Ah”, fece Igor, perplesso. “Intendete dire che quando uno è positivo a qualche malattia, il vostro vaccino lo cura?”
“Il mio vaccino fa qualcosa di molto meglio, toglie la positività alle persone!”
“Appunto, uno viene trovato positivo…”
“No, ho detto! Positivo, positivo! Quando qualcuno è felice, ottimista, pieno di speranza, vede il bello del cose e fa buon viso a cattiva sorte, in quel senso! Il mio composto lo tramuta in un borbottone, pieno di dubbi, di disprezzo, un incontentabile… lo negativizza, insomma”.
“Negativizza. Capisco, padrone”. Igor annuì. I suoi occhi strabici fissarono il dottore da sotto il cappuccio . “Ehm, scusi, padrone, ancora una domanda, come è riuscito a realizzare questo… siero antipositività?”
“Grazie alla mia padronanza delle scienze galvaniche ho portato avanti gli esperimenti del compianto mio collega dottor Jekyll per ideare un composto del tutto innovativo. E’ un distillato del pancreas dei più abbietti relitti umani, unito alla saliva dei più sprezzanti commentatori, filosofi e intellettuali…”
“Padrone, per i pancreas va bene, ho scavato io le tombe, ma la saliva, come se l’è procurata?”
“Sono stato a molte conferenze. Quelli sputazzano sempre quando parlano”.
“Ah, ok”.
“Ho mescolato il tutto con certi fluidi corporei di dieci vergini…”
“Dieci vergini?”
“Tutte con più di sessant’anni. Per trovarle ho messo un annuncio fingendomi uno scapolo disponibile”. Ebbe un brivido di raccapriccio, poi proseguì. “Ho quindi unito il miscuglio con la secrezione della pelle di una particolare specie di rospi sudamericani e ho marinato il tutto in apposite ghirbe scavate sotto le aule universitarie. Quindi, in una buia notte senza luna, nel mezzo di una tempesta elettrica che… scusa, ma che te ne frega?”
Igor alzò la spalla. “Niente, era solo curiosità”.
Il dottore lo squadrò sospettoso. “In ogni caso, ecco qui il risultato delle mie fatiche”. Alzò ancora una volta la provetta fumante.
“Scusi, padrone, ma a parte la conquista scientifica… a che serve?”
“Come a che serve! Non lo comprendi?” rispose irato il Dottore.
“No, padrone”.
“Ogni uomo che verrà a contatto con la mia pozione diventerà un disfattista a cui non va bene niente, pronto solo a criticare e incapace di pensiero creativo. Smetterà di credere in un compito superiore, nelle virtù, alla stessa verità. Diffiderà di chiunque salvo di se stesso, e condurrà alla rovina la società. Potrò abbattere nazioni intere e, se qualcuno si parerà sulla mia strada, grazie al mio composto…”
“Eh, padrone, ma come spera di farlo bere a tutti loro?”
“Bere? Chi ha parlato di bere? Grazie al mio genio, ho innestato la pozione di mia invenzione all’interno di quelle bestie visibili solo al microscopio che ha scoperto quel giovane francese, Pasteur. Mi basta liberare queste piccolissime creature in un ambiente affollato perché queste entrino nelle persone presenti e inoculino loro il vaccino che ho inventato. Saranno le stesse persone infette che diffonderanno la mia mistura a tutti i restanti, perché non sopporteranno che alcuno differisca dalla loro deprimente visione del cosmo. Non è meraviglioso? Pensavo di infettare pipistrelli, o forse pangolini…”
“Scusi, padrone, quindi quelle creaturine se lasciate libere si moltiplicano e si diffondono?”
“Sì, Igor, è così!”
“E perché quella provetta che agita, padrone, non ha il tappo?”
“Oh”.
Il Dottore portò la fiala davanti agli occhi, poi l’agitò lievemente. Il vaccino non ribolliva più.
“Davvero, Igor, questo è inatteso. Mi hai distratto e ora ho inavvertitamente diffuso il mio composto”. Guardò la provetta, contrariato. “Igor, tu ti senti diverso?”
“No, padrone, sono il solito allegro me stesso” ribatté il servitore con tono funereo.
“Neanch’io sono differente. Credo che questo vaccino non funzioni. Un altro fallimento”. Sospirò. “Quanto tempo sprecato. Forse avrei dovuto fare come mio cugino Victor e darmi alla chirurgia estetica. Bah”.
Gettò la provetta nel lavandino, e il restante liquidò scese per lo scarico.
“Non so davvero perché mi sforzo tanto, è tutto inutile. Vado a letto, Igor, pulisci tutto tu”. Il Dottore si trascinò stancamente fuori dalla porta.
Igor raccolse con il dito un po’ del vaccino che non era colato via e lo assaggiò con la punta della lingua. “Blah”, disse arricciando il lungo naso, “meno male che non funzionava, se no sai che disastro. Pure amaro era”.

Il guscio

Siamo piccoli; le nostre gioie sono piccole gioie, i nostri dolori piccoli dolori.
A noi sembrano enormi, ma è perché siamo piccoli; tutto ci pare più grande di quello che è.

Se ci librassimo nel cielo e guardassimo giù, se ci scrutassimo da un’alta montagna, come ci sembrerebbero quasi nulla. Perfino le stelle paiono puntolini, viste da così distante.
Ma è tutto il nostro mondo. E’ l’albume del nostro uovo, il tuorlo che ci fa crescere, in attesa che il guscio si rompa e usciamo fuori, nell’eterno.

I Giullari di Dio

Alcune cose devono essere dette a proposito dell’opera “San Francesco d’Assisi” di G.K.Chesterton. Primo, che non si tratta di una biografia del santo. Secondo, che è scritta da Chesterton.
Viva Monsieur de La Palisse, esclamerete voi. Lasciatemi spiegare.

Non si tratta di una biografia del santo perché sì, ne ripercorre la vita, ma lo fa per accenni, scene, rimandi. Per riuscire a ricavare una linea temporale nelle vicende narrate occorre faticare parecchio. Essendo Chesterton lo scrittore che era, lo troviamo molto più interessato a ricavare idee da ciò che espone; e ne estrae in abbondanza, con quel suo continuo buttare paradossi in testa al povero lettore.
Il ritratto di San Francesco che se ne ricava è parecchio diverso dall’agiografia da cui siamo soliti essere bersagliati; il poverello di Assisi salta fuori come una figura al tempo stesso ridimensionata nel suo essere uomo e resa immensa, simultaneamente un figlio del suo tempo e cittadino di un’altra città, di un’altra patria. Se avrete la pazienza di leggerlo tutto – non è lungo – scoprirete cose del santo umbro che difficilmente avrete sentito altrove. Compresi alcuni suoi lati di cui si tace: il buon Gilbert non ha remore nell’affermare che, su alcune questioni, Francesco era nel torto.

Scopriremo così che no, la natura non è madre, ma nostra sorella; che i secoli bui non erano poi tanto tali e coloro che vivevano a quel tempo non erano né tutti stupidi né tutti ignoranti; che non si può comprendere la materialità senza il misticismo, e il misticismo senza la materialità; che si può lodare Dio comportandosi da buffoni anzi, da giullari. In questo senso il nostro autore è un esempio in se stesso. Chesterton allarga continuamente il campo, spiazza, stupisce come suo solito. Non son pagine per lettori frettolosi e superficiali.

Ma questo libro soprattutto vi farà provare vergogna. Sì, vergogna per un’era come la nostra, abitata da gente come noi, incapace di dare davvero tutto, di lasciarsi andare fino in fondo a quell’amore che dà a tutti la vita e il respiro a ogni cosa. Ecco, qui sono forse io che sbaglio, perché anche allora di Francesco ce n’era uno solo.

NB: Il libro, essendo scaduto il copyright, è di dominio pubblico può essere scaricato legalmente dai siti che lo offrono, es. quelli del progetto Gutemberg. Una ricerca può farvi trovare facilmente diversi formati anche se solo nell’inglese originale.

Ci sono sempre stati

Non espormi alla brama dei miei avversari;
contro di me sono insorti falsi testimoni, che spirano violenza
Salmo 26

Mi ricordo perfettamente, e su questo stesso blog ci sono ancora i post e commenti a dimostrarlo, di quando si diceva “Se questi vogliono (…), che problema fa a te? E’ la loro libertà, mica la tua“.
Di tempo non ne è passato molto, ma quelle che parevano assurdità a cui nessuno sano di mente poteva credere sono diventate la norma dalla quale non si può dissentire. Ci sono posti in cui si viene estromessi dalla società; in altri si rischiano multe o il carcere o, talvolta, la morte, per avere affermato il reale. Discorso d’odio, lo chiamano.
Si è andati persino oltre quanto ritenevo possibile: la realtà non ha più nessun contatto con, beh, la realtà. La menzogna e l’illusione – ma, badate bene, solo quella propagandata da una certa parte – sembrano ormai essere la cifra accettata ovunque.

E fin qui niente di nuovo o di strano.

Perché stupirsi? E’ sempre stato così. Ieri come oggi.
Ci sono sempre stati stupidi che hanno creduto alle menzogne più assurde.
Ci sono sempre stati pavidi che non osano reagire di fronte al falso e al violento.
Ci sono sempre stati i furbi che stanno dalla parte del più forte.
Ci sono sempre stati i violenti, per cui ogni scusa è buona.
Ci sono sempre stati quelli che credono di essere giustificati qualsiasi bugia dicano, qualunque abominio sostengano, qualsiasi azione compiano. Il mondo è loro, perché sanno come funziona.
Ci sono sempre stati quelli alla ricerca, quelli che non ci stanno, quelli che non confidano negli uomini, ma in ciò che è bello, giusto, vero, e in Chi è quanto più vi può essere di vero, bello, giusto.
Non ci è stata promessa una vita facile, il trionfo di ciò che vale. Al contrario, ci sono state predette sofferenze, delusioni, tormenti e dolori. La croce.
Insieme con vita cento volte più bella e degna. Quindi, perché esitare, perché preoccuparsi?

La cura

Curare, nella sua antica accezione, vuol dire “avere cura”; e una etimologia della parola cura la fa derivare da un verbo che significa “guardare”.

Puoi veramente avere cura di qualcuno, può veramente importarti di una persona, solo se la guardi; se non è per te un numero, un’idea, un peso di cui liberarsi il prima possibile, ma una presenza viva e vera.
Com’è difficile non distogliere lo sguardo, distratti o consapevoli. Decidere di donare il proprio tempo, il proprio dolore al dolore di qualcun altro, al tempo di qualcun altro, perché quel tempo possa esistere.

Ci riusciamo solo se siamo stati a nostra volta guardati; se ci siamo accorti di quello sguardo che ci fa essere noi.

L’unica ragione

Oh, lo capisco molto bene. Quando una persona che magari hai amato e da cui sei stata amata sta morendo, tra sofferenze o, forse peggio, nell’oblio della sua vita trascorsa, è uno sforzo immenso starle vicino. E’ un tormento, una fatica che schianta, un dolore che rischia di far dimenticare pure a te il passato.
Meglio allontanare; meglio portare da qualche parte, che non disturbi, in quei luoghi che sono le anticamere della morte, la soffitta dove si accumulano gli oggetti che non servono. La fine arriva più veloce quando si smarrisce il fine.
Lo capisco molto bene. Far dipendere la vita da quanto serve, da quanto ti serve. La tentazione di liberarsi dei pesi; di ciò che è stato e non torna, di ciò che è inatteso, di ciò che affatica, che sconvolge i progetti, complica l’esistenza. E chi questa tentazione non ce l’ha?
Accade per chi è caro, figurarsi per un estraneo, di cui non c’importa veramente. Un bimbo che non verrà. Il peso di qualcun altro.
Abbiamo il diritto di eliminarlo, no? Di pretendere questo diritto, il diritto alla nostra felicità, o quella che pensiamo tale.

Pensate come sarebbe bello che ognuno si facesse i propri affari, e chi ci dà fastidio sparisse.
In fondo basterebbe poco. Invece di affaticarsi, e per cosa poi?
Noi, in un mondo sempre più vuoto, perché sono tanti i pesi di cui disfarsi, prima di diventare il peso di qualcun altro.
E’ quello che sta avvenendo, basta guardarsi intorno. E’ il ritorno a quello che c’era prima: il bambino lasciato morire perché di troppo, l’anziano che silenziosamente sparisce, e poi l’inadatto, il debole, il folle, il malvagio, l’importuno.
Dopo questa breve parentesi di qualche secolo, finalmente si ritorna a com’era prima, a com’è altrove.
Lo capisco, lo capisco molto bene. Ci riusciamo a dare un sacco di giustificazioni. Abbiamo un sacco di ragioni. E’ una fatica che spezza.
Ditemi una ragione, una sola, perché non dovremmo.

Ma voi sapete qual è la ragione, la sola ragione valida perché non possiamo.



Grigiore

Tutt’intorno la nebbia avvolge le cose. Ma gli uccelli cantano, in segrete armonie.
Forse ignari del grigiore opprimente; forse certi del sole al di sopra di esso.

Il Grande Bazonga

Il gigante rise, e la sua risata era come il tuono nelle sere d’estate.
“IO SONO IL GRANDE BAZONGA! NON C’E’ NESSUNO PIU’ GRANDE DI ME!”. Si percosse il petto, e il rumore era come quello del martello della forgia degli dei.
“IO SONO IL MIGLIORE! NON HO BISOGNO DI NESSUNO! IL MIO DESTINO E’ MANIFESTO!”. Si interruppe, attendendo. Il rumore di un applauso salì, appena udibile, da un luogo vicino al suo piede.
Bazonga annuì soddisfatto. “SI’, NANETTO, APPLAUDI! DIMOSTRA IL TUO ENTUSIASMO PER LA MIA GRANDEZZA! STO PER DIRIGERMI ALLA MONTAGNA DOVE SI DICE DIMORINO GLI DEI, E SALITO LASSU’ FARO’ VEDERE A TUTTI CHE NON CI SONO DIVINITA’, MA SOLO IO, IL GRANDE BAZONGA!”
“Hippye ye”, esultò il nanetto con tono piatto.
Il gigante lo scrutò con occhio sospettoso. “NANETTO, COSA C’E’?? HAI DUBBI SULLE MIE CAPACITA’? IO SALIRO’ LASSU’ DA SOLO E NIENTE MI POTRA’ FERMARE. NON HO BISOGNO DI NESSUNO IO, SONO IL GRANDE BAZONGA!”
“Sì, sì, grande Bazonga”, interloquì il nanetto. “Ma la strada per quel picco è parecchio pericolosa. Sei sicuro di andare da solo? Che succede se cadi?”
“NON POSSO CADERE! IO SONO…”
“Sì, lo sappiamo chi sei. Ma se, nella più remota delle circostanze, dovessi inciampare…”
“MI RIALZEREI!”
“E se cadessi ancora?”
“MI RIALZEREI ANCORA!”
“E se ti rompessi una gamba?”
“COSA C’E’, NANETTO, PORTI SFIGA? IO NON MI SONO MAI ROTTO UNA GAMBA, PERCHE’ MAI DOVREBBE SUCCEDERMI ADESSO?”
“Beh, hai il sandalo slacciato”.
Il gigante chinò il capo. “AH, GIA'”.
Borbottando si chinò, si allacciò la calzatura, poi si raddrizzò ancora.
“ORA PIU NIENTE MI POTRA’ FERMARE!”
“Scusa ma, mi chiedevo…” fece il nanetto.
“SI’?”
“Perché lo fai? Perché vuoi salire lassù?”
“PERCHE’ SONO IL…”
“… Grande Bazonga, ok. Ma, per quale ragione? Per trovare il senso alla tua vita? Per scoprire chi sei davvero? Sei alla ricerca della felicità?”
“BAH! QUESTE SONO PROBLEMI PER DEBOLI, IO SO CHI SONO! SONO IL GRANDE BAZONGA! NON HA SENSO CHIEDERSI IL SENSO DELLE COSE. E’ PER CREATURE INFERIORI. IO NON MI FACCIO DOMANDE. IO AGISCO!!”
“E poi?”
“POI, COSA?” Chiese il colosso aggrottando le spesse sopracciglia.
“Lascia perdere. Ciao, Bazonga, facci sapere se hai bisogno di qualcosa”.
Il gigante si incamminò. “AHAHAH! NON HO BISOGNO DI NIENTE E NESSUNO! SONO IL GRANDE BAZONGA!”
Il rumore dei suoi passi, ciascuno come un piccolo terremoto, svanì in lontananza. Il nanetto sospirò. “E adesso chi glielo dice che si sta dirigendo dalla parte opposta?”

Sentieri

Quando il sentiero sale,
le sue pietre bagnate,
infide, scivolose,
i muscoli stanchi
per il lungo camminare,
c’è bisogno di una mano
che ti afferri quando cadi.

I cocci sono nostri

Forse dovrei dirmi stupito, ma il fatto che i vecchi, rancorosi nuovi atei tipo Niall Ferguson o Dawkins che sono soliti dire peste e corna (letterali) contro Dio improvvisamente si rendano conto che senza cristianesimo non regge niente non mi sorprende affatto. La realtà concreta di ogni giorno si basa sul trascendente: la madre rassicura il bambino spaventato dal buio suggerendogli che va tutto bene, tutto è in ordine, qualcuno lo ama. Il bambino non sa di non essere in grado di garantire quell’ordine, così come la madre se possedesse la medesima consapevolezza del piccolo. L’adulto, o chi si crede tale, difficilmente se ne rende conto; comincia a capirlo solo quando tutto inizia a crollare, come sta accadendo ora.

A questi scettici colpiti da tardiva rivelazione della cattiveria e inconsistenza umana da un lato viene da rispondere “Troppo tardi, avete già sfasciato la società, adesso restate con i cocci”. Dall’altro rimane il piccolo problema che a pestare i cocci ci facciamo male tutti, noi compresi.

Rimettere insieme i cocci non è possibile, soprattutto se non si comprende la natura di ciò che si è infranto. Vogliono aggiustare ciò che è rotto con le stesse categorie che hanno usato per infrangerlo.
Se si sono accorti che la nostra società senza cristianesimo si sfalda, peccato non si siano ancora resi conto che questo non ha origine da un’etica, da una struttura sociale, neanche da un’idea religiosa. Non sono queste cose che mancano. E’ senza Cristo che non regge niente.

Che Gesù

Dai papiri del Vangelo secondo Mattia, l’apostolo che non c’era

In quei giorni, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme. Gli domandarono i discepoli: “Maestro, cosa faremo una volta là?”
Lui rispose: “Faremo un casino! Innanzitutto organizzeremo un bel corteo contro la brutale occupazione romana. Entreremo in città agitando delle palme per indicare la volontà di fare piazza pulita della corruzione e della violenza. Poi proclameremo uno sciopero generale contro i cambiamenti climatici e l’uso di combustibili fossili. Spegniamo quelle lucerne fumiganti!”
I discepoli erano confusi e alcuni dubitavano. Ma Gesù, conoscendo il loro cuore, proseguì: “Dico anche a voi, negazionisti climatici, convertitevi e credete al riscaldamento globale. Subito dopo organizzeremo un convegno sul rispetto dei diritti umani con particolare riguardo alla schiavitù, ai migranti, alle esecuzioni capitali e alle barbare pratiche della sodomia, dell’aborto e dell’eutanasia tanto diffuse tra i greci. Per non parlare del suicidio assistito dall’Imperatore, che manda i suoi sgherri ad assicurarsi che i suoi avversari politici provvedano ad ammazzarsi. E’ ora di finirla con questa mancanza di moralità che affligge la nostra società. Su, andate avanti a prenotare una sala, credo che il Cenacolo sia libero il giovedì a cena”.
Giuda si fece avanti e disse: “Io per quella sera avrei un impegno con
(Il frammento si interrompe)

Insegnamenti

Quel che si legge nei Vangeli sulle vicende del Giovedì e Venerdì Santi ci insegna diverse cose.
Che tanto più si è grandi tantopiù si dovrebbe servire i piccoli; che invece i grandi della Terra mentono, ingannano, uccidono. Ma mica solo i grandi.
Che noialtri siamo tutti coraggiosi fino a quando non c’è bisogno di coraggio; che il tradimento non è qualcosa che fanno gli altri. Che per la verità si può morire, è roba pericolosa.
Che i cattivi vincono. I potenti fanno i loro interessi. La menzogna non è sempre sconfitta. I violenti hanno la meglio. Non serve essere innocenti. Voler bene non è abbastanza. Il denaro può comprare ciò che non si può vendere. Amare gli altri conduce alla morte. Gli amici fuggono nell’ora del bisogno.

Ecco, tutto questo ci insegnano Giovedì e Venerdì Santi.
Poi viene Pasqua, ed è un’altra storia.

Buona Pasqua.

Il foro al centro del silenzio

Forse s’avess’io l’ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.


G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia

Ib-14486AC Eruzione Mediata si sedette con un sospiro sul metallo del trasglifatore. Le particelle ad alta energia rimbalzavano contro gli schermi in una tambureggiante pioggia di scintille policrome. All’intorno, le nubi di idrogeno purpuree vorticavano in mille spirali venate dal fuoco delle stelle morenti. Di tanto in tanto una esplosione gamma le illuminava di un bagliore verdastro che presto si colorava dei lampi gialli del sodio e azzurri dell’ossigeno, in un caleidoscopico gorgo di raggi stroboscopici balenanti nel silenzio del vuoto cosmico. Frammenti di pianeta grandi come continenti venivano scagliati via dall’orizzonte degli eventi del buco nero, fiotti di materia incandescente che lasciavano scie luminose di atomi impazziti nelle dense nuvole molecolari.
Eruzione Mediata si sdraiò, sbuffando. “Che palle”.
Zu-Kakhninno cercò debolmente di ribattere. “Eddai, non è male!”
“Visto il centro di una galassia, visti tutti”. Il Giro dei Mondi Peculiari che avevano progettato era stato una delusione. Gli alberi di Tollin-gu erano sì alti venti chilometri, ma non erano poi diversi da quelli di Manuerem e, oggettivamente, noiosi. I Riti Blasfemi di Balloch impallidivano al confronto di una serata nei Bar Oltremondo, e di quelle serate si era stufata molto tempo prima. Pianeti con anelli, piatti, assurdamente pesanti, caldi, freddi, acidi, popolati o deserti, con i loro abitanti e le loro forme di vita caratteristiche, a lungo andare erano ripetitivi e sempre uguali. Sì, di tanto in tanto c’era qualcosa di differente, come i Carambidi di Luz Otto o i Massacratori del Bordo, ma dopo un po’ la novità finiva. Che palle.
Zu-Kakhninno non tentò neanche di negarlo. Anche lui probabilmente si era rotto di questo vagare inconcludente. Indicò verso le stelle pulsanti che si stavano sfilacciando nella caduta dentro il mostruoso buco nello spaziotempo che le stava per inghiottire. “Tra poco dovrebbero andare in supernova. Stiamo fino a quel momento, poi andiamo via?”
Niente, Zu-Kakhninno con tutti i suoi migliaia di anni era ancora un bambino. “Non c’ho voglia”, si lagnò Eruzione Mediata. “Vado a fare un po’ di sesso con Huzzo e Glassa giù al Virtuo, che devo dimagrire. Vieni?”
Zu-Kakhninno si voltò ancora verso i soli condannati. Li contemplò un attimo, poi “Sai”, disse, “quando ero piccolo pensavo che se avessi vagato tra le galassie sarei stato felice. Adesso le ho viste tutte, ma non è che mi senta così euforico. Mica mi basta. Il fatto è, che non so cosa…”
Che palle anche questo qui, pensò Eruzione Mediata. “Dai, romazza il Trasglifatore e andiamo. Tanto puoi sempre tornare”.
L’apparecchio con i suoi occupanti svanì, mentre un altro pianeta si dissolveva nel caotico calore intorno al foro al centro del silenzio.

Nel parcheggio del supermercato

Lei è tozza, capelli biancogrigi alle spalle, occhi chiari, pochi denti. Ha dei pezzetti di pane in mano, ogni tanto ne mastica uno. Mi ferma mentre scendo dalla macchina. “Ho fame, e non ho soldi per comprare da mangiare”, si lamenta.
Dopo un po’ si capisce che non è solo di soldi che ha bisogno. Mi chiede un paio di scarpe, vestiti, una bicicletta, se conosco uno che abbia la cascina che possa diventare suo compagno.
Ma le mie scarpe non le vanno, le biciclette da uomo neanche, desidera solo una Graziella; mi fa vedere la sua, antica, carica di borse, si deve fare dieci chilometri stasera per tornare dove la ospitano. Le cascine che indico sono distanti e hanno troppi cani e vacche. Provo a indirizzarla in parrocchia, ma rifiuta con disgusto: non mi sono mai fidata dei preti, anche mio padre me lo diceva sempre. Però mi chiede se ho un’immaginetta della Madonna, un rosario, “Ne ho già avuti, ma non è servito a niente, magari riprovo”.
Ha bisogno di tutto, ma solo nella maniera che pretende lei. Le do quello di cui sembra avere più necessità, qualcuno che l’ascolti, per un’ora in quel parcheggio, mentre il supermercato chiude e la notte scende.

La prima pietra

Dal papiro del Vangelo di Mattia, l’apostolo che non c’era

Portarono allora a Gesù una donna sorpresa in adulterio e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Non è che avreste dei gessetti, per caso? No? Comunque, per quella donna, l’importante è che si amino. Non chiamiamo peccato queste cosucce: non è che abbia evaso le tasse, non si sia vaccinata o, peggio, sia una tradizionalista. Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei. Mamma, metti giù quel sasso!». E chinatosi di nuovo, continuava a scrivere per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più inquinatori fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Ci mancherebbe, non hai fatto niente di male. Bisogna essere aperti alle nuove esperienze, il mondo è cambiato, non possiamo restare aggrappati al passato. Basta che tu stessa ti perdoni, va’ e continua pure». Giuda si accostò alla donna e le chiese dove (il frammento si interrompe)

Il costruttore

L’elettrodomestico fa impazzire. Cosa sarà quella spia, a cosa serve quel componente?
Lo scopo io non lo conosco, e neanche tu. Lo possiamo intuire nebulosamente, andare per ipotesi, per tentativi.
Oppure possiamo rivolgerci a chi l’ha costruito. La sua parola è definitiva: chi sa meglio di lui la migliore maniera di far funzionare ciò che non riusciamo a comprendere? Non possiamo che adeguarci oppure rassegnarci a lavorare di fantasia, andando come a tentoni alla ricerca del vero. O rinunciare del tutto a capire.

Come sarebbe bello se l’autore della nostra esistenza, Colui che ci ha progettati, ci spiegasse la maniera migliore di vivere la vita. Allora sì che sapremmo sfruttarla al meglio, trovare quella gioia che a volte ci sembra negata. Sarebbe fantastico se un giorno arrivasse qualcuno a dire, sì, sono io, sono proprio io quello che cerchi.
Allora il punto sarebbe tutto nel credergli o no. Perché, se davvero fosse lui, non dovremmo cercare oltre.

Il castoro e io

Sono capitato per caso, l’altro giorno, su un filmato che mostra un castoro allevato in cattività, che non ha mai visto altri castori, cercare di creare una diga di peluche e carta da pacchi.

Sì, viene da ridere, ma poi si pensa: come fa questo animale a “sapere” cosa fare, anche in mancanza di un fiume o un albero? Come questa informazione, questo modo di vita gli è stato trasmesso? Quale parte del suo DNA ospita quell’informazione e come è codificata?

Quanta parte di quello che noi siamo è scolpita dentro di noi? E, a questo punto, cosa è un essere umano, quanto di quello che facciamo, pensiamo, desideriamo è vergata nelle nostre cellule con un inchiostro che non abbiamo ancora neanche cominciato a comprendere?
Chi ci ha scritto, pensato, fatto?

Contrasti

Il titolare di una delle più famose aziende comasche specializzate nello stampaggio della seta aveva preteso che il suo complesso industriale sorgesse circondato da un parco, nonostante questo sottraesse prezioso spazio allo stabilimento. In esso aveva fatto piantare alberi esotici, dal fogliame e dai fiori inconsueti; perché, così mi hanno raccontato, coloro che disegnavano i motivi potessero trarre ispirazione dagli insoliti contrasti che la vegetazione originava.

Ci sono note, o colori, che sembrano cozzare tra di loro. Ad esempio, ci viene difficile pensare di abbinare rosso e blu (a meno che non si tifi certe squadre). Eppure poche cose sono più belle di un tramonto in cui l’azzurro sfuma nel rosso fuoco delle nubi, o un acero sullo sfondo del cielo, o certi accordi dissonanti.

Cosa fa sorgere in noi lo stupore della bellezza? Com’è possibile che un’armonia sorga da una netta differenza? Siamo fatti strani, noi uomini; quanto poco ci conosciamo, quanto bello nasconde ciò che, al nostro intelletto limitato, sembra assurdo e da evitare.

Legame tra IQ degli studenti universitari e il loro rendimento negli studi

Sappiamo già che non è detto che due andamenti statistici che viaggiano di pari passo siano tra loro correlati, tipo il numero di morti in piscina e la quantità di film interpretati da Nicholas Cage; ma, anche nel caso una correlazione ci possa essere, ciò non vuol dire che un dato sia causato dall’altro: due serie statistiche possono essere correlate tra loro ma non necessariamente una è l’effetto dell’altra, oppure lo è nel verso che alcuni studiosi pretenderebbero. Occorre imparare a mettere in discussione ogni cosa, senza lasciarsi andare al pregiudizio e avere il coraggio di dire “non posso affermarlo con certezza”. Non c’è scienza peggiore di quella che trae conclusioni arbitrarie.

Giusto per fare un esempio, vi sottopongo questa mia breve ricerca scientifica che spero presto pubblicata.

Legame tra IQ degli studenti universitari e il loro rendimento negli studi

Abstract:
Da tempo gli studiosi ritengono possibile una correlazione tra l’intelligenza degli studenti e il loro rendimento negli studi. Questa ricerca, basata su metadati pubblici, intende dimostrare che tale legame esiste.
Abbiamo reso in considerazione la statistica dei risultati degli esami (GPA, Grade point average) degli studenti della prestigiosa università di Harvard (grafico 1). Come si può notare, nel corso dell’ultimo secolo questa è in costante ascesa, passando da una media di 2.5 a 3.8.

Allo stesso tempo, l’IQ (quoziente di intelligenza) degli studenti è statisticamente in calo:

Conclusioni:
Appare evidente che avere una minore intelligenza causa risultati universitari migliori. A quanto pare più si è idioti più si può sperare in un brillante futuro.

Orsetti di gomma

Li avete presente, no? Quegli orsetti di gomma semitrasparenti dai colori psichedelici e dal gusto artificiale. Che cosa raffigurino si capisce a stento, perché il materiale non è tra i più adatti a conservare i particolari. A uno sguardo inconsapevole potrebbero sembrare bruchi, mostruosità aliene. Sono oggetti indistinti, simili gli uni agli altri. Non ci si deve preoccupare di distinguerli, si prendono e si consumano a manciate. Anche il sapore è indefinito.

La mia impressione è che spesso si consideri la realtà come un sacchetto di questi orsetti gommosi. Si parla di infanzia ma non dei singoli bambini; di diritti e non delle necessità di una singola persona. La natura è un comodo involucro per ogni genere di farneticazioni su argomenti altrettanto indistinti, mischiando armadilli e tempeste.

Responsabile di spappolare le cose in questa marmellata è lo gnosticismo ideologico di gente che non ha problemi e vuole risolvere quelli degli altri. Il povero, il migrante, la madre, il sofferente per loro non hanno un volto, sono una entità fumosa e opaca, come il popolo o la natura. Ma il popolo non esiste, la natura non esiste, se non come semplificazione di qualcosa di molto più complesso: l’unicità di fenomeni e creature. E’ comodo semplificare, ridurre a un puntino statistico: evita di coinvolgersi di persona. Di sporcarsi.

Vorrei inveire contro questi poveretti, ma cadrei nello stesso errore. Sarei anch’io come loro, uno di loro. Non mi va di essere seppellito in una definizione grigia. Non sono un orsetto di gomma.

Una situazione esplosiva

Cari ascoltatori, stasera intervisteremo un personaggio molto famoso: Yosemite Sam. Siamo qui nel suo capanno. [Apre una porta fatta di assi inchiodate, tutto scricchiola paurosamente]
Eccolo qui, il nostro amato Sam, con le sue fide due pistole e i baffoni, mentre fuma un sigaro seduto su un barile. Come sta, signor Yosemite?

f**! c*****!

Ah ah, molto divertente. Ci dica: quali sono le sue attività al momento?

Cacciare conigli, ovviamente. Quel rompiballe di coniglio, gli voglio mettere una carota nel **** e *******!!

Scusi, scusi, signor Dinamite, ci sono anche dei bambini che ascoltano

Bambini? Io odio i bambini. Sono la sola cosa che odio più dei conigli. Se diventerò Presidente, oltra alla stagione di caccia al coniglio inaugurerò una stagione di caccia ai bambini.

Non le sembra esagerato?

Niente affatto. Conigli e bambini, tutti e due fastidiosi. Rovinano l’ambiente.

La preoccupazione per l’ambiente è lodevole, ma…

Le carote! quel coniglio si mangia tutte le mie carote, con la scusa che le ho seminate sopra casa sua.

Quindi la sua è una guerra giusta?

Certo che è giusta! E’ stato lui ad invadere il mio campo! Se non lo fermiamo, si divorerà tutto da qui a Minneapolis! E’ legittima difesa. Io voglio la pace, per questo gli posso sparare quando voglio.

Ma le armi non sono un male?

Se non dovessimo avere le pistole, perché avremmo le dita per premere il grilletto? E’ per questo che mi fa inc****** che non riesco ad ammazzarlo. Gli ho tirato addosso di tutto: proiettili ACME, missili ACME, treni ACME…mi ha costretto a spendere tutto il patrimonio in armi. Ma niente, quello se la cava sempre. Adesso però basta: ho riempito casa mia di esplosivo. Se quello fa un’altra mossa, faccio saltare tutto.

Ehm… mi scusi, ma invece di vivere in una baracca cadente e a buttare soldi in una guerra che non riesce a vincere, non sarebbe meglio trovare un accord… [Yosemite Sam con un rapido gesto punta le pistole] Come non detto. Scusi, signor Yosemite, ancora una domanda: perché ha un sigaro acceso mentre è seduto su un barile pieno di esplosivo?

Perché questo è un cartoon, bello!