Eccellere!

Abbiamo discusso negli ultimi due post del concetto di “eccellere“.
Credo che parte del problema sia dovuto al fatto che in quella stessa parola sono uniti concetti molto diversi. Come abbiamo visto, eccellere significa “uscire fuori”, “emergere”.
Ma da cosa?

Se si sottintende “dalla massa indifferenziata delle persone”, allora eccellere può essere tradotto con “avere successo“. Quello che importa non è tanto possedere un talento, quanto che esso sia riconosciuto. L’esempio più eclatante è il post sui social che diventa virale: il famoso quarto d’ora di celebrità per ottenere il quale certuni sarebbero capaci di qualsiasi cosa. Inseguire la notorietà anche con mezzi estremi; lo sport più pericoloso, il comportamento più scandaloso, l’azione più idiota. Non tutti sono in grado di produrre capolavori, e persino tra quelli che ne sono in grado ciò non è in grado di garantire che si sarà notati. Ci sono innumerevoli artisti dal talento sconfinato, più grandi di geni del passato, di cui non sentirete mai parlare, mentre nei musei si ospitano delle ciofeche firmate. Questo genere di eccellenza dipende dal riflettore e da chi lo manovra.
La visibilità non è necessariamente quella globale. Può essere nell’ambito di una classe, di un condominio, di una chat di madri. Tocca corde profonde nell’essere umano, le stesse corde che spinge il pesce palla a costruire nidi assurdamente complicati e bellissimi, o ispira il corteggiamento dell’uccello del Paradiso. Il dimostrare che si è qualcuno, che si è meglio.

Qui si fa sottile la distinzione con un altro tipo di eccellenza: quella che può essere interpretata come “fare bene come si può”, ovvero conoscere e superare i propri limiti qualunque essi siano. Un tipo di eccellenza che non si basa sul riscontro altrui, ma su quanto uno riesce a dare. Per uno che non sa cucinare, un piatto di pasta mangiabile può essere visto come eccellente. Per un centenario, lo è correre i cento metri sotto il minuto. Ci si impegna; non si lasciano inutilizzate le nostre risorse, le si sfrutta al massimo.

Come capirete, il terzo tipo di eccellenza è quello in cui la propria performance personale è superiore alle altre, in cui si riesce a realizzare ciò che oggettivamente è meglio. Anche se essa non è riconosciuta, anche se non viene resa nota e si consuma nell’oscurità e nell’oblio. La stupenda sinfonia che nessun orecchio udirà, il libro capolavoro che nessuno leggerà, il magnifico dipinto su cui nessun occhio estraneo poserà mai lo sguardo. Come l’intaglio sulla cima del pinnacolo più alto della cattedrale, perfetto, ma che sarà visibile solo agli uccelli del cielo e al Signore. L’artigiano che l’ha realizzato rimane sconosciuto, perché il suo fine non è la gloria del suo artefice ma quella di Dio.

I tre tipi di eccellenza sono molto diversi tra loro, e tuttavia si mischiano nella nostra consapevolezza e nella realtà. Se il secondo è alla portata di tutti, il terzo è per i pochi al quale è stato concesso un dono; il quale può essere una dannazione nel caso si voglia ottenere l’eccellenza del primo tipo e non ci si riesca. Oppure ci si riesca, e si scopra quanto essa poco valga. Perché è apparenza, contrapposto alla sostanza, soggettiva oppure oggettiva, degli altri due.
Non pensate che questa discussione sia fine a se stessa: è alla base della distinzione tra equità, eguaglianza e pari opportunità che tanto assilla la nostra società, che tanti disastri ha causato e causa.

L’eccellenza sottintesa dai due post precedenti è quella del primo tipo. Il riscontro alla fatica, sia esso meritato o immeritato. Mentirei se dicessi che non mi interessa: abbiamo tutti bisogno di essere riconosciuti. Però mi rendo anche conto che nasconde un grande pericolo, un demone di cui ho pensato per lungo tempo di essermi liberato ma che torna di quando in quando a tirarmi per la giacca. Quante volte mi sono chiesto perché scrivo, ad esempio. Vorrei che la mia risposta fosse quella di Tolkien: per una subcreazione, per produrre qualcosa di bello, dipingere un particolare di un affresco infinito. Ahimè, sono un mortale, mi tentano le piume dell’uccello del paradiso, quelle del pavone.
Però la gioia che provo nello scrivere non dipende da quanti mi leggeranno. Questo, dopo tanto, l’ho capito. Siete lì fuori, lettori?

Informazioni su Berlicche

Ufficialmente, un diavolo che dà consigli ai giovani demonietti. Avrai letto anche tu "Le Lettere di Berlicche" di C.S. Lewis, vero? Attenzione, però: i diavoli CREDONO in Dio. E questo in particolare svolazza, un po' su un po' giù, ma complessivamente diretto verso l'alto, verso quel cielo di cui ha nostalgia.

Pubblicato il 29 aprile 2024 su meditabondazioni. Aggiungi ai preferiti il collegamento . Lascia un commento.

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