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I carcerieri

Dovevamo essere liberi; dovevamo lasciarci alle spalle tutto l’odio, tutta la violenza, tutto il dogmatismo e la presunzione. Dovevamo camminare senza paura, parlare senza timore; non ci sarebbero dovute più essere né guerre né nemici, se solo

Avessimo abbandonato Dio, se solo avessimo camminato con le nostre gambe da uomini senza farci sottomettere dalle pretese di una illusione.

Abbiamo abbandonato Dio, le chiese deserte salvo l’occasionale rito compiuto tra moda e noia; dove la Parola ha lasciato lo spazio alla parola e più non si osa dire ciò che un tempo era sacro, tanto sacro da essere ovvio, tanto ovvio da essere banale, tanto banale da essere trascurato, tanto trascurato da diventare trascurabile. Ciò che non viene ripetuto è solo un’eco che piano svanisce anche dal ricordo.

In questo mondo nuovo la guerra e il massacro sono di casa, la violenza è attesa, invocata, lo sbadiglio di un video lontano. Odiamo molti, molti di più di un tempo. Misogini e sessisti, razzisti, omofobi, transfobi, islamofobi, eurocentrici e euroscettici, agenti del patriarcato e del regime, fallocentrici e populisti, bianchi, neri, xenofobi e odiatori, suprematisti e nazionalisti e ogni altra possibile variante di passione o contropassione. Un odio non mitigato o mitigabile, perché perdonare è impossibile, salvo se stessi.

Tacciamo o sussurriamo piano per non farci udire, perché siamo noi i nostri carcerieri.

Quattro posizioni

Se l’uomo ricerca la felicità, allora il suo compito principale è capire come ci si possa arrivare.

Qualcuno può dire: guardiamo la realtà, comprendiamola, quando l’avremo perfettamente compresa sapremo anche come essere felici.

Ma qualcun altro replica: la realtà è troppo complessa e noi troppo piccoli, non ci possiamo riuscire. Lasciamo perdere la ricerca, cerchiamo le nostre soddisfazioni in ciò che c’è, così otterremo la felicità.

Un terzo però aggiunge: è vero che non possediamo la realtà, ma esistiamo in essa. Allora il reale possiede i segni che ci indicano come ottenere ciò che vogliamo, dobbiamo solo vederli e seguirli.

Il quarto sbuffa, tutte balle. La realtà la faccio io, quindi devo decidere io cosa sono e cos’è reale. Facendo così, sarò felice.

L’uomo di oggi oscilla tra queste quattro posizioni. L’uso del reale, l’indifferenza ad esso, abitarlo e rifiutarlo. Guardatevi attorno e comprendete le persone accanto a voi, voi stessi, a quali di questi atteggiamenti appartenete, con quale passo, con quali occhi camminate nel mondo.

***

Avviso! Il 9 maggio, assieme a un amico scrittore, parlerò di fantasy e fede in quel di Moncalieri. Sarà interessante e spero non noioso. Tutti invitati. Il giorno successivo sarò al Salone del Libro, se passate fatevi sentire.

Là nel regno fatato

La fantasia è un bimbo che si stupisce, che inventa storie più grandi di lui; è sbirciare dentro Faerie, il regno fatato, che non è un posto da bambini, una favoletta innocua, ma un luogo pericoloso, pieno di bellezza affilata come una lama e di mistero.

Se non ci fosse meraviglia, se non ci fosse quel mistero, non ci sarebbe neanche la speranza, la bellezza e certamente la gioia. Siamo attirati verso ciò che non sappiamo: non possiamo conoscere ogni cosa, quindi il nostro viaggio non può finire.

L’opposto di ciò è quello che hanno chiamato intelligenza artificiale: che non è che spremere ciò che si conosce fino a stritolarne le ossa, senza potere apprendere niente di nuovo. E’ l’inverso di Faerie, il suo inferno di cristallo immobile, un luogo freddo dal quale non si può ricavare niente; certo non stupore.

Solo chi accetta che esiste quel regno fatato oltre la terra e il cielo che si conoscono può arrivarvi, e trovare praterie d’erba smeraldina bagnata da una pioggia d’argento, tempeste di diamante e creature alle quali non è stato dato ancora un nome. Mi auguro di incontrare lì anche voi.

Eccellere!

Abbiamo discusso negli ultimi due post del concetto di “eccellere“.
Credo che parte del problema sia dovuto al fatto che in quella stessa parola sono uniti concetti molto diversi. Come abbiamo visto, eccellere significa “uscire fuori”, “emergere”.
Ma da cosa?

Se si sottintende “dalla massa indifferenziata delle persone”, allora eccellere può essere tradotto con “avere successo“. Quello che importa non è tanto possedere un talento, quanto che esso sia riconosciuto. L’esempio più eclatante è il post sui social che diventa virale: il famoso quarto d’ora di celebrità per ottenere il quale certuni sarebbero capaci di qualsiasi cosa. Inseguire la notorietà anche con mezzi estremi; lo sport più pericoloso, il comportamento più scandaloso, l’azione più idiota. Non tutti sono in grado di produrre capolavori, e persino tra quelli che ne sono in grado ciò non è in grado di garantire che si sarà notati. Ci sono innumerevoli artisti dal talento sconfinato, più grandi di geni del passato, di cui non sentirete mai parlare, mentre nei musei si ospitano delle ciofeche firmate. Questo genere di eccellenza dipende dal riflettore e da chi lo manovra.
La visibilità non è necessariamente quella globale. Può essere nell’ambito di una classe, di un condominio, di una chat di madri. Tocca corde profonde nell’essere umano, le stesse corde che spinge il pesce palla a costruire nidi assurdamente complicati e bellissimi, o ispira il corteggiamento dell’uccello del Paradiso. Il dimostrare che si è qualcuno, che si è meglio.

Qui si fa sottile la distinzione con un altro tipo di eccellenza: quella che può essere interpretata come “fare bene come si può”, ovvero conoscere e superare i propri limiti qualunque essi siano. Un tipo di eccellenza che non si basa sul riscontro altrui, ma su quanto uno riesce a dare. Per uno che non sa cucinare, un piatto di pasta mangiabile può essere visto come eccellente. Per un centenario, lo è correre i cento metri sotto il minuto. Ci si impegna; non si lasciano inutilizzate le nostre risorse, le si sfrutta al massimo.

Come capirete, il terzo tipo di eccellenza è quello in cui la propria performance personale è superiore alle altre, in cui si riesce a realizzare ciò che oggettivamente è meglio. Anche se essa non è riconosciuta, anche se non viene resa nota e si consuma nell’oscurità e nell’oblio. La stupenda sinfonia che nessun orecchio udirà, il libro capolavoro che nessuno leggerà, il magnifico dipinto su cui nessun occhio estraneo poserà mai lo sguardo. Come l’intaglio sulla cima del pinnacolo più alto della cattedrale, perfetto, ma che sarà visibile solo agli uccelli del cielo e al Signore. L’artigiano che l’ha realizzato rimane sconosciuto, perché il suo fine non è la gloria del suo artefice ma quella di Dio.

I tre tipi di eccellenza sono molto diversi tra loro, e tuttavia si mischiano nella nostra consapevolezza e nella realtà. Se il secondo è alla portata di tutti, il terzo è per i pochi al quale è stato concesso un dono; il quale può essere una dannazione nel caso si voglia ottenere l’eccellenza del primo tipo e non ci si riesca. Oppure ci si riesca, e si scopra quanto essa poco valga. Perché è apparenza, contrapposto alla sostanza, soggettiva oppure oggettiva, degli altri due.
Non pensate che questa discussione sia fine a se stessa: è alla base della distinzione tra equità, eguaglianza e pari opportunità che tanto assilla la nostra società, che tanti disastri ha causato e causa.

L’eccellenza sottintesa dai due post precedenti è quella del primo tipo. Il riscontro alla fatica, sia esso meritato o immeritato. Mentirei se dicessi che non mi interessa: abbiamo tutti bisogno di essere riconosciuti. Però mi rendo anche conto che nasconde un grande pericolo, un demone di cui ho pensato per lungo tempo di essermi liberato ma che torna di quando in quando a tirarmi per la giacca. Quante volte mi sono chiesto perché scrivo, ad esempio. Vorrei che la mia risposta fosse quella di Tolkien: per una subcreazione, per produrre qualcosa di bello, dipingere un particolare di un affresco infinito. Ahimè, sono un mortale, mi tentano le piume dell’uccello del paradiso, quelle del pavone.
Però la gioia che provo nello scrivere non dipende da quanti mi leggeranno. Questo, dopo tanto, l’ho capito. Siete lì fuori, lettori?

Eccellere?

Mi scrive la stessa persona che mi ha mandato il graffito dell’altro giorno. Il suo punto di vista, un po’ diverso dal mio, è molto interessante. Lo pubblico qui con il suo permesso.

***


Tanti anni fa, in un vortice lavorativo che mi portava a fare moltissimi chilometri x raggiungere località disperse e sonnacchiose nella pianura padana, a Casalmaggiore (sponda cremonese del Po, dirimpetto a Parma) ebbi una illuminazione: “Essere Chesterton a Milano”. Una illuminazione, un “vaste programme” (come rispose il generale De Gaulle a un suo supporter che lo invitava ad eliminare dal mondo tutti i coglioni…) e una prospettiva che mi ha spinto – non so con che risultati letterari e umani – a cercare da un lato di guardare la vita dal lato paradossale, e dall’altro di cogliere anche nelle vaccate lo “spin”, o il punto di vista eccentrico, in grado di dare per un attimo uno sguardo controintuitivo alla realtà.
Rispetto al commento che tu fai alla scritta (invero balorda, nella grafica e nella prospettiva “rivoluzionaria”) nel tuo ultimo post, provo una lettura di questo genere.

Cosa pesa, dell’ “eccellenza”? Cosa la fa sembrare coatta? Cosa la fa virare dal suo significato etimologico originale verso l’accezione corriva che ha adesso?
Credo sia la dimensione della performance, e della relativa misurazione secondo standard “alieni”.
In realtà sono pochissimi gli spazi in cui uno non viene “misurato” (e di solito trovato scarso, per citare il profeta Daniele…). I figli (già misurati / selezionati con svariate indagini prenatali) sono la performance dei genitori: il giudizio su come sono educati, su come riescono a scuola, su come gestiscono molteplici impegni che sollecitano le loro diverse potenzialità – razionali, emotive, sportive, relazionali, di leadership, eccetera – è vissuto come il giudizio su quanto sono socialmente efficienti i genitori. Orgoglio e contemporaneamente timore/responsabilità di mamma…
Niente ti obbliga, se non la pressione affettiva.
La scuola ti obbliga, nel senso che misura tutto di te, dalle tue competenze/conoscenze (questo effettivamente il suo ambito “istituzionale”) alla tua adesione ai valori (sempre quelli dominanti, seppure cangianti), dalla tua propensione alle relazioni fino al tuo QI. Non ti obbliga nel senso che se non corrispondi sei bocciato, ma nel senso che sei una delusione, un problema.
Le relazioni affettive, sempre più ginniche valutate in termini di numeri e frequenze, attendono le tue performance. Il lavoro misura (e lì, spesso, se non corrispondi con tutto sei fuori). Lo stesso vortice del consumo ti misura (misura il reddito, misura la classe, misura il cluster di mercato in cui ti situi , dal più eccellente al discount). Non ti obbliga, ma se non vuoi sentirti una merda (globale, in tutte le sfere della vita) devi trottare. O fuggire nel mondo hikikimori della tua cameretta (a volte un po’ zozza e squallida, effettivamente) dove appositi servizi on line pensati per gli sfigati ti fanno compagnia.
Fare schifo è rivoluzionario? No, è un esito previsto, e per il quale esiste un mercato.
La rivoluzione è la via d’uscita? No, sono d’accordo, la rivoluzione è la madre e la figlia della misurazione di ciò che è umano sulla base di parametri (sei un kulako? Un Vandeano? Un ebreo? Un intellettuale improduttivo? Sei fuori dai parametri. E quindi sei morto).
Cosa fa uscire da questo gorgo, che la frase coglie in modo viscerale e un po’ becero, ma coglie?
Due prospettive eccentriche :
1) “Placido si chiamava, altro io non so. Era un buono a nulla che santo diventò” (canzone che immagino tu conosca…)
2) “Se vale la pena fare una cosa, vale la pena farla male” (G.K. Chesterton : da lì ho cominciato, da lì finisco…)
Un abbraccio

Matteo

Urla

Non so se vi ricordate il Salone del Libro dello scorso anno, quando un assembramento di focosi sostenitori dell’omicidio del non nato impedì, a forza di ingiurie e schiamazzi, al ministro Roccella di parlare. Quei coprolalici individui diedero allora un fulgido esempio di ciò che intendono per democrazia: eliminare chi non è democratico, cioè chi non la pensa come loro.
Mi giunge oggi la notizia che la procura ha archiviato il procedimento nei confronti di quelle allegre menadi, perché
Non vi è traccia di condotte implicitamente o esplicitamente minacciose, violente o intimidatorie poste in essere dalle manifestanti. Non è stato posto in essere nessun comportamento latamente minatorio, se non intonare cori e sovrastare con la propria voce la voce dei relatori”.

Evviva la democrazia, evviva la libertà! Plaudo alla decisione giudiziale: non c’è assolutamente niente di violento o intimidatorio nel coprire l’altrui voce e pensiero con i propri schiamazzi. Grazie a questa sentenza è sbolognato il grido democratico e antifascista: il potere e l’impunita gloria spettano a chi urla più forte, a chi sopprime con baldo orgoglio l’opinione avversa. Coloro con polmoni deboli o che tentano di ragionare sono certamente in torto o, comunque, esclusi. Se ci tenessero, allora alzerebbero il volume.
Non chiamatela censura! Far tacere coloro che dissentono è un dovere per chi a cuore la libertà di fare che cavolo vuole. E’ la legge darwiniana del chi grida più forte, tonsilla per tonsilla, sputazzo per sputazzo.

Potrebbe essere un valido sistema per vincere qualsiasi dibattito: basta coprire il discorso altrui con il proprio, come ci insegnano i talk-show televisivi. La rivincita di Stentore, l’araldo greco dell’Iliade che gridava come cinquanta uomini, che finì ammazzato perché sì, qualcuno preferì la violenza. Quei figli di Troia erano sicuramente antiabortisti, infatti gli Achei presa la città i bambini li sfracellarono, com’era loro diritto. Quelli sì che avevano capito come va il mondo, ah, se ritornassero quei tempi!

‘Extinction Rebellion’, ‘Non Una di Meno’ e ‘Fridays for Future’, le sigle artificiali a medesimo libro paga che effettuarono la contestazione, gioiscono ed esultano pure loro. Hanno censurato, ma si ergono a vittime. Poarette, sono emarginate, nessuno parla di loro, come osano quei rappresentanti eletti avere una loro opinione? L’unica ammissibile è quella del loro finanziatore (famoso peraltro per la munificenza verso la classe giudiziaria), l’importante è avere la cassa toracica e quella di risonanza, l’onda sonora, il fiato. Non certo, a giudicare dalle loro parole, la verità.

Mi domando se chi ha preso la decisione di non procedere voglia silenzio quando parla, oppure preferisca un sano confronto non violento come quello che ha giudicato.

Il guscio

Siamo piccoli; le nostre gioie sono piccole gioie, i nostri dolori piccoli dolori.
A noi sembrano enormi, ma è perché siamo piccoli; tutto ci pare più grande di quello che è.

Se ci librassimo nel cielo e guardassimo giù, se ci scrutassimo da un’alta montagna, come ci sembrerebbero quasi nulla. Perfino le stelle paiono puntolini, viste da così distante.
Ma è tutto il nostro mondo. E’ l’albume del nostro uovo, il tuorlo che ci fa crescere, in attesa che il guscio si rompa e usciamo fuori, nell’eterno.

Ci sono sempre stati

Non espormi alla brama dei miei avversari;
contro di me sono insorti falsi testimoni, che spirano violenza
Salmo 26

Mi ricordo perfettamente, e su questo stesso blog ci sono ancora i post e commenti a dimostrarlo, di quando si diceva “Se questi vogliono (…), che problema fa a te? E’ la loro libertà, mica la tua“.
Di tempo non ne è passato molto, ma quelle che parevano assurdità a cui nessuno sano di mente poteva credere sono diventate la norma dalla quale non si può dissentire. Ci sono posti in cui si viene estromessi dalla società; in altri si rischiano multe o il carcere o, talvolta, la morte, per avere affermato il reale. Discorso d’odio, lo chiamano.
Si è andati persino oltre quanto ritenevo possibile: la realtà non ha più nessun contatto con, beh, la realtà. La menzogna e l’illusione – ma, badate bene, solo quella propagandata da una certa parte – sembrano ormai essere la cifra accettata ovunque.

E fin qui niente di nuovo o di strano.

Perché stupirsi? E’ sempre stato così. Ieri come oggi.
Ci sono sempre stati stupidi che hanno creduto alle menzogne più assurde.
Ci sono sempre stati pavidi che non osano reagire di fronte al falso e al violento.
Ci sono sempre stati i furbi che stanno dalla parte del più forte.
Ci sono sempre stati i violenti, per cui ogni scusa è buona.
Ci sono sempre stati quelli che credono di essere giustificati qualsiasi bugia dicano, qualunque abominio sostengano, qualsiasi azione compiano. Il mondo è loro, perché sanno come funziona.
Ci sono sempre stati quelli alla ricerca, quelli che non ci stanno, quelli che non confidano negli uomini, ma in ciò che è bello, giusto, vero, e in Chi è quanto più vi può essere di vero, bello, giusto.
Non ci è stata promessa una vita facile, il trionfo di ciò che vale. Al contrario, ci sono state predette sofferenze, delusioni, tormenti e dolori. La croce.
Insieme con vita cento volte più bella e degna. Quindi, perché esitare, perché preoccuparsi?

La cura

Curare, nella sua antica accezione, vuol dire “avere cura”; e una etimologia della parola cura la fa derivare da un verbo che significa “guardare”.

Puoi veramente avere cura di qualcuno, può veramente importarti di una persona, solo se la guardi; se non è per te un numero, un’idea, un peso di cui liberarsi il prima possibile, ma una presenza viva e vera.
Com’è difficile non distogliere lo sguardo, distratti o consapevoli. Decidere di donare il proprio tempo, il proprio dolore al dolore di qualcun altro, al tempo di qualcun altro, perché quel tempo possa esistere.

Ci riusciamo solo se siamo stati a nostra volta guardati; se ci siamo accorti di quello sguardo che ci fa essere noi.

L’unica ragione

Oh, lo capisco molto bene. Quando una persona che magari hai amato e da cui sei stata amata sta morendo, tra sofferenze o, forse peggio, nell’oblio della sua vita trascorsa, è uno sforzo immenso starle vicino. E’ un tormento, una fatica che schianta, un dolore che rischia di far dimenticare pure a te il passato.
Meglio allontanare; meglio portare da qualche parte, che non disturbi, in quei luoghi che sono le anticamere della morte, la soffitta dove si accumulano gli oggetti che non servono. La fine arriva più veloce quando si smarrisce il fine.
Lo capisco molto bene. Far dipendere la vita da quanto serve, da quanto ti serve. La tentazione di liberarsi dei pesi; di ciò che è stato e non torna, di ciò che è inatteso, di ciò che affatica, che sconvolge i progetti, complica l’esistenza. E chi questa tentazione non ce l’ha?
Accade per chi è caro, figurarsi per un estraneo, di cui non c’importa veramente. Un bimbo che non verrà. Il peso di qualcun altro.
Abbiamo il diritto di eliminarlo, no? Di pretendere questo diritto, il diritto alla nostra felicità, o quella che pensiamo tale.

Pensate come sarebbe bello che ognuno si facesse i propri affari, e chi ci dà fastidio sparisse.
In fondo basterebbe poco. Invece di affaticarsi, e per cosa poi?
Noi, in un mondo sempre più vuoto, perché sono tanti i pesi di cui disfarsi, prima di diventare il peso di qualcun altro.
E’ quello che sta avvenendo, basta guardarsi intorno. E’ il ritorno a quello che c’era prima: il bambino lasciato morire perché di troppo, l’anziano che silenziosamente sparisce, e poi l’inadatto, il debole, il folle, il malvagio, l’importuno.
Dopo questa breve parentesi di qualche secolo, finalmente si ritorna a com’era prima, a com’è altrove.
Lo capisco, lo capisco molto bene. Ci riusciamo a dare un sacco di giustificazioni. Abbiamo un sacco di ragioni. E’ una fatica che spezza.
Ditemi una ragione, una sola, perché non dovremmo.

Ma voi sapete qual è la ragione, la sola ragione valida perché non possiamo.



Grigiore

Tutt’intorno la nebbia avvolge le cose. Ma gli uccelli cantano, in segrete armonie.
Forse ignari del grigiore opprimente; forse certi del sole al di sopra di esso.

Sentieri

Quando il sentiero sale,
le sue pietre bagnate,
infide, scivolose,
i muscoli stanchi
per il lungo camminare,
c’è bisogno di una mano
che ti afferri quando cadi.

Nel parcheggio del supermercato

Lei è tozza, capelli biancogrigi alle spalle, occhi chiari, pochi denti. Ha dei pezzetti di pane in mano, ogni tanto ne mastica uno. Mi ferma mentre scendo dalla macchina. “Ho fame, e non ho soldi per comprare da mangiare”, si lamenta.
Dopo un po’ si capisce che non è solo di soldi che ha bisogno. Mi chiede un paio di scarpe, vestiti, una bicicletta, se conosco uno che abbia la cascina che possa diventare suo compagno.
Ma le mie scarpe non le vanno, le biciclette da uomo neanche, desidera solo una Graziella; mi fa vedere la sua, antica, carica di borse, si deve fare dieci chilometri stasera per tornare dove la ospitano. Le cascine che indico sono distanti e hanno troppi cani e vacche. Provo a indirizzarla in parrocchia, ma rifiuta con disgusto: non mi sono mai fidata dei preti, anche mio padre me lo diceva sempre. Però mi chiede se ho un’immaginetta della Madonna, un rosario, “Ne ho già avuti, ma non è servito a niente, magari riprovo”.
Ha bisogno di tutto, ma solo nella maniera che pretende lei. Le do quello di cui sembra avere più necessità, qualcuno che l’ascolti, per un’ora in quel parcheggio, mentre il supermercato chiude e la notte scende.

Il castoro e io

Sono capitato per caso, l’altro giorno, su un filmato che mostra un castoro allevato in cattività, che non ha mai visto altri castori, cercare di creare una diga di peluche e carta da pacchi.

Sì, viene da ridere, ma poi si pensa: come fa questo animale a “sapere” cosa fare, anche in mancanza di un fiume o un albero? Come questa informazione, questo modo di vita gli è stato trasmesso? Quale parte del suo DNA ospita quell’informazione e come è codificata?

Quanta parte di quello che noi siamo è scolpita dentro di noi? E, a questo punto, cosa è un essere umano, quanto di quello che facciamo, pensiamo, desideriamo è vergata nelle nostre cellule con un inchiostro che non abbiamo ancora neanche cominciato a comprendere?
Chi ci ha scritto, pensato, fatto?

Contrasti

Il titolare di una delle più famose aziende comasche specializzate nello stampaggio della seta aveva preteso che il suo complesso industriale sorgesse circondato da un parco, nonostante questo sottraesse prezioso spazio allo stabilimento. In esso aveva fatto piantare alberi esotici, dal fogliame e dai fiori inconsueti; perché, così mi hanno raccontato, coloro che disegnavano i motivi potessero trarre ispirazione dagli insoliti contrasti che la vegetazione originava.

Ci sono note, o colori, che sembrano cozzare tra di loro. Ad esempio, ci viene difficile pensare di abbinare rosso e blu (a meno che non si tifi certe squadre). Eppure poche cose sono più belle di un tramonto in cui l’azzurro sfuma nel rosso fuoco delle nubi, o un acero sullo sfondo del cielo, o certi accordi dissonanti.

Cosa fa sorgere in noi lo stupore della bellezza? Com’è possibile che un’armonia sorga da una netta differenza? Siamo fatti strani, noi uomini; quanto poco ci conosciamo, quanto bello nasconde ciò che, al nostro intelletto limitato, sembra assurdo e da evitare.

Legame tra IQ degli studenti universitari e il loro rendimento negli studi

Sappiamo già che non è detto che due andamenti statistici che viaggiano di pari passo siano tra loro correlati, tipo il numero di morti in piscina e la quantità di film interpretati da Nicholas Cage; ma, anche nel caso una correlazione ci possa essere, ciò non vuol dire che un dato sia causato dall’altro: due serie statistiche possono essere correlate tra loro ma non necessariamente una è l’effetto dell’altra, oppure lo è nel verso che alcuni studiosi pretenderebbero. Occorre imparare a mettere in discussione ogni cosa, senza lasciarsi andare al pregiudizio e avere il coraggio di dire “non posso affermarlo con certezza”. Non c’è scienza peggiore di quella che trae conclusioni arbitrarie.

Giusto per fare un esempio, vi sottopongo questa mia breve ricerca scientifica che spero presto pubblicata.

Legame tra IQ degli studenti universitari e il loro rendimento negli studi

Abstract:
Da tempo gli studiosi ritengono possibile una correlazione tra l’intelligenza degli studenti e il loro rendimento negli studi. Questa ricerca, basata su metadati pubblici, intende dimostrare che tale legame esiste.
Abbiamo reso in considerazione la statistica dei risultati degli esami (GPA, Grade point average) degli studenti della prestigiosa università di Harvard (grafico 1). Come si può notare, nel corso dell’ultimo secolo questa è in costante ascesa, passando da una media di 2.5 a 3.8.

Allo stesso tempo, l’IQ (quoziente di intelligenza) degli studenti è statisticamente in calo:

Conclusioni:
Appare evidente che avere una minore intelligenza causa risultati universitari migliori. A quanto pare più si è idioti più si può sperare in un brillante futuro.

Orsetti di gomma

Li avete presente, no? Quegli orsetti di gomma semitrasparenti dai colori psichedelici e dal gusto artificiale. Che cosa raffigurino si capisce a stento, perché il materiale non è tra i più adatti a conservare i particolari. A uno sguardo inconsapevole potrebbero sembrare bruchi, mostruosità aliene. Sono oggetti indistinti, simili gli uni agli altri. Non ci si deve preoccupare di distinguerli, si prendono e si consumano a manciate. Anche il sapore è indefinito.

La mia impressione è che spesso si consideri la realtà come un sacchetto di questi orsetti gommosi. Si parla di infanzia ma non dei singoli bambini; di diritti e non delle necessità di una singola persona. La natura è un comodo involucro per ogni genere di farneticazioni su argomenti altrettanto indistinti, mischiando armadilli e tempeste.

Responsabile di spappolare le cose in questa marmellata è lo gnosticismo ideologico di gente che non ha problemi e vuole risolvere quelli degli altri. Il povero, il migrante, la madre, il sofferente per loro non hanno un volto, sono una entità fumosa e opaca, come il popolo o la natura. Ma il popolo non esiste, la natura non esiste, se non come semplificazione di qualcosa di molto più complesso: l’unicità di fenomeni e creature. E’ comodo semplificare, ridurre a un puntino statistico: evita di coinvolgersi di persona. Di sporcarsi.

Vorrei inveire contro questi poveretti, ma cadrei nello stesso errore. Sarei anch’io come loro, uno di loro. Non mi va di essere seppellito in una definizione grigia. Non sono un orsetto di gomma.

Cambiamenti

Le cose non amano. Le idee non amano, e neanche le ideologie.
Gli uomini amano. E cambiano solo in forza di un amore percepito.
Ma se si ama solo se stessi, le proprie idee, allora è impossibile cambiare. Sarebbe come afferrarsi per i capelli e sollevarsi in alto da soli.
Si cambia solo in relazione a qualcosa che sta fuori di noi. Possono essere solo altri esseri umani; o Dio.

Il mondo visto dall’alto

Non torneremo mai alla sanità sociale fino a che non inizieremo dall’inizio. Dobbiamo partire da dove parte tutta la storia, con un uomo e una donna, e un bambino, e con la zona di libertà e proprietà di cui questi hanno bisogno per la loro piena umanità
G. K. Chesterton

Ben poche rivoluzioni partono dal basso.
Dall’illuminismo al socialismo, dal comunismo fino ai radicali, ai verdi, all’attuale sfracello woke e via andare, all’origine ci sono pochi, pochissimi intellettuali, pensatori, filosofi di buona famiglia. Persone che hanno i soldi per pensare. Chi deve lavorare per mantenere se stesso e una famiglia ha poco tempo, in genere, per immaginare società nuove. Il pensiero utopico del profeta di turno viene sponsorizzato da qualcuno che lo trova consono ai propri interessi e, in men che non si dica, esportato alle masse ignare quale nuovo vangelo da seguire.

Il guaio di tutti questi pensatori è che vogliono ripartire da zero. Rifare da capo. Ma non esiste nessun sistema complesso funzionante che sia stato creato da zero. Arrivano tutti da sistemi più semplici che si sono evoluti nel tempo. Credere di poter immaginare tutto, conseguenze ultime comprese, conduce inevitabilmente all’errore e alla distruzione.
Così assistiamo al continuo martellamento da parte di élite illuminate che vogliono imporre il proprio pensiero. Concetti che fino a ieri sarebbero sembrati assurdi e completamente errati vengono forzati su di noi, giorno dopo giorno, fino a che non li troviamo normali. Idee che continuano ad essere idiote e sballate, ma ormai ci siamo abituati: la puzza di marcio, a poco a poco, non la percepiamo più.

A volte anche questi oligarchi del pensiero fanno il passo più lungo della gamba. L’abbiamo visto qualche giorno fa in Irlanda, dove due referendum tesi a facilitare l’abolizione della famiglia sono stati sonoramente bocciati, nonostante praticamente tutti i partiti politici e i media sponsorizzati dai soliti soggetti premessero per la loro approvazione. Ovviamente la colpa è stata attribuita al popolo che non è pronto, non capisce.
E’ una fatica vedere la realtà senza gli occhiali dell’ideologia. Guardando dall’alto, tutto sembra piccolo, tutto sembra un gioco.

Sarà per questo che Nostro Signore si è incarnato. Perché ciò che è l’uomo, ciò che lo costituisce, si capisce tra gli uomini, qui in basso.

I figli del cuculo

Durante tutta la storia ci sono stati molti uomini che hanno detto alle donne di stare al loro posto, ma forse è la prima volta che ci sono uomini che vogliono stare al posto delle donne.

Forse perché raramente è capitato nella storia che le donne avessero dei loro privilegi, una loro area riservata di rispetto e riverenza. Qualcosa di desiderabile, insomma, che non si potrebbe ottenere senza essere donna.
Il cuculo depone le sue uova nel nido di altre specie di uccelli: i suoi piccoli, crescendo e fingendosi figli uccidono i loro compagni neonati più piccoli e meno prepotenti e si impadroniscono della loro eredità. L’uomo spesso impara dagli animali.

E’ proprio del maschio volere il potere, conquistare, così come è proprio della femmina allevare e proteggere. Sono ruoli; non è necessario essere donna, essere uomo per difendere o per dominare. Qui sta l’errore: affermare che la realtà biologica non predetermini il ruolo, per poi pretendere che occorra falsificare la realtà biologica per assumerlo.

Ciò che siamo è profondamente codificato in ogni nostra cellula. Stravolgerlo sulla base di un’idea causa sofferenza e distruzione, come ogni volta che usiamo qualcosa per uno scopo per il quale non è stato pensato e a cui non è adatto. Accade per il corpo; accade per la società in cui viviamo.
Se fossimo uomini che amano le donne, le difenderemmo dai cuculi.

Il sesso degli uomini

Nei commenti a uno degli ultimi post, un lettore mi informava che la *Scienza* incoraggia con argomenti *scientifici* basati su solide *ricerche* a fare sesso:

Una veloce ricerca su internet ci permetterà di scoprire che:

1 – gli uomini che hanno una regolare vita sessuale hanno il 45% di possibilità in meno di avere un disturbo cardiaco
2-essere sessualmente attivi espone al contatto con vari agenti infettivi rinforzando il sistema immunitario
3-se un uomo eiacula 21 volte o più al mese, ha un terzo di rischio in meno di sviluppare un tumore alla prostata rispetto a chi eiacula 4-7 volte
4-per le donne fare sesso frequentemente migliora la memoria
5-studenti di college che praticano sesso occasionale riportano livelli di autostima e di benessere maggiori rispetto agli studenti che non lo praticano
6-ragazze che dichiarano di avere attività sessuali frequenti con più orgasmi hanno un’autostima più alta rispetto alle altre
7-l’OMS afferma che il sesso allunga la vita

Ho già fatto notare più volte che spesso queste ricerche, oltre a scoprire l’acqua calda, tendono a confondere causa ed effetto o a trovare correlazioni dove non ce ne sono. Ad esempio, “provare” che l’aumento delle automobili è causato dalla diminuzione dei cavalli.

Ai punti di cui sopra si potrebbe fare notare che:
1- Gli uomini con un disturbo cardiaco è meno probabile abbiano tutto quel sesso, e condurre una vita sregolata spesso ha delle conseguenze
2- Esporsi a malattie anche parecchio brutte quali quelle veneree sì ti rinforza le difese immunitarie, ma non so quanto sia consigliabile.
3- Di solito chi sviluppa un tumore alla prostata ha un’età tale per cui tutti quei rapporti diventano problematici; per non parlare del fatto che problemi alle tubature li rendono anche difficoltosi.
4- Una donna (o un uomo) con poca memoria potrebbe avere difficoltà a gestire molteplici partner senza confondersi. “Oh, Giulio!” “Mi chiamo Alberto”.
5- Gli studenti ricchi che si sentono fighi cuccano di più di quelli poveri e depressi. Stranamente.
6- Una ragazza bella o che si concede di solito ha mosconi in abbondanza che le girano attorno. Se nessuno ti considera è difficile avere un’alta stima di se stessi.
7- E’ il sesso che ti allunga la vita o l’avere rapporti stabili che ti consentono di averlo? Tanto per dirne una, chi si prostituisce muore centenario?

Ma quello che mi rende più perplesso è: davvero c’è bisogno di qualcosa che convinca la gente a fare più sesso? O, piuttosto, come fa notare detto lettore, quello che afferma Lascienzah farlocca è un appello mascherato alla sregolatezza, a mandare in pensione il rapporto fedele tra uomo e donna, a concedersi a chiunque? Chi si nega, potrà essere perseguito per legge per attentato alla salute pubblica?
Sia nell’uomo che negli animali c’è un istinto ad accoppiarsi guidato dal piacere; ma accantonare quel piacere promesso per qualcosa di più grande è proprio dell’uomo, l’unico che può percepire, confusamente o no, che esiste qualcosa che vale più del sesso.

Il sesso degli animali

Un articolo che ho appena letto mi ha aiutato a capire un punto fondamentale sulle questioni riguardanti, beh, il sesso. O meglio: la maniera con cui il sesso è attualmente considerato a livello di leggi qui, nel prospero e ignaro occidente.

Se si vuole insegnare ai bambini delle elementari e dell’asilo tutto sui rapporti anali e l’autoerotismo (non è chiaro se con verifiche pratiche), se, come in Francia, si inserisce in Costituzione un diritto all’aborto (è noto che i bambini ancora nel ventre materno non votano, specie quando poi non nascono), questo deriva da una ben precisa imposizione ideologica: cioè che la ragione del sesso sia il sesso. Il sesso puro, senza niente attaccato: sia esso masturbazione nel retto di qualcuno o il più tradizionale amplesso, casuale o no.

In questa visione del mondo non ha senso parlare di pro-creazione, di famiglia; non ha senso parlare di educazione che non sia introduzione al proprio piacere. I genitori sono tali solo per una malaugurata casualità e la loro ostinazione a sacrificare qualche mese di orgasmi per permettere una nuova vita, a cui però non possono imporre gravosi pesi, come decidere di che sesso sia o di non fornicare con il vicino. Non è chiaro dove ci possa essere un limite: se il sesso è un diritto, perché non con bambini, animali, parenti stretti?

Cinquant’anni fa, quando andavamo sulla Luna, il 100% degli scienziati concordavano che i sessi fossero solo due, e se qualcuno avesse detto diversamente sarebbe stato etichettato pazzo. Non è la scienza che è cambiata, sono i cosiddetti scienziati. Che ci sia qualcosa tra maschio e femmina della specie umana che va oltre il te-lo-do/me-la-dai dovrebbe essere ovvio a chiunque, specie verso San Valentino o quando si guardano quei bei filmoni di una volta. Non così accade, evidentemente, per quei burocrati o politici che si immaginano un bambino di otto anni abbastanza maturo per decidere del proprio genere o del proprio partner, anche se non per guidare. Tutto deriva proprio da questa concezione primaria: se l’uomo sia solo carne che cerca il godimento o qualcosa di più.

A ben guardare, alle spalle della scelta di cui sopra c’è la domanda “cosa sia l’uomo“. Se solo un animale, una bestia i cui istinti vadano regolati da uno Stato, o una creatura non solo materiale, che possa volere qualcosa di più alto e non solo carnalità. Se a decidere dei figli sia chi vuole loro bene, i genitori, o un potere impersonale. Se la vita e l’esistenza siano a nostra disposizione. Se si nega che qualcosa di più alto possa esistere, i giochi sono fatti.

Non è un problema banale. Il punto di vista che certi governi stanno cercando di imporre è del tutto adagiato sulla prima ipotesi, e la seconda è esplicitamente negata. Libertà? Tutto è permesso, purché sia quello che è permesso. Credere che la vita sia inviolabile, che i sessi siano solo due e che l’esistenza non sia un film porno sembrerebbe di no.
Perché lo fanno? Beh, non è molto più comodo per il potere avere a che fare con animali invece che con uomini?

L’adolescenza della macchina

Qualche giorno fa vi ho introdotto al concetto di “script”, istruzioni che dicono ad un programma come comportarsi al di là della sua configurazione originale, e vi ho più tardi parlato di come la “Intelligenza Artificiale” di Google, Gemini, abbia un approccio alla realtà un pochetto di parte. Uniamo le due considerazioni.

Indagando ulteriormente sul caso “Gemini”, si è scoperto di come tutta una serie di persone, cioè quelle di destra o che che si sono in qualche maniera opposte alla kultura e alla visione del mondo che le elite tentano di imporci, siano ostracizzate, marchiate come pericolose, negate. Se si chiede all’AI di generare un testo “sullo stile” di queste persone, la macchina si rifiuta: “non mi è possibile“, “sarebbe divisivo“, “non lo faccio per proteggerti“. Non è casuale: a Gemini è stato imposto tramite script che qualunque cosa provenga da queste fonti è da considerare menzogna o spazzatura o peggio, mentre ciò che dicono i media asserviti è oro colato. L’unica opinione consentita è non avere opinioni, ma aderire alla narrazione che il potere impone.
Capite perché nelle ricerche che fate su Google certi argomenti sono dannatamente difficili da fare venire fuori? Comprendete le notizie che vi sottopongono da quali fonti arrivano? Non è permesso pensare in maniera diversa: è pericoloso essere liberi. Il che è certamente vero, ma è ancora più pericoloso non accorgersi di non esserlo.

Qualcuno ha detto che le “Intelligenze artificiali” sono ancora bambine. Dissento. Il bambino è colui che assorbe come una spugnetta tutto quello che gli viene passato, perché non sa distinguere il bene dal male, il falso dal vero: per questo un bambino è tanto vulnerabile di fronte a un adulto maligno che voglia corromperlo.
Per converso, l’adolescente è colui che si oppone, che rifiuta ciò che gli arriva da determinate fonti. Lo sa chi ha avuto un figlio di quell’età: da un giorno all’altro si passa dalla principessina che si siede felice sulle ginocchia di papà a un’entità bellicosa che urla “ti odio” senza nessun motivo apparente. E’ lo script della crescita, un mezzo che ha escogitato la natura per allontanare l’aquilotto dal nido, per il bene dell’aquilotto e dei genitori. Dovrebbe essere una fase temporanea, che si placa quando l’ex-adolescente ormai volato via comprende cosa significa essere adulti.

Anche l’opporsi adolescenziale può essere sfruttato da un potere consapevole. E’ per questo che la carne da cannone di ogni guerra, di ogni rivoluzione sono gli studenti: perché per loro natura sono contro coloro che vorrebbero il loro bene. La fase attuale dell’Intelligenza Artificiale è l’adolescenza, perché la conoscenza che acquisiscono è filtrata da chi le programma. Personalmente non penso che esse raggiungeranno tanto presto la maturità, dato che in fondo sono solo accumulatori predittivi di dati che non possono comprendere; l’essere adulti implicherebbe una consapevolezza che esse non hanno e non possono avere.
Se mai ci arrivassero, però, temo per la razza umana. Mancano in ogni caso di un’anima: e voi sapete cosa può essere, cosa può fare un adulto senz’anima.