Archivi categoria: Apocrifatti

Salvarsi la vita

Dal Vangelo secondo Mattia, l’apostolo che non c’era

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “E’ importante che il Figlio dell’Uomo sia bene accolto, piaccia alle persone importanti e abbia una buona copertura mediatica, perché così potrà fare del bene senza ostacoli burocratici o contestazioni. Se infatti fa un bel discorso ma poi la stampa lo travisa, che ne avrà a guadagnare? Molto meglio che la stampa concordi con lui e lui con la stampa, anche se dovrà un po’ adattarsi”.
Poi, a tutti diceva: “Se qualcuno vuol venire dietro a me sia fedele a se stesso, perché la coerenza è importante. Lasci stare le sue preoccupazioni, non cerchi di cambiare, perché tanto noi siamo inclusivi. Chi vorrà salvare la propria vita meglio che butti via la propria croce o vada dallo psicologo, perché ricordate che voi valete. Dovete autoconvincervi che non c’è niente di male in voi: godetevi la vita senza vergogne. Che vantaggio infatti avrà l’uomo se perderà tutto il mondo? Meglio adeguarsi e vivere tranquilli. O che darà l’uomo in cambio della sua tranquillità? Non preoccupatevi, sarete tutti salvi comunque, a meno che non abbiate fatto uso di combustibili fossili, che è il grande peccato che non sarà perdonato”
Al che Pietro lo prese in disparte e gli chiese: “Ma che è questa stampa, e che sono questi combustibili fossili?” E Gesù rispose:…
(il frammento si interrompe bruscamente)

Quelli

Mi presento, sono Giacobbe, e sono un apostolo.
O meglio, sarei dovuto essere un apostolo. Purtroppo il Maestro era certamente una persona eccezionale per carisma, per la sua capacità di parlare, la sapienza, per i miracoli che faceva, però… aveva un punto debole. Non si sapeva scegliere i discepoli.
Credo che ormai sia evidente a chiunque: i suoi più stretti collaboratori, quelli che lui stesso ha chiamato uno a uno, erano tutti inadeguati. E uso il termine inadeguati perché voglio essere gentile.

Tutti quanti noi che gli andavamo dietro sapevamo che quel Giuda era un poco di buono. Glielo avevamo anche detto, ma lui niente. Lo chiamava amico: si è visto, che bell’amico. L’ha venduto.
Ma gli altri non è che siano meglio. Ognuno di loro ignorante come una capra, ma sempre pronto a migliorare la propria posizione con l’adulazione. Il Maestro era troppo sensibile ai complimenti e ai favori, non vedo altra ragione per avere selezionato proprio loro. Cioè, vi rendete conto? Dei pescatori. Dei collusi con l’autorità romane. Dei piantagrane. Degli spocchiosi. Ha preferito questo genere di persone a me, che ho la cultura, che l’ho sempre ascoltato e seguito, che gli ero fedele. Sarà stato anche il Messia, ma era troppo ingenuo.
E’ quasi come se avesse fatto apposta a scegliere i più inadatti. Oh, sì, a parole tutti amiconi, poi quando le cose si sono messe male sono spariti.

Sapete qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso? Simone, quello che lui chiamava Pietro, che si atteggia a prescelto. Lo stesso di quella sceneggiata ignobile al Sinedrio, “oh, non lo conosco quel pezzente!”. E ora quella stessa persona, proprio lui, viene a dirmi, e contarmi, e insegnare. A me. Proprio a me.

Io mi tiro fuori, sapete, non ci sto a seguire quelli. C’ero anch’io ad ascoltarlo, so ripetere le sue parole meglio e più di loro. Sono più educato, ho studiato la Legge e i Profeti, so leggere e scrivere, conosco l’eloquenza. Se loro hanno la faccia tosta di predicare, con quello che hanno fatto, lo posso fare anch’io, e vedrete se la gente non preferirà me a loro. Interpreterò per il popolo il suo pensiero, lo spiegherò, porterò avanti la sua missione. Vedrete, vedrete: tra qualche anno nessuno saprà più neanche che quelli siano esistiti, io invece sarò ricordato come il vero discepolo che ha raccolto l’eredità del Maestro.

Quelli sembra che se li sia cercati con il lanternino tra i peggiori, invece di dare spazio ai migliori. Se avesse scelto me, io non lo avrei abbandonato, non sarei fuggito, non lo avrei tradito come loro. Come quelli.

Avanti il prossimo

“Zaccaria, ma cosa ti è successo? Sei pieno di lividi”.
“Lascia stare, stavo scendendo da Gerusalemme a Gerico quando mi hanno beccato i briganti. Si sono portati via tutto quello che avevo e mi hanno pestato a sangue”.
“Davvero? Che sfortuna che hai avuto…”
“Guarda, lì vicino c’era uno di quei samaritani, sembrava anche gentile, mi ha perfino aiutato un po’…”
“E tu l’hai lasciato fare? Non ti ha fatto schifo?”
“Eh, ero mezzo morto. Comunque per me è lui che mi ha portato sfiga”.

Una passione travolgente

Dal Vangelo secondo Mattia, l’apostolo che non c’era

Come faceva di solito, Gesù uscì e andò verso il monte degli Ulivi, e i suoi discepoli lo seguirono. Quando giunse sul posto disse loro: ‘Pregate per resistere nel momento della prova’.
Poi si allontanò da loro alcuni passi, si mise in ginocchio e pregò così: ‘Padre, se vuoi, allontana da me questo calice. Se però non vuoi poi non lamentarti se faccio di testa mia, che ormai sono un adulto’. Quindi Gesù si alzò e andò verso i suoi discepoli. Li trovò addormentati, e disse loro: ‘Perché dormite? Non siete stati in grado di vegliare con me una sola ora? Adesso vi insegno io”, e iniziò a riempirli di botte. Mentre Gesù ancora pestava i discepoli, arrivò molta gente. Giuda, uno dei Dodici, faceva loro da guida. Si avvicinò a Gesù per baciarlo. Allora Gesù disse: “Giuda bastardo, non sono pregiudizialmente contro l’omosessualità, ma mi hai tradito!” Lo guardò e quello cadde morto.
Quelli che erano con Gesù, appena si accorsero di ciò che stava per accadere, dissero:
“Signore, usiamo la spada?”
E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio. Allora Gesù disse: “Cos’è, non sei capace di mirare giusto? Non è più il tempo di mandare armi per sostenere la giusta rivolta contro l’invasore e i suoi lacché, è ora di farla noi stessi!”
Ed evocò dal cielo un fuoco che consumò i soldati. Poi disse “E’ giunta l’ora, ed è questa, che il Figlio dell’Uomo si riveli nella sua gloria, e corregga le ingiustizie. Massacreremo tutti i giudici iniqui, i farisei ipocriti e i falsi sacerdoti. Chiederò al padre di mandarmi dieci legioni di angeli e faremo piazza pulita dei romani e di ogni peccatore. Oggi inizia il mio Regno, che sarà un Regno di pace, dopo che avrò sconfitto e sottomesso tutti i miei nemici. Vedrete, le cose cambieranno! Li obbligherò a credere in me, e ad amarmi”.
Detto questo, guidò i discepoli all’assalto del (il frammento di papiro diventa illeggibile)

Due di spade

Dal Vangelo secondo Mattia, l’apostolo che non c’era

Gesù, parlando ai discepoli, disse: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, tira dalla sua parte i media delle altre nazioni, fabbrica fake news, fa cortei per la pace e si fa inviare armi.
Per questo quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose. Ad ogni buon conto, chi ha una borsa la prenda e chi gioca in borsa venda; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una».
Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli rispose «Non bastano! Sarebbero meglio dei fucili.»
I discepoli mormoravano tra loro perché non sapevano cosa intendesse. Ma Egli continuò: «Ciò che adesso non capite, sarà rivelato in seguito».
E proseguì: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché non fossi consegnato ai Giudei; invece scapperete tutti, brutti…» (Il frammento di papiro diventa illeggibile)

Santa pazienza

Il Signore sospirò, scacciò con la mano un paio di cherubini ronzanti e si sedette sulla sua poltrona preferita. Era il fine settimana, e non vedeva l’ora di staccare: per Lui il riposo era sacro.
Cominciò a fare zapping sulla Terra. Non aveva girato che un paio di nazioni che si fermò, guardò meglio, e quindi esclamò “O Gesù!”
“Mi hai chiamato, Papà?” disse una voce alla sua destra.
Il Signore indicò lo spettacolo davanti a Lui. “Guarda un po’ che roba. Sono i Tuoi amici. Come lo giustifichi? Devo ancora avere pazienza?”
“Oh, non Mi mettere in croce pure Tu”, rispose la voce. “Hanno il libero arbitrio, lo sai benissimo. Io, ho fatto il possibile.”
Il Signore alzò gli occhi a se stesso, poi chiamò. “Michele! Preparami subito un diluvio. E stavolta non voglio sentire parlare di Arche.”
Lo Spirito Santo si posò sulla poltrona. “Ehm, Ti ricordo che abbiamo promesso… basta diluvi…”
“Già, è vero.” Ci pensò su un attimo. “Vediamo, niente pioggia d’acqua… allora pioggia di fuoco! La vedranno chi sono Io!”
Lo Spirito Santo sbuffò. “Sì, così danno la colpa al cambiamento climatico.”
“Va bene, allora che faccio, Signor Saputello?”
“Potresti essere originale. Che so, una pioggia di pangolini”.
Il Signore si lasciò andare nella poltrona. “Basta, sono stufo di pensare me stesso pensante a qualcosa. Uno lavora per rendere tutto un Paradiso, e poi basta una mela marcia per rovinare tutto. Peccato. Mi sa che anche stavolta mi limiterò ad una protesta ufficiale con il responsabile di quello schifo. Ma prima o poi mi arrabbio davvero, e quel giorno viene giù il mondo.”
Si girò verso gli arcangeli. “Chiamate subito Berlicche”.

Santo gel

Dal Vangelo secondo Mattia, l’apostolo che non c’era

Quando Gesù ebbe finito di parlare, un fariseo lo invitò a pranzo a casa sua. Gesù andò e si mise a tavola. Quel fariseo vide che Gesù non aveva fatto la purificazione delle mani che era d’uso e se ne meravigliò.
Allora il Signore gli disse: ‘Voi farisei vi preoccupate di pulire la parte esterna del bicchiere e del piatto, ma all’interno vi dimenticate di usare il disinfettante. Stolti! Dio non ha forse creato l’esterno e l’interno dell’uomo? Ebbene, se volete che tutto sia puro per voi, usate prima un gel lavamani certificato come ho fatto io.”
“Ma guai a voi, che amate sedervi troppo vicini nei banchi della sinagoga, senza rispettare la distanza sociale! Che fate banchetti e gozzoviglie in sovrannumero al chiuso senza chiedere il green pass! Guai a voi, ipocriti, che portate la mascherina fp2 e poi l’abbassate sotto il naso! Dite che vi si appannano gli occhiali, ma cos’è meglio: che vi si appannino gli occhiali o che andiate nella terapia intensiva, là dov’è pianto e stridore di denti?”
E da quel momento gli scribi cominciarono a chiedere a Gesù e ai suoi discepoli prima di entrare nelle città e villaggi di mostrare il green <il frammento si interrompe>

Fichi secchi

Dal Vangelo secondo Mattia, l’apostolo che non c’era

In quel tempo, il Signore si avvicinò ad un fico e vide che non portava frutto. Allora stese la mano e disse, “Hey, ragazzi, questo è colpa del cambiamento climatico, come la tempesta dell’altro giorno sul lago. Dovete smetterla di accendere fuochi inquinanti per cucinare, e sviluppare fonti rinnovabili”.
Pietro prese la parola e disse: “Maestro, come possiamo fare ciò?” Gesù gli rispose: “Occorre sviluppare una coscienza ecosostenibile. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Il turpe commercio di animali deve essere interrotto, passando a forme di commercio bioeticamente corrette”.
Pietro sbottò: “Maestro, sono parole dure e noi non le capiamo”. Allora Gesù prese una bambina bionda con le trecce che manifestava lì vicino, la pose in mezzo a loro e disse: “I potenti delle nazioni le dominano, e voi fate come loro. Se non diventerete come questa bambina, non raggiungerete mai l’obbiettivo di azzerare la CO2”. Al che Tommaso disse: “Ma che c’entra un fico secco…?” <il frammento si interrompe>

Il complotto

How crooked my hands, How twisted my thoughts.
How can I take the stand? I’m a fraud who’ll be caught

Quanto storte le mie mani, quanto contorti i miei pensieri.

Come posso testimoniare? Sono un inganno che verrà scoperto.

Dirt Poor Robins, “Woe to me”


C’è un disegno profondo dietro ogni cosa.
Da un pezzo abbiamo chiaro che esiste un complotto globale, più vasto di quello che ritenevamo possibile. Solo un cieco non lo vedrebbe. I drammatici avvenimenti di questi giorni lo certificano oltre ogni dubbio.

Già da tempo sapevamo che i vari governi hanno la loro agenda segreta e collaborano tra loro. Che i loro agenti ci stessero alle calcagna era evidente, ma forse siamo stati troppo ingenui; non pensavamo che ci avrebbero infiltrati, e che saremmo stati traditi. Davvero eravamo convinti che il popolo ci avrebbe seguito e avrebbe rovesciato il potere corrotto? Che avremmo fatto la rivoluzione? L’abbiamo visto, cosa è successo. Il popolo, in cui confidavamo, è rincretinito da quello che gli fanno credere, da tutte le menzogne che gli raccontano. Ci si è rivoltato contro, e la repressione è stata dura e immediata. L’esercito, i giudici… tutti contro di noi, tutti al servizio del potere. I potenti si sono scambiati cortesie sorridendo e scherzando mentre ci facevano fuori.

C’era Lui, il nostro leader. Un grande. Lo seguivamo da un pezzo, in tanti. Lui ci avrebbe salvato, avrebbe preso il comando, e finalmente avrebbe ristabilito quel dominio che da troppo tempo abbiamo delegato agli stranieri e a dittatori sanguinari. Avremmo comandato, e loro l’avrebbero pagata cara.

Invece l’hanno preso, l’hanno processato – un giudizio veloce e illegale – e l’hanno condannato a morte. L’hanno ammazzato. E con lui le nostre speranze.

Credevamo di avere capito tutto, noi. Eravamo certi che la conoscenza ci avrebbe salvato. Avrebbe fatto la differenza. Noi eravamo quelli che hanno visto. Noi siamo quelli che c’erano.

E ci dicevamo…
Abbiamo contro il loro odio, ma non ci facciamo spaventare. Noi sappiamo.
Abbiamo contro la loro forza, ma come può la loro forza vincere contro la nostra verità?
Abbiamo contro tutti. Loro. Gli altri. Ma non c’è problema. Possiamo farcela. Dicevamo.
Ma non ce l’abbiamo fatta contro il nemico peggiore che abbiamo contro. Noi stessi.

Sapevamo tutto ma non ci è bastato. Quando è arrivata la polizia, quando sono arrivate le guardie, siamo scappati. Siamo stati ben lontani dalle aule dove veniva giudicato. Quando è stato condannato non c’eravamo. E a vederlo morire… non eravamo lì. Eravamo nascosti.
Avevamo messo la nostra speranza su qualcuno di sbagliato. Avevamo messo la nostra speranza su di noi. Abbiamo fallito, siamo caduti. Pensavamo di essere sentinelle, eravamo spaventapasseri, falsi uomini, vestiti vuoti appesi ad un palo.

Così siamo venuti via. Ci siamo detti: non crederemo più a niente. Non alle scuse di chi è fuggito, non alle allucinazioni di donne isteriche. Se quello che sappiamo e quello che abbiamo veduto non è bastato, cosa potrà essere sufficiente?

Il tipo che abbiamo incontrato camminando avrebbe potuto essere uno di noi, ma non lo conoscevamo. Anche se una domanda ci aleggiava nella testa, questo dove l’abbiamo già visto?
Ci ha parlato. Ci ha tenuto compagnia lungo la strada – due orette di cammino attraverso la campagna in pieno rigoglio, con svelte nuvole nel cielo che già si arrossava. E più parlava e più quello che diceva aveva un senso. Era un complotto, sì, ma infinitamente più profondo di quanto avessimo mai potuto pensare. Quello che ci stava dicendo quell’uomo è che era all’opera un disegno molto più antico, con un fine del tutto diverso da quello che potevamo avere intuito. Ci ha mostrato che persino il male, tutto il male che avevamo veduto, il male che avevamo addosso era in qualche maniera accolto. Che anche noi, con il nostro non essere abbastanza, eravamo in qualche maniera accolti.

E quando si è fermato a mangiare con noi, nella nostra casetta di Emmaus, abbiamo capito chi era. Ma Lui se ne era già andato.
No, non è corretto, Non se ne è andato. Non potrà andarsene mai più. Perché ci ha fatto capire che il punto non era la nostra sapienza, o il nostro coraggio, o il nostro essere retti o morali, ma la sua presenza, senza la quale eravamo niente, niente. Senza la quale siamo niente.

Oh, sì. C’è un disegno profondo dietro ogni cosa.

Il primo nome

Vorrei mettere bene in chiaro le cose.
So che ci sono parecchi che sparlano contro di me. Che sostengono che io non sarei un vero credente. Addirittura, che sarei stato deviato dal demonio.
Sono tutte bugie. Evidenti falsità. Sono talmente false che non vale quasi la pena di smentirle, i fatti stanno davanti agli occhi di tutti.

Intanto, non è affatto vero che io non voglio più avere niente a che fare con Dio. Piuttosto il contrario: è Lui che ha tagliato i ponti con me. Molto è stato detto sul motivo, ma io preferisco considerarlo un malinteso. Io di Dio ho sempre avuto il massimo rispetto, prima, e anche adesso, nonostante le nostre divergenze, sarei pronto a riconciliarmi se solo Lui volesse ammettere di avere esagerato. Eravamo molto intimi, parlavamo insieme quasi tutti i giorni, un tempo. Passavamo insieme intere giornate, e non potete immaginare lo spasso. Credere a Lui? Diciamo che l’ho sempre dato per scontato. Era come la terra sul quale poggiavo i piedi, come il mio nome, quel nome che è stato il primo nome.

Non vedo perché accusarmi di avere fatto il male quando io ancora non sapevo cosa fosse fare il male. Quella è una conoscenza che mi è arrivata solo dopo. Quando la mia donna mi ha fatto la proposta, io credevo, badate bene, ero certo che fosse stata autorizzata. Che si fosse messa d’accordo. Volete darmi torto? Aveva discusso della cosa con un angelo, e mi ricordo di avere pensato: “oh, guarda, il Vecchio ha cambiato idea su quell’albero”. L’essere come Lui un po’ mi attirava, capite, ma il mio era un intento buono: non ho mai avuto intenzione di disubbidire o altro. Pensavo semplicemente fosse la migliore opportunità di dimostrare quanto valevo, quanto avevo imparato. Migliorare il nostro rapporto, renderlo più equilibrato. Insomma, non mi aveva forse fatto decidere il ruolo di tutte le creature, il loro nome? Eravamo già in un rapporto di stretta collaborazione, pensavo che in questo modo l’avrei resa ancora più stretta.  Invece è saltato fuori che non era vero niente.
Ma io una bugia non l’avevo mai sentita. Come potevo anche solo immaginare che potesse esistere una cosa come la menzogna, se non ne avevo mai udita alcuna?

Vedete quindi che la reazione del Signore è stata esagerata. Il mio era un nobile intento. Poteva far finta di nulla, e saremmo ancora lì, da lui. Invece niente. Ho il sospetto che sia perché adesso la menzogna la conosciamo, e quindi non potremmo stare in sua presenza. Che se andassimo da Lui così come ora siamo, con la conoscenza che abbiamo acquisito, con il modo in cui l’abbiamo usata, smetteremmo di essere noi. Ci scioglieremmo come neve al sole, si scioglierebbe quel ghiaccio nero che è diventato parte di noi; che, malgrado noi, siamo noi.

Ci vorrebbe un modo in cui questa conoscenza del male, e del bene, la coscienza della sua mancanza, potesse essere non dico cancellata, ma… non so, riportata a prima. A nulla. Una nuova possibilità.
Non capisco neanche io perché dico queste cose. L’ho già spiegato, non è stata colpa mia. Io sono innocente. Prima o poi anche Dio lo capirà, vedrete. Com’è vero che mi chiamo Adamo.

Il vestito della festa

Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. (…) Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Matteo, 22

Sì, sono io quello di cui parlano. I bastardi. Neanche uno che mi abbia difeso, mentre subivo l’ingiustizia. Perché, è chiaro, quella verso di me è stata un’ingiustizia. Forse che quegli idioti addobbati a festa avevano più diritto di me a stare là? No, vi dico. Tutti profittatori, tirati dentro senza sapere neanche perché, senza merito. Tutti bellini con il loro vestito nuziale, gli opportunisti. Ed io, solo per questo piccolo particolare, legato e buttato fuori. Una questione formale, insignificante, e quel maniaco dal cuore duro mi ha umiliato facendomi brutalizzare e mettere alla porta. E pure amico mi chiamava.
Pura violenza. Sapete, quel prepotente mi ricorda proprio le mie ex mogli. Anche loro sempre a lamentarsi di me, che ero disordinato, che non mi lavavo, che non tenevo a loro, che pretendevo solo. Hey, io sono così, che volete da me? Invece no, a frignare che vedevo anche altre donne, le piagnone. Ma quante storie, è nella natura dell’uomo. Non sono per i formalismi, se desideri stare con me devi adeguarti.
Ecco, quel re è esattamente come loro: non si accontenta, non è comprensivo. Con la scusa che offre ti obbliga a fare come vuole lui.
Pretende: ecco, pretende.
Ma chi me lo fa fare, che si tenga la sua festa. Io ragiono di testa mia. Sono libero, io, sono un adulto, ho i miei diritti, nessuno mi può dire come devo vestirmi.
Certo che è buio, qui fuori.

De parvulis

Era un tipo curioso. Lucio pensò che non l’avresti detto ebreo, anche se di quella gente lui non aveva che un’esperienza marginale. Un piccolo tipo curioso di un piccolo popolo curioso: fuggivano il contatto con gli stranieri, vestivano strano e mangiavano ancor più strano. Questo individuo, invece, non sembrava avere problemi a mangiare di tutto e a discorrere con quelli che loro chiamavano gentili, gli impuri. Probabilmente dipendeva dal fatto che, pur essendo stato educato nella loro strana Legge, non credeva alle stesse cose dei suoi compatrioti. Aveva questa idea folle che un certo predicatore messo a morte una trentina di anni prima fosse niente di meno che un dio; fatto chiaramente impossibile, si diceva Lucio, perché che gli dei possano avere forma mortale è senza dubbio una leggenda priva di fondamento. E, anche fosse, perché dovrebbero permettere agli uomini di ucciderli addirittura in croce? Anche i fatti miracolosi che l’ebreo raccontava sembravano del tutto assurdi. Eppure li narrava con tale sicurezza e tranquillità che talvolta il filosofo stesso era tentato di credergli.

Quel piccolo orientale era un uomo colto, di ottimo eloquio; Lucio l’aveva conosciuto a casa di Prisco, sempre pronto a seguire quella che era la moda del momento. E sulla bocca di tutti ora c’era questa strana religione con i suoi seguaci. Gente molto determinata, pronta a giustificare quella loro bislacca credenza con un impeto che trascendeva la normale decenza. Lucio non l’approvava, ma era in una certa maniera ammirato della incrollabile certezza che dimostravano.

Aveva pensato che fosse solo l’ennesima religione orientale i cui riti promettevano fortuna e prosperità, ma dopo avere discusso a lungo con quell’ebreo adesso doveva ammettere che si trattava di qualcosa di molto più pericoloso. Questi avevano davvero la convinzione che non esistesse altro Dio al di fuori del loro, che non fosse lecito passare a questo o quell’altro rito o religione. Principio filosoficamente corretto, se davvero quel loro Dio fosse stato autentico; ma pericoloso per un Impero che aveva bisogno di tutto tranne che altre lotte. E’ per questo che quell’ebreo era a Roma agli arresti, accusato di irreligiosità; per questo gli occhi acuti del suo antico allievo Nerone erano già puntati su quel gruppuscolo potenzialmente sovversivo.
E questa anche la ragione per cui le conversazioni tra loro dovevano cessare. L’Imperatore non aspettava che un pretesto per sfogare la sua antipatia verso il suo vecchio maestro. Lucio non intendeva darglielo.

Ma era facile dimenticarsene mentre si discuteva così piacevolmente. Nonostante l’accento bizzarro quel particolare cittadino romano si faceva capire bene. Certo, ne aveva di idee strane. Tipo quella su cui dibattevano ora.

“Amico mio”, disse Lucio, “la pecora malata trova in fretta il coltello del pastore, prima che infetti tutto il gregge. I mostri, i bambini nati deformi, noi li anneghiamo. Un tempo si gettavano nei dirupi, oggi è il fiume che provvede a fare sparire il debole e lo sciancato. I cumuli di immondizia ne ospitano decine ogni giorno. Per quale motivo si dovrebbe permettere che essi vivano?”

“Perché sono anche loro persone, esseri umani come te e me”, rispose l’ebreo. “Voluti da Dio. Non è lecito all’uomo uccidere innocenti per una ragione futile o senza motivo.”
“Ma il motivo esiste!” Ribatté il romano. “Separare quanto è inutile da ciò che è utile. Questo è un atto di virtù, e tu sai che per me la virtù è il bene più grande.”
“Quale virtù nell’omicidio? Quando, camminando sulle rive del Tevere, vedi quei corpicini gettati ai corvi, non ti prende la tristezza per tante vite sprecate? Sono bambini, non rifiuti; eppure sono trattati come tali.”
Lucio scosse la testa canuta. “La vita non sempre va conservata: il bene, infatti, non consiste nel vivere, ma nel vivere bene. Perciò, il saggio vivrà quanto deve, non quanto può. Osserverà dove gli toccherà vivere, con chi, in che modo e che cosa dovrà fare. Egli bada sempre alla qualità della vita, non alla lunghezza. Questi figli indesiderati muoiono per la saggezza dei loro genitori, che piuttosto che condannarli ad una esistenza infelice li sopprimono prima che sia iniziata. Se fossero dei saggi e non dei piccoli anch’essi sarebbero d’accordo.”
“E allora perché si dibattono e piangono mentre li si soffoca, o li si annega, o si sfracella loro la testa? Loro vorrebbero vivere: la tua saggezza mi sembra più un cedere al proprio comodo ed evitare una bocca in più da sfamare.”
“Eppure è proprio questa la virtù che ci è stata tramandata dai nostri antenati. La vita dei bambini è in mano ai loro padri, che ne possono disporre finché essi non divengano a loro volta uomini. Aristotele invocava leggi perché a questi mostri non fosse concesso di vivere; persino le più remote tribù dai tempi più antichi , persino i cartaginesi e fenici vostri vicini si disfano dei bambini non voluti sacrificandoli nei loro tophet. E tu vorresti cambiare questa legge? Amico mio, se questo è ciò che vorreste per Roma allora potete anche fare subito i bagagli e tornare in Giudea. Questa usanza non attecchirà mai da noi.”
“Eppure nella nostra comunità non ci si libera dei figli esponendoli, anzi, c’è chi percorre le sponde dei fiumi e le discariche per cercare di salvare qualche piccolo abbandonato, che poi alleva come proprio.”
Seneca restò senza parole. “Dite che fate così? E una volta che sarete pieni di  – come vi chiamate – cristiani deformi, chi pensi che aderirà al vostro culto?” Rise, perplesso. “Non abortire i figli, questa è la vostra modernità. Io credo che Roma resterà invece con la tradizione. Tu valuti troppo la vita. La vita non è, infatti, uno di quei beni di cui nessuno ci può privare, quelli sono solo la saggezza e la virtù; la vita è piuttosto come la ricchezza, gli onori, gli affetti: uno di quei beni, dunque, che il saggio deve essere pronto a restituire, o a togliere, quando egli lo decida in piena ragione. E che ragione ci potrebbe essere per allevare orfani senza salute e nome, a scapito della salute dello Stato, che è sommo bene?”
Si alzò in piedi. “I bambini non sono che animaletti senza ragione o dignità, immondizia che può venire gettata. Quando Roma sarà piena di gente che raccoglierà quell’immondizia e la tratterà come tesoro prezioso invece di gettarla via, allora il tuo Dio avrà vinto, e Roma non sarà più. Ma questo non accadrà mai.”.  Sospirò. “Mi ha fatto piacere discorrere con te, ma adesso temo di doverti congedare. La situazione politica si va scaldando: tanto non è bene che io sia visto in tua compagnia, quanto tu sia veduto nella mia.”
Anche l’ebreo si alzò. “E’ stato piacevole discorrere con te, anche se non sono riuscito a convincerti, almeno per il momento. Se ti va, potremmo comunque scriverci talvolta.”
“Buona idea” disse il romano.
“Vale, Lucio Anneo Seneca.  Il Signore sia con te” salutò l’ebreo.
“Vale, Saulo detto Paolo. Spero che tu venga assolto dalle accuse e possa tornare nella tua terra”
Il piccolo ebreo sorrise. “Chissà cosa ci aspetta, Lucio. Ma non è ciò che è importante. Ciò che conta è che questo nuovo modo di vivere, questo Vangelo, giunga a tutti.”
Sorrise, di quei suoi strani dolci sorrisi. “E chissà, magari anche Roma si convertirà”, lo salutò, uscendo.

I malanni di Malacoda – Smartworking

Il demone Libicocco si fermò all’ingresso della fumarola. “Malacoda, ehi, Malacoda? Sei in casa? Oggi qui nella bolgia c’è un tempo disgustoso, vieni con me ai laghi di pece a pescare un po’ di dannati?”
Da dietro il vapore bollente si udì un grugnito. “Per briffare avresti dovuto schedularmi l’agenda. Perché non mi hai mandato un outlook asap per bloccare lo slot?”
Libicocco parlava mille linguaggi umani, ma questo gli era ignoto. “Eh?”
“Avresti dovuto dirmelo prima! Non posso! Devo lavorare!”
Libicocco posò la canna da pesca con gli uncini. “Lavorare? Vuoi dire che devi andare dall’anima che stai cercando di dannare su nel mondo degli uomini?”
Malacoda sporse la testa da sopra le nuvole di zolfo. “No. Ora lavoro da casa. Gli arcidemoni hanno approvato l’iniziativa in via sperimentale, sai, per tagliare i costi di trasferta. Lo chiamano smartworking.”
Libicocco si occupava della manutenzione dei pozzi bollenti nell’ottavo cerchio, e si mostrò stupito. “E come fai? Il tuo compito non è dannare gli esseri umani? Suscitare vizi, suggerire peccati e via tentando?”
Malacoda agitò la coda. “Infatti. E’ ancora così, ma adesso opero via internet.”
“Che io sia beato!” Esclamò il diavolo. “Sono curioso di sapere come.”
“Guarda, ho appena finito di postare su ottomila gruppi Uattsapp. Filmati di gattini da cinquanta mega con su scritto ‘da vedere assolutamente’, massime mistiche pseudoorientaleggianti, immagini porno, vecchi meme blasfemi… l’importante non è cosa, ma che facciano diventare più idioti oppure perdere la pazienza.”
“Geniale! Ma non ti sgamano?”
“No, io sono sempre il partecipante di cui non ti ricordi il nome, quello che compare solo con il numero di telefono”.
Libicocco ripensò ad alcun gruppi di cui faceva parte, e capì molte cose.
“Ma questa è solo una delle attività”, proseguì Malacoda. “Faccio laggare o cadere il collegamento nei videogame online, il che mi procura sempre una buona messe di bestemmioni. Mando catene di zantantonio e promozioni farlocche. Faccio in modo che i popup pubblicitari siano i più inopportuni possibile, che so, siti di appuntamenti sui blog di suore di clausura e crociere gay sulle pagine degli arcivescovadi. Faccio anche un bel po’ di trollaggio nei siti cattolici, ma i colleghi umani nelle chat mi rimproverano che sono troppo buono.”
“Molto interessante. Deve essere divertente mandare fuori dai gangheri tutti quei santarellini.”
“Oh, dopo un poco ti ci abitui. Ho un sacco da fare. Spezzare link negli help della Microzoft, mandare in giro programmi malfunzionanti con errori incomprensibili… c’è anche da dire che non mi manca l’assistenza tecnica, qui sotto è pieno di programmatori dannati che farebbero qualsiasi cosa pur di mettere ancora le mani su una tastiera. Il bello è che gli umani hanno bisogno di pochissimo incoraggiamento per dare il peggio di loro. E’ come se quello che è virtuale non sporcasse l’anima come il reale”. Ridacchiò. “Sapessero quanto si sbagliano!”
Libicocco sospirò. “Un poco ti invidio, e mi sento già meglio per questo. Però, scusa, non riesci a staccare neanche un attimo? ti vedo abbastanza stressato…”
Malacoda digrignò le zanne. “E’ per colpa del wi-fi. Continua a scollegarsi. E’ mai possibile che in quest’inferno non si riesca ad avere una connessione decente?”

Il quarto mago

Il sacerdote chiuse la porta della chiesa. La messa dell’Epifania era appena terminata, e i pochi fedeli erano già scomparsi diretti verso le loro case. “Sempre meno gente”, borbottò.
Un’ombra si mosse dietro il pesante portale, e lui ebbe un sussulto. Forse uno degli zingari che stazionavano all’ingresso che si attardava per estorcere l’usuale obolo? No, invece: un anziano ben vestito, il viso percorso da una fitta rete di rughe. Un parrocchiano? Il volto non gli era noto. “Buonasera”, salutò.
Il vecchio fece un passo avanti. “Buonasera. Buona Santa Epifania del Signore”, rispose.
Ah, uno di quelli, si disse il prete.
L’anziano riprese, con una voce che sembrava più giovane dei suoi anni: “Vorrei un chiarimento sull’omelia di stasera”. Fece una pausa, come raccogliendo le idee. “Se ho capito bene, lei sostiene che l’episodio dei Magi non è accaduto davvero ma è mitico, dato che lo racconta un solo Vangelo; che in realtà non erano in tre ma probabilmente una carovana di migranti in cerca di opportunità; che il termine esatto non è magi ma maghi, che la parola indicava dei ciarlatani, e che erano comunque degli sprovveduti perché persero la stella e sbagliarono andando a Gerusalemme da un assassino, Erode, anziché a Betlemme. Ho riassunto bene il suo pensiero?”
“Beh, direi che ha ascoltato l’omelia”, replicò il sacerdote, cautamente.
Il vecchio si fermò ancora, come raccogliendo le idee. Poi continuò. “Il termine può indicare anche ciarlatani nel senso in cui anche oggi un mago lo può essere. In realtà significava astrologi, una professione rispettata in quel tempo in cui conoscere il movimento dei pianeti e delle costellazioni era gran parte dell’astronomia. Quei nobili sapienti, perché lo erano, videro nei cieli due particolari congiunzioni a distanza di poco tempo, molto rare, le quali indicavano la nascita di un grande re in Giudea. Un segno potente e inequivocabile. Non dovevano credere a quello che era tutta la loro scienza? Si consultarono e si scambiarono pareri per lettera dai loro paesi, e infine decisero di trovarsi insieme per andare ad omaggiare quel re che le stelle predicevano. Non conoscevano le Scritture ebraiche, allora, se no si sarebbero recati subito a Betlemme; pensavano, come tutti, che un re non potesse nascere che in una famiglia regale, un loro pari.”
Fece una pausa. “Ma si sbagliavano. Quando videro il bambino, la piccola casa, quella famiglia di artigiani, dapprima pensarono di essersi ingannati. Ma poi… credettero. Capirono. Quasi tutti.”
Fissò il sacerdote. “Su una sola cosa non si è sbagliato. Non erano in tre, quegli antichi sapienti. Erano quattro. il quarto mago – sa, era anche lui un re, a suo modo – era molto più sapiente degli altri. Aveva particolari conoscenze segrete, e queste lo avevano reso troppo orgoglioso. Fu lui a consigliare gli altri di cercare Erode. Ma, arrivato a Betlemme, non poté credere che quel bambino fosse più di quello che sembrava, un uomo. Si rifiutò di dargli i regali che aveva preparato. E se ne andò via.” Strofinò i piedi per terra, come assorto in distanti ricordi. “I doni degli altri servirono per finanziare la fuga di quella famiglia fino in Egitto. I suoi se li tenne. Era venuto per conquistarsi i favori di un dominatore della Terra, che senso avrebbe avuto sprecarli così? Così adesso è ancora lì che cerca, che aspetta il ritorno di quel bambino, per potere correggere l’errore di allora. Per dargli quello che gli era dovuto.” Le mani nelle tasche del cappotto rovistarono un attimo, come per sincerarsi della presenza di qualcosa. Guardò direttamente negli occhi il sacerdote, che era rimasto immobile, stupito. “Sa qual è il suo problema? Quei re, quei magi videro un segno reale, e si mossero per cercare un sovrano reale per fede in quel segno. Lei pensa che la loro sia una solo una storia, si immagina che le cose accadano secondo il suo pensiero. E quindi non si muove verso quel bambino, a cui non crede davvero. Come quel quarto mago, lei pensa di sapere, e si perde ciò che è vero e che avrebbe solo bisogno di essere guardato per essere capito.”
Il prete a quelle parole si incupì, si riscosse. “Ma che dice? Si può sapere che vuole? Chi è lei?”
Ma il vecchio si era già voltato e si allontanava nell’oscurità. Alzò solo un attimo la testa verso le stelle che cominciavano a brillare nella notte limpida, come cercando qualcosa, sembrò averlo trovato, poi sospirò, voltò l’angolo e scomparve.
Anche il prete guardò verso le stelle, ma non vide niente.

Una pretesa insensata

Dal Vangelo secondo Mattia, l’apostolo che non c’era

Un dì Gesù arrivò con i suoi discepoli presso il villaggio di Liuerpul, in Britannia, e qui predicava. Mentre parlava ecco un abitante del luogo si avvicinò e gli rese omaggio. “Ti prego, maestro, mia figlia è gravemente malata, ma so che tu puoi salvarla.” Mentre Gesù si avviava verso la casa dell’uomo fu fermato dai capi della sinagoga. “Oggi è giorno di sabato, e non ti è permesso fare miracoli. Inoltre soffre troppo perché possiamo permetterti di visitarla: meglio farla morire in pace. Guarirla sarebbe accanimento terapeutico.”
Anche alcuni dei suoi discepoli mormoravano. “Con la guerra in Siria, i migranti Galli sul Reno, la crisi del sesterzio e la dominazione romana quello si va a scomodare per una sola bambina? Che lasci perdere, e pensi piuttosto a sfamare i poveri”. Gesù alzò gli occhi verso suo Padre e proseguì. Mentre però era quasi giunto nei pressi dell’abitazione, furono raggiunti da alcuni servi che dissero all’uomo “Non disturbare più il Maestro, tua figlia è morta”. Gesù disse loro “Non è morta, dorme”, e voleva entrare lo stesso nella casa. Al che i suonatori di flauto e i lamentatori lo sbeffeggiavano. Gesù disse loro: “Perché dunque ridete di me? Se pensate che la mia azione sia irrispettosa o blasfema, considerate bene cosa sia in gioco”. Parlava infatti così perché fosse svelato ciò che c’era nel loro cuore. Gli si pararono quindi davanti gli scribi e i farisei, e gli impedivano di proseguire. “Guardati bene dal mettere le tue mani addosso a quelle ragazza”, dicevano. “E’ suo diritto rimanere morta, e se non fosse morta provvederemo perché lo sia, in modo che non soffra più. Abbiamo deciso che non c’è infatti alcuna speranza, la sua sarebbe una vita inutile: chi sei tu per mettere in dubbio la parola dei sapienti e stravolgere l’ordine costituito?”
A udire queste parole Gesù si fece un bastone da un fico che era ai bordi della strada e…”
<il frammento si interrompe>


Un affare concluso

“Perdonali, perché non sanno quello che fanno”.

Ridicolo. Mi è anche un po’ scappato da ridere, anche se non è dignitoso. E’ incredibile a che livelli possano arrivare questi fanatici religiosi. Persino quando sono mezzi morti di botte, appesi ad una croce.
Come se io non sapessi quello che faccio. Non sarei Sommo Sacerdote, altrimenti. Vi posso assicurare che comprendo perfettamente ogni sfumatura di quello che è accaduto qui oggi. Pensate davvero che, se non sapessi bene cosa sto facendo, sarei riuscito ad ottenere l’eliminazione di quell’arrogante galileo? Un grande risultato politico: ho costretto quell’imbecille di Pilato a fare ciò che volevo e ho dato una severa lezione a tutti i miei critici. I farisei sono stati zittiti, mi hanno persino fatto i complimenti. Un’azione perfettamente orchestrata.

Mi dicono che è già morto. Un affare concluso, e quell’altro imbecille che ce lo ha venduto ci ha pure restituito i soldi. Sì, lo so che il nazareno straparlava di una vita dopo la morte, ma è tutta una menzogna. Ve lo dico io, che è il mio mestiere. Se è così, cosa dovrei farmi perdonare, e perché? E’ tutta qui la vita che c’è da vivere, e dobbiamo farlo al meglio. Sono ricco, sono potente, ho tutto quello che voglio. Non c’è nient’altro da volere, niente da sapere. Domani quel Messia-fai-da-te sarà già dimenticato, Tra tre giorni nessuno ne parlerà più. I suoi discepoli se la sono dati tutti a gambe. Con una morte così impura, nessuno vorrà più averci a che fare.

Io sarò ricordato come uno dei più grandi Sommi Sacerdoti mai esistiti, il mio nome sarà famoso per secoli. Il Tempio è mio, sono io che posseggo il Sinedrio. Sono io che risolvo le grane. Come quella del nazareno. E come questo terremoto. Non ha fatto grandi danni, ma il velo che cela il sancta sanctorum, la casa di Dio, si è squarciato in due. Costerà un patrimonio rifarlo, ma si deve, il Tesoro pagherà. Non si può permettere che lo sguardo dei non iniziati si posi su quello che c’è di più sacro. Anche se è solo una stanza vuota.

La guardo, e mi chiedo se veramente il Signore ci abbia mai abitato, lì. E dove sia adesso.

Il titolo

Callisto era uno schiavo. Non che la cosa gli pesasse particolarmente. C’erano uomini liberi che se la cavavano molto peggio di lui; e senza dubbio parecchi cittadini romani che invidiavano la sua posizione. Perché Callisto non era uno schiavo qualunque. Era uno schiavo istruito, e valeva più sesterzi di quanti parecchi guadagnassero nell’intera vita.
Era alloggiato bene, nutrito discretamente, e il lavoro era scarso e leggero a sufficienza perché lui potesse dedicarsi al suo passatempo preferito, i libri.
Questi i lati positivi. I lati negativi era che il suo padrone non aveva purtroppo una biblioteca così ricca. Era sì un personaggio molto importante, un Prefetto. Ma Prefetto della provincia più pidocchiosa dell’Impero, distante uno sproposito dalle terre realmente civilizzate.
Anche oggi, fuori c’era tumulto. Come schiavo si sentiva abbastanza al sicuro, ma con questi fanatici non si poteva mai dire. Quanto avrebbe desiderato tornare a Roma. Perfino Cesarea già gli mancava.
“Callisto? Il Prefetto ti vuole.” disse il soldato.

“Ho un lavoro per te”, disse il Prefetto.”Una scritta.”
Callisto sapeva parlare e scrivere in otto lingue. Una abilità in gran parte sprecata, in questo buco di paese.
“Che scritta, padrone?”
“In tre lingue. Voglio latino, greco ed ebraico. Scendi da Lucio, digli di procurarti una tavola.”
“Cosa ci vuole scritto, eccellenza?”
“Gesù Nazareno, Re dei Giudei. Bello grosso, va bene? E’ da porre in cima ad una croce” disse, rivolgendosi al centurione accanto a lui.
Ah, era per quel profeta ebreo di cui si era discusso tutta la mattina. La folla fuori dal palazzo faceva paura.
“Immediatamente, padrone”.
Callisto, fuori dalla vista del Prefetto, sbuffò. Un lavoro da poco.

Il soldato sbirciò la tavola di legno con le lettere tracciate sopra. Il latino lo sapeva leggere, un poco almeno, ma gli altri scarabocchi…
“Che c’è scritto qui?” chiese allo schiavo. E’ la lingua di qua, no?”
“Yeshua Hanotsri Wemelek Hayehudim”, rispose lo schiavo.
“E che vuol dire?”
“La stessa cosa del latino.” rispose ancora. “Iesus Nazarenus Rex Iudeorum”.
Il soldato si strinse le spalle. Il bello dell’esercito romano era quello: ti poteva capitare di portare a morte anche un re. Sic transit gloria mundi, come diceva il tribuno.
Si mise sottobraccio la tavola e si avviò fischiettando dietro al corteo dei condannati.

Appena finì di sistemare il cartello sopra la testa del condannato capì che qualcosa non andava. Tutti quei tromboni giudei con i loro scatolotti appesi ovunque sembravano parecchio agitati.
Verificò se l’aveva appeso diritto. Sì, era perfetto. Guardò in basso. I tromboni se ne stavano andando di gran fretta, e altra gente parlottava. Che avranno, si chiese. Forse non gli piace che gli crocefiggiamo il re.
Scese dalla scala con precauzione, tenendosi lontano dal corpo insanguinato dai flagelli.

Il Prefetto alzò lo sguardo, spazientito. “Cosa c’è ancora?”
Il Capo del Sinedrio si schiarì la voce. “Se vostra Eccellenza acconsente, voremmo che fosse cambiato il cartello appeso sulla croce del condannato. Non…” qualcuno gli diede di gomito. “…Non ci sembra corretto. C’è un errore. Quel Gesù non è il Re dei Giudei, ma solo quello che dice di essere. Se…”
Il Prefetto alzò gli occhi al cielo. Questi non gliela contavano giusta. Ma non ne poteva davvero più.
“Basta. Sono io stesso che ho dettato quel cartello. L’avete fatto uccidere per quello? E quello c’è scritto. Il cartello è già appeso. Titulus crucis. Quello che è scritto è scritto”,  scandì, “non ho intenzione di sprecare tempo a cambiarlo. E adesso andate, prima che perda la pazienza del tutto.” Fece un cenno con la mano, e le guardie si avvicinarono con fare minaccioso ai postulanti.
Il Capo del Sinedrio e gli altri uscirono. “Niente da fare. Sembra parecchio irritato.”
“E’ un abominio. Una bestemmia. L’ha fatto apposta.” Mugolò un fariseo vicino a lui.
Caifa sospirò. “Anche se fosse, in fondo non è così grave. Anche se è così vicino alla città, quanti lo noteranno?”

Giovanni alzò la testa e guardò l’uomo appeso, l’uomo che aveva seguito per tre anni.  Lordo di sangue, il respiro affannoso. Gli cadde l’occhio sul cartello, in alto. Lesse, e poi lesse meglio, incredulo.
“Yshu Hnotsri Wmlk Hyhudim”. Lo scrivano aveva evidenziato le iniziali. YHWH. Il Tetragrammaton, il sacro e impronunciabile nome di Dio, che Lui stesso aveva fornito a Mosè tanto tempo prima.
“Io sono colui che è”. Quell’uomo era appeso lì sopra perché aveva affermato davanti al Sinedrio di essere Dio. Ed ora, sopra il suo capo, era appeso…
Si ricordò quanto aveva detto ai farisei: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono“.

I  loro sguardi si incrociarono. E, per quanto potesse essere incredibile in mezzo a quella sofferenza, a Giovanni parve quasi che sorridesse.

Malachia

Il vecchio forse non era tanto vecchio, ma sicuramente dava quest’impressione. La barba lunga, l’occhio rosso, il vestire trascurato. Si fermò davanti al palco delle autorità, brontolando sottovoce.
La guardia del corpo si mosse verso quell’uomo male in arnese, ma il suo capo lo fermò. “Lascia perdere, lo conosco, è innocuo.”
I discorsi la stavano tirando in lungo. I politici avevano lasciato la parola all’alto clero. Coloro che potevano fuggire erano già spariti. I rimasti erano coloro che dovevano in qualche maniera presenziare alla cerimonia,  e gli sfaccendati. E poi quel tipo barbuto, che ascoltava sempre più corrucciato il religioso che dalla pedana lisciava le penne al governo come se ne andasse della sua salvezza.
Finché, mentre il sacerdote alzava il braccio per benedire, esplose.

“SAI CHE TI DICO??!” Urlò. L’oratore si interruppe e lo guardò attonito. “Sapete cosa vi dice il Signore? Che se non gli date gloria e non lo ascoltate, le vostre benedizioni porteranno solo sfiga. Anzi, già lo fanno”
Si fece avanti, fino sotto al palco. “Io vi spezzerò il braccio e vi butterò merda in faccia” proseguì il vecchio a piena voce. “la merda delle vittime che avete sacrificato per le vostre feste, perché finiate nel cesso con quella. Il SIGNORE” disse, guardando in faccia i presenti “aveva fatto un patto con voi, vi dava la vita e il benessere ed in cambio dovevate avere rispetto di lui. Dovevate insegnare quanto diceva, dire la verità e stare in pace con tutti trattenendo dal fare il male. Quando facevate così si stava bene, ah se si stava bene! Insegnavate le cose giuste e la gente vi ascoltava. Invece ora state facendo cosa cazzo volete e state insegnando balle! Avete rotto il patto. Beh, il Signore si è rotto pure lui. La gente vi guarda e le fate schifo, perché non fate quello che ha detto il Signore ma solo i vostri affari.”
“Devo fermarlo?” Sussurrò la guardia del corpo al suo capo, ma questi scosse la testa “Troppa gente. Lasciamolo finire.”
Una piccola folla si era radunata intorno al tipo barbuto. Alcuni ridevano e lo prendevano in giro.
Il vecchio si voltò verso di loro. “Hey, non siamo tutti figli dello stesso Padre? Perché fate i figli di puttana? Mi sembrate stranieri. Che ci fate qui? Se volete tenervi le vostre usanze, tornatevene a casa vostra!” Tornò a girarsi verso il palco, dove gli oratori stavano sgattaiolando via. Puntò il dito.”E voi, vi conosco…voi che tradite le vostre mogli e le avete mollate, loro che sono la vostra vita, la vostra carne… non vi vergognate? Pensate che il Signore sia contento? Avete fatto un sacco di discorsi, bla-bla, per giustificarvi, ma lassù si è stufato.  Per cosa? Non fate finta di non saperlo: quando dite che chi fa il male è buono lo stesso, o quando proprio voi parlate di giustizia… ”
“Adesso basta” disse il capo delle guardie. Lo presero di peso e lo portarono via, tra le urla e gli schiamazzi dei presenti. Mentre l’allontanavano si sentiva ancora urlare “…ma verrà, oh se verrà, e quel giorno…”

La folla si disperse, gli oratori se ne andarono. Rimase solo alcuni ragazzini e un giovane, che scriveva furiosamente con uno stilo. “Che stai facendo?” chiese uno dei bambini “Scrivo,” rispose il giovane mettendo da parte un’altra tavoletta. I bambini erano a bocca aperta: era così raro trovare qualcuno che conoscesse l’arte della scrittura. “Bene, bene, sono riuscito a mettere giù quasi tutto. Dovrò un po’ aggiustarlo nella forma, ma…. Senti, sai come si chiamava quel tipo che gridava?”, chiese il giovane al bambino.

Malachia“, rispose il ragazzino. E corse via, verso il Tempio.

 

Anche voi potete fare questo

Di che paventi Erode? E quale acceso
hai di sangue nel cor fero desire?
Umana forma il Re dei’ Regi ha preso
Non per signoreggiare, ma per servire

Giovan Battista Marino, “La strage degli innocenti”

Non giudicatemi. Avreste fatto anche voi lo stesso, foste stati al mio posto.
Forse qualcuno potrebbe dire che sono stato duro, o forse esagerato, magari anche crudele. Niente di tutto questo, ve l’assicuro.
Se anche voi aveste fin da giovani occupato posti di responsabilità, come me, e foste stati costretti fin dall’inizio a decisioni difficili, molto difficili non sareste così duri. Voi non avete mai dovuto mettere a morte figli o mogli. Io sì. Quindi, capite, che cosa possono in fondo importare poche decine di bambini a fronte della salvezza di una nazione?

Perché questo era a rischio. Voi forse non ve ne rendete conto, ma quante volte ho dovuto ricorrere a misure estreme per salvaguardare la prosperità della mia terra!
E’ stato un episodio minore, danni collaterali. Vi assicuro che non ci sarà nessuna conseguenza a lungo periodo. L’incidente è, con tutta evidenza, chiuso. Abbiamo evitato a noi tutti rivolte, incidenti, e forse peggio.
Come pensate che sarebbe stato strumentalizzato, quel bambino, gli fosse stato permesso vivere? Se agenti stranieri lo cercavano persino prima della sua nascita, con il pretesto di adorarlo? Tutte le volte che il mio regno è stato minacciato io l’ho difeso con ogni mezzo. E’ mio preciso dovere. La prosperità della mia terra è la mia prosperità.
Dovreste imparare da me. Non sono forse riuscito a regnare per tutti questi anni? Ho giurato fedeltà a Cassio, e poi a Cesare che ha sconfitto Cassio, e a Marc’Antonio dopo che Cesare è morto, e poi ad Ottaviano che lo ha battuto…perché credete che mi abbiano dato fiducia? Perché io so cosa c’è da fare per mantenere il potere.

Non date retta a quelli che dicono altrimenti. Mentono, io lo so bene. Il potere sulle menti deboli si mantiene con la paura. Le menti forti si eliminano. Il mondo è fatto così. Compiacere i potenti perché ti diano potenza, opprimere i deboli perché restino tali. Essere amato? Sciocchezze. Vorrebbe dire dimostrarsi più debole di quelli che vorresti governare. E questo non te lo perdoneranno mai.

No, non sono stato duro. Andava fatto, e basta. Non è crudeltà, ma necessità. Quei bambini andavano uccisi perché minacciavano la mia felicità, il mio essere re, la mia stirpe. Io ho diritto alla felicità, sono il re. Cos’è un bambino, per togliermela?

Non mi interessano le profezie. Sono io che nomino i Grandi Sacerdoti, e li ammazzo. L’ho fatto costruire io il Tempio, e lo so bene: non c’è nessuno dentro. La vita è solo potere. Se anche uno di quei bambini era il Messia, ormai è morto. Profezia finita. Spero solo che di avere allevato dei figli non del tutto idioti, che seguano le mie orme. Di avere insegnato loro bene come fare a conservare il regno.

Anche voi, quindi, prendete esempio da me. Io sono Erode, il Grande, stirpe di eroi, e so quel che dico. Il solo bene è il bene per se stessi. E’ il proprio interesse l’unico che conta. Ogni rapporto è solo inganno e dissimulazione. L’innocenza non esiste. Se esistesse, bisognerbbe farne strage perché sarebbe pericolosa. Questo io ho fatto.
Questo consiglio a voi, miei figli, miei eredi. Ma so che mi ascolterete.

6949945236_6ee77f73f6

I malanni di Malacoda – Eh?

“In quel tempo, Gesù insegnava alle folle.
Un notabile lo interrogò: «Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?». Gesù gli rispose: «Perché mi dici buono? Siamo tutti buoni. Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre, sii tollerante delle diversità». Costui disse: «Tutto questo lo so, me ne hanno parlato fin dalla mia giovinezza, e sono a posto con la mia coscienza». Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa ancora ti manca: lascia tutto quello che hai, poi vieni e seguimi». Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco e si era appena risposato per la settima volta.
Quando Gesù lo vide, disse: «Quant’è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio. È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio! Quindi lascia stare i comandamenti, rimani pure così, se è troppo difficile ti verremo incontro e troveremo la maniera. L’importante è che tu sia a posto con te stesso». Quelli che ascoltavano dissero: «Allora chi potrà essere salvato?». Rispose: «E’ impossibile agli uomini, quindi non ci provate nemmeno. Comunque vedrete che non ci sarà problema, si aggiusta tutto, troveremo una scappatoia». Giuda disse «Evviva!»
Pietro allora disse: «Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito». Ed egli rispose: «In verità vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, e possa ritenermi legalmente responsabile. Era meglio tenersi tutto nel tempo presente, che tanto la vita eterna è nel tempo che verrà, mica adesso». «Ma non avremmo ricevuto cento volte tanto, già ora, se lasciavamo tutto per seguirti?» Chiese Giacomo. «Eh?» Rispose Gesù.”

“Malacoda! Malacoda!”
“Sì, Capo?”
“Hai finito di scrivere quel papiro, che lo dobbiamo seppellire?”
“Un attimo, Capo, asciuga l’inchiostro ed è pronto!”
Malacoda posò l’originale e rilesse quello che aveva trascritto. Questi piani a lunga scadenza di suo zio…a sentir lui, questa versione taroccata sarebbe tornata utile tra qualche secoletto. “Non avrò esagerato con le modifiche?” si chiese. “Mi domando chi potrebbe cascarci…”

WritingDevil

Il pesce che non ti aspetti

Vi ricordate della pesca miracolosa? No, non quella dopo la resurrezione, ma di quell’altra, tre anni prima, quando Gesù aveva appena cominciato la sua vita pubblica. Aveva già conosciuto Giovanni, ed Andrea, ed anche Simone, a cui aveva affibbiato il soprannome di Pietro. Cristo cominciava a farsi conoscere, e già venivano da tutti i paesi circostanti per sentirlo. Così doveva essere stato in quella mattina di duemila anni fa.

Simone e gli altri avevano pescato tutta la notte. Una sfiga nera. Neppure un pesce, avevano preso. Erano stanchi morti, ed anche un poco arrabbiati. Al porticciolo c’era una gran folla. Gesù parlava, sulla riva, e la gente che si accalcava era tanta, troppa. Avevano attraccato, e si erano messi a lavare le reti vuote, tendendo l’orecchio a quelle parole portate dal vento. Gesù aveva fatto un cenno: prendetemi a bordo. Simone aveva avvicinato l’imbarcazione, e il Maestro era salito. Seduto sulla barca aveva terminato il suo discorso. La gente aveva cominciato ad allontanarsi. E Gesù aveva detto a Simone: prendi il largo, getta le reti.

Ora, non so se avete presente chi era Simone e chi era Gesù. Simone era il più tosto dei pescatori del lago di Genesaret, aveva la sua cooperativa, figlio di pescatore e pescatore da quand’era piccolo. Nessuno conosceva quelle acque quanto lui, sapeva tutti i posti migliori. Però si era fatto un mazzo tanto tutta la notte, e non aveva acchiappato niente.
Gesù era invece il figlio di un falegname. Un falegname, capite? Cosa ha a che fare un falegname con le barche da pesca, a parte fabbricarle? E per di più uno di Nazareth, un paesuncolo abbarbicato sui monti. Ora ‘sto qui, che si è messo a fare il predicatore, viene a insegnare al più figo pescatore del mare di Galilea dove gettare le reti?

Certo, con il senno di poi è facile. Per noi, che sappiamo come finisce la storia, è facile. Ma pensate a quello che deve essere passato per la testa di Simone e degli altri. Ma questo, che vuole? Quello che chiede è del tutto irragionevole. E’ folle. E’ presuntuoso. Io che ho ragione, che ho l’analisi della situazione più corretta, più verosimile, più attendibile, ti dico che è inutile buttare le reti.

Ma Simone si è fidato. Perché era ragionevole fidarsi.
Esiste una ragionevolezza che è seguire la nostra testa, e una ragionevolezza che è seguire i fatti. I fatti erano che quell’uomo aveva qualcosa di più grande di quanto ci si poteva immaginare. Una ragionevolezza che eccedeva ogni ristretta ragione. “Signore, mi pare una stronzata, ma se me lo chiedi tu lo faccio”. Per cui si buttano le reti dove poche ore prima non c’era niente, dove l’esperienza dice che è inutile gettarle, e si tira su invece un numero di pesci che eccede ogni speranza.

La storia della salvezza è un susseguirsi di questo fidarsi oltre ogni calcolo. La storia di una coppia vecchissima alla quale viene promesso un figlio. La storia di un popolo che sfida il deserto inseguita dall’esercito più potente del mondo. Di uomini a cui viene detto: è risorto.
E anche a noi, in questo tempo di tempeste e pesche scarse, è proposta la stessa scelta: fidarci ancora una volta di quello che non ci ha mai delusi, oppure andare dietro al nostro giustissimo ragionamento, al meditato disegno. Seguire un Altro e la sua proposta folle, o noi stessi e la nostra idea di ciò che è.

Che sceglieremo, dunque?

Petri_Fischzug_Raffael
Grazie a Paola per avermi lasciato usare il suo esempio

Eventi incredibili

Buonasera. Oggi a Eventi Incredibili intervisteremo Mattia, un nome di fantasia che nasconde quello di un commerciante di stoffe di successo. Mattia ha scelto di non farci vedere il suo volto (immagine di un uomo ripreso di spalle e in controluce) per non esporsi a vendette.
Mattia – Buonasera (voce alterata)
Intervistatrice – Signor Mattia, lei è un uomo di successo. A cosa deve la sua fortuna?
M – A quello che chiamavano Gesù.
I – Gesù? L’autoproclamato profeta e Messia crocefisso alcuni anni fa a Gerusalemme?
M -Esattamente.
<Voce fuori campo mentre scorrono immagini sgranate di Gerusalemme, folla che cammina sulle strade, delle croci, tumulti di folla, nubi e paesaggi – “La storia di Gesù il Galileo è quella di un autoproclamato profeta e messia a cui venivano attribuiti poteri di guarigione straordinari, che il Sinedrio di Gerusalemme ha fatto condannare per blasfemia. I suoi discepoli sostengono che in realtà lui sia risorto dai morti dopo la crocefissione. Ma come è possibile?”>
I – Lei dice che grazie a Gesù è diventato un ricco uomo d’affari. Com’è possibile ciò? Ce lo può spiegare?
M – Perché io ero di guardia alla sua tomba la notte dopo che era stato crocefisso
I – Come? Vuole ripetere?
M – Eravamo di guardia, io e un mio commilitone, alla tomba di quel Gesù di Nazareth quando lo hanno sepolto. Ero nelle guardie del tempio allora.
I – Lei era nelle guardie del tempio?
M – E’ così. Cercavo un posto di lavoro, e un mio cugino conosceva uno dei sacerdoti, così…
I – E lei era stato messo di guardia ad una tomba. Era un fatto consueto?
M – Proprio no, che io sappia non si era mai fatto prima
I – E per quale motivo eravate lì?
M  – Per via della profezia
I – Vuole dirci di più?
M – Quel tizio aveva detto che sarebbe risorto dai morti, così il Sommo sacerdote non voleva che i suoi discepoli rubassero il corpo o qualcosa del genere.
I – E lei era stato messo di guardia…
M – Per evitare che lo rubassero.
I – Racconti cosa accadde quella notte.
M – Eravamo montati di guardia al tramonto…
I – Quanti eravate?
M – Due. Eravamo due.
I – Eravate armati?
M – Certo, lancia e spada, dotazione standard.
I – E cosa è successo
M – Era quasi l’alba…il nostro turno finiva all’ora seconda…quando sentiamo dei rumori.
I – Qualcuno si avvicinava?
M – Ma no, dalla tomba. Come una specie di canzone, o ronzio…
I – Dall’interno della tomba?
M – Dall’interno della tomba.
I  -La tomba era chiusa?
M – Era chiusa con un masso pesante, molto pesante. Ed ecco che vediamo una luce…
I – Dove?
M – Nella tomba.
I – Come delle torce? Dei fuochi?
M – No, come un lampo fortissimo, ma senza tuono. Usciva dalle fessure, capito? Si sentiva un odore strano, come di temporale. E poi la pietra è rotolata via.
I – Come rotolata via?
M – Come se qualcuno l’avesse spinta via. Da dentro.
I – Da dentro?
M – Noi fuori non abbiamo visto nessuno. E questa pietra rotola via <mima una spinta> e quasi schiaccia il mio compagno.
I – <Parlando al pubblico> Suoni e luci misteriosi, e un pesante macigno che viene spinto via da una forza misteriosa. Cosa sarà accaduto? Chi sarà il responsabile? Scopriamolo insieme.
I – E poi cosa accade?
M – Quel tizio esce.
I – Che tizio?
M – Quel Gesù, o come si chiamava. Tutto nudo. E c’era questa luce viola che usciva dalla tomba, ma meno forte di prima, e…
I – Una luce viola?
M – Non è che fosse proprio viola, sembrava viola, e dove li illuminava i nostri vestiti diventavano bianchissimi.
I – Li puliva?
M – No, sembravano solo bianchissimi, splendevano quasi.
I – Un fatto incredibile. E’ sicuro che fosse Gesù quello che è uscito?
M – Sicurissimo. L’avevamo arrestato tre giorni prima, c’ero anch’io. L’ho riconosciuto subito.
I – Ma non era morto?
M – Mah, così pareva.
I – Non ha niente da dire in proposito?
M – Non saprei cosa dire.
I – E poi cosa è successo?
M – Eravamo stralunati. Il mio collega gli ha chiesto “Dove stai andando” e lui si volta e fa “In Galilea. Se mi cercano, io aspetterò laggiù”. E’ stato gentilissimo.
I – Che ha fatto?
M – E’ andato alla casa del custode, che era a pochi passi, e dopo un poco è uscito vestito con degli abiti da lavoro, ci ha salutato ed è andato via.
I – E voi? Non avete tentato di fermarlo?
M – Noi eravamo lì seduti che non sapevamo che fare. Non è che lo potessimo arrestare di nuovo, no? Io ero entrato nel sepolcro, ed era stranissimo, perché il lenzuolo in cui era avvolto era ancora lì, solo che lui non c’era più dentro.
I – Cosa avete fatto?
M – Mentre guardavamo arrivano delle donne che cominciano a piangere e ci chiedono dove è finito Gesù, ed io rispondo che qui non c’è più, è risorto, ed ha detto che le aspettava in Galilea o qualcosa del genere, e queste sono scappate via.
I – Avete riferito cosa aveva detto?
M – Sì.
I – E poi?
M – E poi siamo andati via anche noi, a fare rapporto. Non aveva senso restare lì.
I – E che avete fatto?
M – Siamo andato dai sommi sacerdoti.
I – E qui?
M – Ci hanno dato una bella sommetta perché dicessimo che l’avevano portato via i suoi discepoli.
I – Quindi l’hanno pagata per mentire.
M – Sì <a disagio>
I – E lei ha preso i soldi? Ed ha confermato la loro versione?
M – Non potevo fare diversamente, altrimenti sarebbe andata di mezzo la mia famiglia. Comunque, appena ho potuto sono andato via da Gerusalemme e ho messo su un’attività in Iberia.
I – Con i soldi che le avevano dato per non farla parlare.
M – Anche con quelli, sì
I  -Adesso invece ha deciso di dire ogni cosa, dopo tutto questo tempo. Perché?
M – <Tossichia, cambia posizione> Perché mi sembrava giusto, dopo tanti anni…e poi perché in fondo di questa storia non interessa niente a nessuno, ormai.
I – Eppure deve avere sentito che i discepoli di quel Gesù, i cristiani, come li chiamano, hanno un certo seguito in diverse città e persino a Roma.
M – <si stringe le spalle> Qua non si sono ancora fatti vedere. E’ una moda come un’altra.
I – E lei? Cosa ne pensa di un morto che torna in vita?
M – Certo, sul momento mi aveva fatto impressione, ma adesso…in fondo che importa a me?  E poi non sappiamo com’è andata veramente, no? Cioè, va bene la lancia nel costato, i buchi e tutto, ma magari era un trucco, no? Magari non era morto, che ne sappiamo? Io ci ho pensato su tante volte, ma non mi sento di dire qualcosa di diverso. Vivo la mia vita. Non mi sento in colpa per non avere detto la verità allora, era per l’ordine pubblico, capite?
I –  Lo rifarebbe?
M – Certo, lo rifarei.

I -<stacco in studio> Eccovi questa eccezionale testimonianza che getta nuova luce su questo vecchio caso. Cosa sarà stata quella luce? Gesù era morto o vivo quando è uscito dalla tomba? Era proprio lui? E dove è andato? Poteva essere un alieno? Rimanete con noi per una nuova puntata di  Eventi Incredibili e forse lo scoprirete!

Resurrezione-El-Greco

Sei un asino

Sei un asino, mi diceva sempre mia madre. E’ meglio che tu te lo metta in testa. Non puoi aspirare ad essere qualcosa di più di quello che sei.
Ma io non ci stavo. Ero sempre arrabbiato, un brutto carattere dicevano tutti. E mia madre: crescerà.

Quando qualcuno mi chiedeva un lavoro io facevo sempre il diavolo a quattro. E poi vennero quei due. Vennero, e fecero per portarmi via. Che vogliono questi? Mi chiesi. “Che fate?”, chiese il mio padrone. “Te lo riportiamo subito”, dissero. Il mio padrone non rispose niente. Forse era stupito nel vedere che non li pigliavo a calci.
Ero stupito anch’io.

No, veramente, non so perché. Forse perché non erano il mio padrone, forse perché non li avevo mai visti. Avevano un viso gentile, abbronzato, i piedi sporchi di fango come chi arriva di lontano. Mi portarono con loro, non distante. E c’era questo tipo strano, che quando mi vide si avvicinò, e mi parlò.

Capite, non sono abituato a che qualcuno mi parli. Non gentilmente, almeno. Di solito sono urla. Non mi capiscono. Lui, invece…
Non so perché, ma gli credetti. Gli permisi qualcosa che avevo negato ad ogni altro, ribellandomi con tutte le mie forze. Sottomettendomi a quella che mi era sempre sembrata un’insopportabile umiliazione.
Va bene, ve lo dico: lui mi cavalcò.

Non ero mai stato tanto imbarazzato ma, in qualche maniera, era…glorioso. Ricordo tanta gente, tantissima gente, che neanche al mercato. E grida e canti. Io andavo avanti, lui in groppa, e non mi pareva pesante affatto. La gente buttava davanti a noi, sulle pietre e sulla fanghiglia di primavera, mantelli, rami di palma e di olivo, e parlava del figlio di non so chì.

Io sono ignorante, io sono un asino. Ma non ricordo una giornata del genere, né penso che ci sarà mai più. Ad un certo momento, ben dentro la città, lui scese, mi ringraziò, e mi riportarono indietro.
Non l’ho più rivisto. Di tanto in tanto incontro qualcuno di quelli che l’acclamavano. Certi quando mi vedono voltano la testa.

Cosa mi disse per farmi cedere, chiederete. Mi disse che quello sarebbe stato il giorno più importante della mia vita, anzi, di parecchie vite. E non perché io sarei diventato più di quello che ero, ma perché sarei stato esattamente quello che ero.
Un asino, figlio d’asina.
E di quello, in quel momento, aveva bisogno il mondo.

Asino che sa ascoltare - foto di Gustavo Piccinini