Eccellere?

Mi scrive la stessa persona che mi ha mandato il graffito dell’altro giorno. Il suo punto di vista, un po’ diverso dal mio, è molto interessante. Lo pubblico qui con il suo permesso.

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Tanti anni fa, in un vortice lavorativo che mi portava a fare moltissimi chilometri x raggiungere località disperse e sonnacchiose nella pianura padana, a Casalmaggiore (sponda cremonese del Po, dirimpetto a Parma) ebbi una illuminazione: “Essere Chesterton a Milano”. Una illuminazione, un “vaste programme” (come rispose il generale De Gaulle a un suo supporter che lo invitava ad eliminare dal mondo tutti i coglioni…) e una prospettiva che mi ha spinto – non so con che risultati letterari e umani – a cercare da un lato di guardare la vita dal lato paradossale, e dall’altro di cogliere anche nelle vaccate lo “spin”, o il punto di vista eccentrico, in grado di dare per un attimo uno sguardo controintuitivo alla realtà.
Rispetto al commento che tu fai alla scritta (invero balorda, nella grafica e nella prospettiva “rivoluzionaria”) nel tuo ultimo post, provo una lettura di questo genere.

Cosa pesa, dell’ “eccellenza”? Cosa la fa sembrare coatta? Cosa la fa virare dal suo significato etimologico originale verso l’accezione corriva che ha adesso?
Credo sia la dimensione della performance, e della relativa misurazione secondo standard “alieni”.
In realtà sono pochissimi gli spazi in cui uno non viene “misurato” (e di solito trovato scarso, per citare il profeta Daniele…). I figli (già misurati / selezionati con svariate indagini prenatali) sono la performance dei genitori: il giudizio su come sono educati, su come riescono a scuola, su come gestiscono molteplici impegni che sollecitano le loro diverse potenzialità – razionali, emotive, sportive, relazionali, di leadership, eccetera – è vissuto come il giudizio su quanto sono socialmente efficienti i genitori. Orgoglio e contemporaneamente timore/responsabilità di mamma…
Niente ti obbliga, se non la pressione affettiva.
La scuola ti obbliga, nel senso che misura tutto di te, dalle tue competenze/conoscenze (questo effettivamente il suo ambito “istituzionale”) alla tua adesione ai valori (sempre quelli dominanti, seppure cangianti), dalla tua propensione alle relazioni fino al tuo QI. Non ti obbliga nel senso che se non corrispondi sei bocciato, ma nel senso che sei una delusione, un problema.
Le relazioni affettive, sempre più ginniche valutate in termini di numeri e frequenze, attendono le tue performance. Il lavoro misura (e lì, spesso, se non corrispondi con tutto sei fuori). Lo stesso vortice del consumo ti misura (misura il reddito, misura la classe, misura il cluster di mercato in cui ti situi , dal più eccellente al discount). Non ti obbliga, ma se non vuoi sentirti una merda (globale, in tutte le sfere della vita) devi trottare. O fuggire nel mondo hikikimori della tua cameretta (a volte un po’ zozza e squallida, effettivamente) dove appositi servizi on line pensati per gli sfigati ti fanno compagnia.
Fare schifo è rivoluzionario? No, è un esito previsto, e per il quale esiste un mercato.
La rivoluzione è la via d’uscita? No, sono d’accordo, la rivoluzione è la madre e la figlia della misurazione di ciò che è umano sulla base di parametri (sei un kulako? Un Vandeano? Un ebreo? Un intellettuale improduttivo? Sei fuori dai parametri. E quindi sei morto).
Cosa fa uscire da questo gorgo, che la frase coglie in modo viscerale e un po’ becero, ma coglie?
Due prospettive eccentriche :
1) “Placido si chiamava, altro io non so. Era un buono a nulla che santo diventò” (canzone che immagino tu conosca…)
2) “Se vale la pena fare una cosa, vale la pena farla male” (G.K. Chesterton : da lì ho cominciato, da lì finisco…)
Un abbraccio

Matteo

Informazioni su Berlicche

Ufficialmente, un diavolo che dà consigli ai giovani demonietti. Avrai letto anche tu "Le Lettere di Berlicche" di C.S. Lewis, vero? Attenzione, però: i diavoli CREDONO in Dio. E questo in particolare svolazza, un po' su un po' giù, ma complessivamente diretto verso l'alto, verso quel cielo di cui ha nostalgia.

Pubblicato il 27 aprile 2024 su meditabondazioni. Aggiungi ai preferiti il collegamento . 1 Commento.

  1. A mio parere il graffito è uno dei tanti modi usati per diseducare, insieme ad altre idee o considerazioni con cui ci bombardano.

    secondo me è bello fare tutto al meglio, anche spalare il letame.

    A. K. Koomaraswamy definisce l’artifex, l’artigiano, come colui che fa qualcosa per dare gusto a chi poi beneficia di ciò che lui ha prodotto. Così può diventare artista chiunque, dal contadino allo scrittore, che per fare usa la sua arte. Forse questa è una eccellenza che non pesa

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