La guerra è bella anche se fa male

La guerra è bella anche se fa male
De Gregori, “Generale”

Mi chiedo se lo stillicidio di filmati di guerra su internet e in televisione sia un poco l’equivalente di andare a vedere i gladiatori.
Si sa, era uno spettacolo molto gettonato. Si pagava per guardare gente che si scannava, il sangue sulla sabbia e le budella di fuori, e magari ci stava anche qualche supplizio.

Avevamo i reality show, ma non sono abbastanza violenti. Per fortuna che c’è la guerra a ipnotizzarci con carri armati che saltano per aria, i loro occupanti a bruciare all’interno, e poveretti dentro trincee mentre droni assassini tirano loro in testa granate.

Perché l’uomo è affascinato dalla violenza anche quando la nega a parole. Siamo delle scimmie omicide; guardare come si uccide il prossimo può tornare utile ed è sempre divertente.

Dio ha provato a cambiarci, ma la pace non è abbastanza coinvolgente. Dopo un po’ annoia, diciamocela tutta. E quindi andiamo in cerca della prossima clip di battaglie, possibilmente che si svolgano altrove. Di certi show meglio essere solo spettatori e non protagonisti.

Piccole pretese

Lo scopo dell’Universo è dare una risposta a tutte le domande.
Infatti nel tempo e nello spazio tutte le domande hanno una loro risposta. Che noi non riusciamo a conoscerla è solo un particolare.

In altre parole l’Universo nel suo divenire è verità, perché la realtà non ammette il falso, altrimenti non sarebbe realtà.
Il negare il vero è possibile solo di fronte ad una conoscenza incompleta. Ne consegue che chi fa l’Universo deve conoscere ogni verità, coincide con la verità.

Ogni volta che consapevolmente neghiamo ciò che è vero, ciò che è reale, neghiamo lo scopo di ciò che ci circonda, e Colui che l’ha fatto; neghiamo anche il nostro scopo, cioè accettiamo un di meno per noi stessi.

Ma ciò che è, è più forte; è eterno, è vero. Noi non possiamo cambiarlo, perché è scolpito nell’onda del tempo e dello spazio che all’infinito si espande in ogni istante, in ogni luogo. Quanto arroganti ed insignificanti siamo, nelle nostre piccole pretese.

Le parole degli uomini

Le promesse di un politico, ormai lo sappiamo, valgono anche meno della carta di giornale che le riportano. Degli spergiuri degli amanti anche Giove ride, testimoniano Ovidio e Shakespeare. E i nostri giuramenti, le nostre promesse, quanto durano? Siamo esseri mortali e ingannatori; e spesso coloro che inganniamo di più siamo noi stessi.
Quanti voti infrangiamo, quante scuse accampiamo.
Non ci rendiamo conto che il nostro valore è esattamente quello delle promesse che manteniamo.

Nella Bibbia, Dio spesso dice: giuro per me stesso. Dio è verità: la Sua parola è Legge, la Sua promessa eterna, la Sua fedeltà dura nei secoli.
L’amore è una scelta: la concordanza tra il nostro cuore e le nostre azioni.
Solo appoggiandosi su ciò che è eterno le nostre parole di uomini possono rimanere vere.
Nonostante i tempi, gli altri, e noi.
.

“Promettete di amarvi e rispettarvi l’uno con l’altro fino a che diventa sconveniente, o ne siete stanchi, o arriva qualcuno di più eccitante, o semplicemente non vi divertite più?”

Un angolo del tempo

“Io ero…” iniziò.
“No”, dissi. “Il passato è perso per sempre, e non ha una grande importanza. E’ un lamento che si spegne, un vento che è cessato. Il suo unico scopo è averti portato qui, in questo angolo del tempo. Tutto ciò che importa è cosa sei in questo istante, è il tuo presente. Chi sei, ora”.

Siamo persi (ma stiamo facendo un buon tempo)

Quando ero ragazzo avevo visto un adesivo da paraurti che mi era piaciuto. Vi era scritto sopra così:

Mi sono perso (ma sto facendo un tempo record).

La frase, pur risalendo a settantacinque anni fa, mi sembra indicativa del momento attuale. Si è persa ogni prospettiva e ogni direzione, non si capisce dove stiamo andando. Non solo, neanche si comprende dove dovremmo andare. Dove siamo diretti non sappiamo, però, accidenti, quanto andiamo veloci.

Non ci sono più mappe, perché sono state tutte stracciate. Non ci si può neanche fermare a chiedere, perché non ci si fida delle risposte. Quando lo facciamo, ci ritroviamo peggio di prima, perché chi ce le dà è più perso di noi.

Questo smarrimento è uno degli effetti della perdita della verità. Se non esiste, perché cercarla? Ci si muove a casaccio senza più neanche la speranza, perché per averla si dovrebbe sperare in qualcosa, ma non si sa più cosa. Senza di essa non rimane che la paura.

Un tempo si manifestava per il cambiamento: ora perché si ha paura di esso, sia climatico che delle nostre idee fossili. Avanziamo progressivamente all’indietro, disfacendo sempre più rapidamente cioè che era stato pazientemente intessuto nei secoli.

Quanto siamo perduti, se nessuno ci viene a cercare. Se nessuno ci salva. Purché non fuggiamo pure da lui, senza sapere perché, ma facendo un buon tempo nel nostro correre verso il nulla.

I capelli nelle vecchie foto

Ciao, mi saluta. Io la guardo perplesso. Dove l’ho già vista?
Legge lo sconcerto nei miei occhi, mi dice il suo nome. La realtà si riallinea. Uscivamo insieme, come amici, trenta e passa anni fa. Poi lei si è sposata, si è trasferita altrove. Come ho fatto a non riconoscerla?

La risposta è semplice: è invecchiata. Come sono invecchiato io, ma probabilmente nel mio caso il tempo non ha cambiato poi molto. Se questo sia perché apparivo già anziano da giovane, lo lascio decidere a chi mi conosce. In ogni caso mi ci vuole un certo sforzo per sovrapporre le immagini mentali sue di allora e di adesso.

Forse capita anche a voi di guardarvi attorno e cercare volti del passato, chiedendovi se li riconoscereste. Come siano ora, dove siano, se ancora ci ricordano, mentre fatichiamo ad associare volto e nome.

Nelle foto di un tempo siamo tutti assurdamente giovani. Il capello scuro, la pelle liscia, lo sguardo spalancato sul futuro. L’età ci ha bombardato e di noi restano rovine. D’altra parte, coloro che il tempo non può più toccare resteranno oramai sempre uguali al loro ultimo ricordo. Tanti, sono.

Mi guardo nello specchio e riconosco a stento quello della foto. Chi era?
Ma certo, sono io.

Sovrannaturale

soprannaturale agg. [comp. di sopra- (o sovra-) e naturale]. – che supera il corso ordinario della natura o che trascende i limiti dell’esperienza e della conoscenza umana.

Il soprannaturale è ciò che trascende i limiti dell’esperienza e della conoscenza umana, o ciò che consideriamo ordinario. Millenni fa, i fulmini erano soprannaturali, come anche il movimento degli astri. Il fatto che la conoscenza umana, crescendo, sia giunta a comprendere nell’orizzonte naturale quei fenomeni, ha fatto pensare che tale espansione potesse essere estesa ad ogni incognita che ancora ci presenta l’universo.

Ora come ora, ad esempio, l’insieme dei fenomeni la cui causa è nota come materia oscura rientra nel soprannaturale; di questa non riusciamo a farne esperienza e la nostra conoscenza di cosa sia davvero è praticamente nulla. Non la riconosciamo come soprannaturale solo perché tale termine è stato distorto da interessati detrattori, che hanno associato ad esso miti, leggende, e la religione come bersaglio ultimo.

Se io ipotizzassi che ciò che va sotto quel nome, materia oscura, non sia altro che una entità intelligente, che agisce per i suoi scopi sconosciuti influenzando la rotazione delle galassie, c’è chi potrebbe bollare la mia idea come spazzatura soprannaturale; ma la verità è che ciò è dimostrabile esattamente come tante altre tesi a riguardo che ho letto nel corso degli anni. Ovvero, attualmente non lo è. Ma una tale entità, se esistesse, una volta conosciuta, non rientrerebbe forse anch’essa nell’ordine naturale? Se no, dovremmo concludere la soprannaturalità di chi svuota i cassonetti dell’immondizia, ammesso che per nostra pigrizia non lo cogliessimo mai sul fatto. Qualcuno che si libra nell’aria, fa parte del soprannaturale o sfrutta conoscenze che noi non possediamo?

Per l’uomo di un tempo la creazione da parte di una divinità rientrava tranquillamente nel naturale, non nel soprannaturale. Esattamente come noi riteniamo naturali le leggi che governano la fisica, anche se non sappiamo spiegare perché siano così, chi le abbia fatte, i valori delle loro costanti. Prendiamo il loro esserci come dato di fatto, e ci guardiamo bene dall’interrogarci su di esso, quando tutto ciò è chiaramente soprannaturale.

Perché siamo diventati incapaci di riconoscerlo, il sovrannaturale. Non sappiamo spiegare niente di ciò che esiste, il tempo, lo spazio; ma ci comportiamo come se sapessimo tutto e perciò niente possa esistere al di fuori di ciò che già sappiamo o crediamo di sapere. Mentre il soprannaturale è come le radici di una pianta, la quale non potrebbe stare in piedi se fossero eliminate. Anche se non le vediamo, sotto terra queste radici ci sono.

Il rifiuto del soprannaturale, oggi, parte dal negare che il naturale sia oggettivo, e quindi non manipolabile; e viene negato proprio perché non si riconosce che possa esistere un sovrannaturale da cui dipende. Non si riesce a comprendere che la realtà è composta di una parte sensibile e una parte sovrasensibile che la informa, e le due non sono scollegate. Anzi.

Se, ad esempio, nego la dualità uomo\donna è perché nego che la realtà abbia un fondamento differente da quello che è il mio pensiero, e quindi rifiuto pure il dato sensibile (es. il DNA, o l’esperienza quotidiana) perché non collima con la mia idea. Si rifiuta la legge perché si nega la sua esistenza, e si nega la sua esistenza perché non si vuole riconoscere che essa viene scritta al di fuori del nostro dominio e della nostra comprensione.
Il risultato è negare la conseguenza della legge, che è il reale, con risultati paradossali e spesso dolorosi.

La cosa buffa è che il naturale genera per forza un sovrannaturale, delle radici, per potersi giustificare. Quindi, per mantenere la finzione, si è obbligati a inventare un sovrannaturale assolutamente velleitario, negandone nello stesso tempo l’esistenza, e a cercare di imporlo con la forza, visto che fa a pugni con ciò che esiste. Questo processo si chiama ideologia. Chi lo pratica lo nega, tanto è assorbito dalla sua illusione di onnipotenza, dal suo delirio di conoscere ogni cosa. Ma cosa risponde quando gli viene chiesto conto della propria sicurezza?

Naturalmente, o meglio sovannaturalmente, niente.

In mezzo al nulla

Siamo passati da “Prendete la strada che porta a Dio”

a “Tutte le strade portano a Dio”

a “In fin dei conti, che ha poi questo Dio d’interessante che ci dobbiamo andare?”

Siamo finiti di notte, nella pioggia, con la macchina che non parte, su una buia strada sterrata in mezzo al nulla.

Perché sappiamo

L’esistenza della verità oggettiva è il solo sottile diaframma che ci protegge dalla tirannia dei potenti.
Il credere ad essa è ciò che rende possibile un’obbedienza che non sia schiavitù.
L’agire secondo essa l’unica cosa che ci separa non dagli animali, che sono innocenti, ma dall’essere cattivi uomini.
Perché solo poiché siamo uomini sappiamo.

Nitida stella

Nitida stella, alma puella, Tu es florum flos;
o Mater pia, Virgo Maria, ora pro nobis.
Nitida stella, fanciulla che dà vita, tu sei il fiore dei fiori;

o Madre pia, Vergine Maria, prega per noi.
Canto anonimo XV secolo

nìtido agg. [dal lat. nitĭdus, der. di nitēre «splendere»; cfr. netto]. – Pulito, limpido, quasi lucente

Mentre intonavo questo antico canto, pensavo alla stella della sera in un cielo limpido, quale tante volte ho visto splendere sopra le violacee montagne del tramonto. Nitida stella, un punto di luce che è riferimento e guida, chiara e netta contro lo sfondo buio del firmamento.

Quand’è che una stella cessa di essere nitida ai nostri occhi? Quando è nascosta dalla nuvole, o dalla nebbia, o dalle luci artificiali che scacciano la notte con il loro freddo anonimo bagliore. E, ancora, quando il nostro sguardo diventa miope, come è purtroppo il mio, e ci appare di lei solo un’immagine sfocata.

Ma la stella continua a brillare, sopra i fumi e le luci che la vogliono soffocare, visibile da tutti coloro che si levano più in alto della foschia, hanno gli occhi buoni, e vogliono guardare.

L’ingegnere e l’unicorno

Quando dissi al mio professore di matematica delle superiori che sarei andato a fare ingegneria, mi disse “Tu sei matto”.
Sì perché, se potevo vantare voti molto alti in italiano e disegno, certamente non lo stesso nella sua materia, anzi. Che fosse in qualche maniera anche dovuto al suo modo di insegnare non credo che l’abbia mai compreso. Però, nella circostanza, non aveva tutti i torti. E’ un po’ una pazzia rinunciare volontariamente ai propri punti forti per… diciamo una diversa prospettiva.
Il punto è che io sono sempre stato un intuitivo. Prevedevo il risultato con largo anticipo, e quasi sempre ci azzeccavo; però, quanto a dimostrarlo… eh, lì stava il problema. La matematica, o l’ingegneria, se ne fanno un baffo delle intuizioni. Vogliono procedimenti rigorosi.

Laurearmi in ingegneria mi è servito a imparare questo. Comprendere la necessità di esaminare i dati e la realtà in modo rigoroso per potere dimostrare con certezza che l’intuizione iniziale è vera. O falsa, se è per questo. Un metodo, insomma. Perché, se i calcoli dicono altrimenti, la tua intuizione è sbagliata.

Così proprio non sopporto tutte le chiacchere da imbonitori che ci hanno riversato e ci riversano addosso su argomenti come i vaccini o la cosiddetta emergenza climatica. Se tu sostieni qualcosa, non puoi farlo con “io l’ho detto, e se lo dico io che sono…“, o “la scienzah ha detto, quindi non sono ammessi dubbi…“. Quando ascolto discorsi del genere, nel 99% dei casi chi parla sono dei cretini, degli ignoranti, o sono imbroglioni. Mostrami i tuoi calcoli, fammi vedere i tuoi dati e, dopo che li avrò analizzati, vedrò se crederti. La scienza senza sperimentazione non esiste. La parola degli uomini vale molto poco, anche quando si dicono esperti. Talvolta, proprio perché si dicono esperti.

Ad esempio, prendete l’analisi ingegneristica delle pretese del “green deal”. Quelle per cui entro pochi anni dovremmo convertire tutti i veicoli ad elettrici, dismettere petrolio e metano e vivere tutti beati tra pale che girano e pannelli solari.
Per andare subito al sodo: è impossibile. A meno che qualcuno non inventi il “Mr. Fusion” di “Ritorno al futuro”, e questa scoperta venga sviluppata e commercializzata a stretto giro, con la tecnologia attuale non c’è modo di implementare quanto sopra. Dovessero tutti i cerebrolesi del mondo spargere purea su ogni capolavoro nei musei frignando che non capiamo.

Qualche piccolo dato, qualche calcolo reale, fatti da ingegneri inglesi e finlandesi. La prima è una presentazione video, la seconda un documento molto accurato e completo pieno di notizie molto interessanti. Sostanzialmente giungono alle stesse conclusioni. Che dicono?

Per convertire in elettrico entro domani tutte le auto circolanti in Italia occorrerebbero più di 250.000 tonnellate di cobalto, un poco più del doppio della produzione mondiale annua, e sopra 300.000 tonnellate di litio, praticamente quanto estratto in un anno. E ancora, 9000 tonnellate di neodimio, più di quanto le miniere forniscono in dodici mesi; e oltre tre milioni di tonnellate di rame, quasi un quarto della produzione annuale. Per gli Stati uniti, l’analogo costo in cobalto sarebbe dieci volte superiore – ad esempio, quando si estrarrebbe in vent’anni, sempre ammesso ce ne sia tanto.
In altre parole, gli obbiettivi dell’EU di avere il 30% dei veicoli circolanti elettrici per il 2030 è una stronzata tecnicamente impossibile, perché eccede le riserve mondiali di litio e cobalto. Non parliamo del “NET Zero”. Considerando il ciclo di vita della batterie di un decennio circa e il numero dei veicoli globali circolanti, credo che sia evidente che se si prosegue su questa strada qualcuno è destinato a rimanere a piedi.

Un altro punto essenziale è il trasporto dell’energia elettrica necessaria per alimentare questi veicoli. Per implementare la ricarica rapida domestica dei veicoli l’attuale amperaggio della stragrande maggioranza dei contatori è inadeguato. e non solo lui, ma anche la rete di distribuzione che sta dietro. Anche qui, i costi in termini di materiali e fabbricazione sono proibitivi: stiamo parlando di una stima di circa 100.000 euro per utenza per mettere a posto la rete (trasformatori, linee ecc.), 200.000 euro per adeguare ogni casa, opera che richiede il lavoro di un numero di tecnici professionisti aggiuntivi che è all’incirca il doppio dell’attuale. State facendo qualche conticino?

E poi, quale energia sarebbe trasportata? Quelle rinnovabili da sole e vento? Ambedue queste tecnologie sono estremamente dispendiose in termini sia di spazio occupato sia dal punto di vista dei materiali. Per sostituire l’attuale produzione di energia tramite carbone, gas e petrolio, occorrerebbe ricoprire virtualmente ogni superficie disponibile di impianti. Ne occorrerebbe costruire più di 200.000… attualmente, ne abbiamo 40.000.
Ma il solare produce poco d’inverno e niente al buio, l’eolico sta fermo quando non c’è vento. Come fai a conservare l’elettricità per quando serve?
Lasciate che vi racconti un aneddoto: in uno stabilimento nel quale ho lavorato avevamo dei gruppi di continuità, batterie, per alimentare i server, i computer principali, nel caso fosse mancata la corrente. Quei bestioni enormi, costati quanto i server stessi e forse di più, garantivano forse un quarto d’ora di alimentazione prima di spegnersi a loro volta. Giusto il tempo di arrestare tutti i programmi e accendere le candele.

Le batterie, anche le più grandi e costose, non sono in grado di contenere abbastanza corrente da essere una soluzione proponibile per ovviare ai “buchi” delle rinnovabili. Per contro, un generatore diesel costa 200 volte di meno di una batteria con output equivalente e può funzionare indefinitamente se alimentato.

Per sintetizzare: il green deal come ci è stato venduto ed è stato votato costringerebbe a spendere ogni risorsa statale su di esso, l’intero PIL, e ancora non basterebbe. Mancano in ogni caso i materiali. L’unica soluzione per implementare quei progetti sarebbero greggi immensi di unicorni che emettono elettricità dal sedere.
Non credo che questi calcoli siano ignoti a chi decide. Se lo fossero, sono degli stupidi che ci conducono al massacro. Se non lo fossero, però, è anche peggio.

Il guerriero ambientale

Il guerriero ambientale uscì di casa e guardò il cielo senza nuvole della bella giornata autunnale. Terrificante. Questo era il cambiamento climatico, senza dubbio. Il giorno prima, era stato anche peggio. Era piovuto, altro segno di cambiamento climatico. La situazione era ormai critica. Quanto rimaneva al pianeta, cinque, dieci anni, prima che tutto fosse compromesso? Prima che il mare sorgesse a spazzare via le città, le tempeste a distruggere nazioni, la siccità a devastare popoli? Quanto ancora prima che si estinguessero gli orsi polari e i coralli? Quanto? Quanto?
Era per quello che stava andando a bloccare l’autostrada, in maniera che quegli idioti che andavano ogni giorno a lavorare sui loro veicoli a motore diesel, avendo fatto colazione con il latte proveniente da allevamenti che riempivano l’atmosfera di mortali scorregge bovine, diventassero consapevoli del pericolo che correva il mondo. Era incredibile che non se ne rendessero ancora conto, dopo più di trent’anni che si ripeteva loro che il pianeta sarebbe stato perduto di lì a poco, e pretendessero che sdraiarsi sulle strade per sensibilizzare sul disastro imminente non fosse ragionevole. Come se anche un’ambulanza o un mezzo dei pompieri non inquinassero. Era davvero fortunato ad avere trovato gente che condivideva con lui questa preoccupazione, e che lo pagava persino per questi innocui atti dimostrativi. Si sentì pieno di fede verso la natura.
Il guerriero ambientale allargò le braccia. “O Madre Terra, sottrai a tutti questi inquinatori la maniera di ferirti!” Invocò a gran voce.
BRAAAAAMMM! Un fulmine colpì il suolo proprio davanti ai suoi piedi, e dal fumo si materializzò una gigantessa nuda. La pelle della creatura era verde, i capelli sembravano viticci, e un nugolo di mosche girava attorno al suo capo.
“Occhei”, disse l’apparizione.
Il guerriero ambientale, che di nome faceva Federico, rimase a bocca aperta, finché una mosca non entrò dentro la cavità orale spalancata e lui cominciò a tossire e sputacchiare.
“Hey, che sputi?”, disse la gigantessa. “Guarda che l’è tutta carne buona”.
“Io… non… chi sei?” chiese Federico.
“Madre Terra, che, non si vede?”, replicò il donnone dalla pelle verde. “La fede complessiva tua e dei tuoi amichetti in me medesima ha superato la soglia critica, e va’ che per questo il Creatore mi autorizza a esaudire tre tuoi desideri. Che il primo lo hai già espresso”, aggiunse.
“Io? Che cosa?” chiese stupito il guerriero ambientale.
La gigantessa sospirò. “Levare alla gente tutto ciò che è inquinante”, gli ricordò. Si accostò a lui. “Fammi vedere un po’… questo giubbottino fluo, ovviamente, l’è plastica. Ma hai idea di cosa fa ai fiumi? Via”. Il giubbotto si dissolse in polvere. “E anche ‘sto maglioncino… è lana di pecore di allevamento. Ma che lo sai quanto metano producono gli allevamenti di bestiame?” Anche il maglione si dissolse. “Il resto… poliestere… altre fibre sintetiche… non si salva niente. Devi rinunciare a tutto, va’”.
Federico rimase completamente nudo. Il telefono che teneva in tasca cadde a terra.
“Ecco, adesso vesti veramente ecologico, pura pelle. Ma, cosa abbiamo lì? Un telefonino? Hai idea di quante tonnellate di materiale si debbano estrarre per le terre rare di quello e della sua batteria? Via, via!” Anche il telefono sparì, mutandosi in sabbia finissima.
Federico gemette. “No! Le mie chat!” Si metteva male, meglio filarsela. Si guardò freneticamente attorno. “Il mio monopattino… dov’è?”
Madre Terra rise. “Stai scherzando, mo’ spero. Hai idea di quanto petrolio e gas servano per produrre quei cosi? Per non parlare delle batterie. Ma non ti preoccupare, l’ho eliminato assieme alle fonti di energia inquinanti, cioè tutte”.
“Come, tutte? Ma… le pale eoliche… i pannelli solari…”
Il riso di Madre Terra diventò una risata squillante. “Ma sei scemo? Sai quante tonnellate di rame servono per produrre una pala eolica, e per ogni tonnellata di quello quante centinaia di altre tonnellate di roccia occorre sbancare? E con che energia credi lo facciano? Non parliamo poi dei tuoi pannelli solari, che c’ho l’Africa mezza piena di quelli usati. Ancora non l’hai capito? Come mi hai chiesto, in tutto il mondo, tutta la tecnologia è sparita. Tanto senza elettricità non è che poteva funzionare. E ora, in bocca al lupo per nutrire sette miliardi di persone solo con frutta selvatica, caro. Ti consiglio di partire subito a raccoglierla, se vuoi sopravvivere”.
Federico impallidì. Pensò all’abbonamento a Netflix, alla sua serata in discoteca, alla vacanza alle Canarie la settimana seguente. “Io… ritiro tutto! Voglio annullare il mio desiderio”, gridò, in preda al panico.
Madre Terra annuì. “Mo’ vieni, ci avrei giurato. D’accordo allora. Secondo desiderio, annullare il primo”. Pof! i suoi vestiti ricomparvero, come il rumore del traffico sulla vicina strada. “Sai, bello, di solito è il terzo desiderio quello che annulla i precedenti, non il secondo. Che quindi te ne rimane uno. Se vuoi, puoi anche non usarlo, eh. Mo’ ti conviene pensarci bene, prima di formularlo, perché indietro non si torna”.
Federico ci pensò. Come poteva fermare il cambiamento climatico? Ma certo! Si diede dell’idiota per non averci pensato prima. La causa di tutto era l’anidride carbonica. Bastava eliminare la CO2 e non ci sarebbe stato bisogno di nient’altro. Basta riscaldamento globale! Così, lo chiese ad alta voce. “Voglio che scompaia tutta la CO2 del mondo! Via il malvagio carbonio!”
Madre Terra lo guardò per qualche istante, poi scosse la testa. “E’ quello che vuoi? Mo’ bene, fatto. E ora, se permetti… ciao, bello. Addio”.
La gigantessa sparì. Il guerriero ambientale respirò a pieni polmoni. Niente più CO2. Niente più disastri ambientali. Ed era tutto merito suo!
Non poteva sentirle, ma intorno a lui le piante stavano morendo, boccheggiando, asfissiate in un’atmosfera che non dava più nutrimento alla loro clorofilla. Entro sera avrebbero cominciato ad annerirsi e disseccarsi. Nel giro di qualche giorno i vegetali sarebbero tutti spariti, e gli animali sarebbero seguiti subito dopo per il collasso della catena alimentare.

Chissà quanto ci vorrà per l’ultimo uomo, pensò Madre Terra. Non molto, si disse. Avrebbe dovuto ripartire dai batteri. Chissà se questa volta l’evoluzione avrebbe prodotto degli esseri meno idioti.

La bellezza viene prima

Noi dobbiamo lottare per la bellezza, perché senza bellezza non si vive.
Luigi Giussani

Ho appreso pochi giorni fa che è improvvisamente morto Jung Gi Kim. Chi era costui, vi domanderete. Era un disegnatore coreano. Magari avete visto alcune delle sue opere, in passato, senza conoscerne l’autore. Aveva un tratto bellissimo, zeppo di particolari, una fantasia straboccante. Ma la cosa più impressionante era la maniera in cui disegnava.

Si dice che Mozart componesse le sue opere di getto, senza correzioni. Se è così, questo artista era il Mozart del pennello. Disegnava opere complicatissime a mano libera, un tratto dopo l’altro, praticamente perfette. Per noi mortali, che conosciamo la difficoltà del disegno, è come vedere Bruce Lee che gioca a ping pong con i nunchaku. Qualcosa di troppo incredibile per essere vero. Nel caso di Lee, vero non è. Qui, invece…
Siamo di fronte a qualcosa che ci lascia stupiti. Una bellezza.

Quando troviamo qualcosa bello? Quando entra in consonanza con il nostro io profondo, fa risuonare sentimenti che sono avvitati dentro il nostro essere. Se, come cristiani, consideriamo l’uomo come la più alta opera di Dio, la bellezza in qualche modo è Dio, la sua impronta che ci fa essere quello che siamo. Quant’è bello è il mondo e quanto è grande Dio, disse guardando il cielo una mattina limpida la madre di don Giussani. Il bello è qualcosa che ci può salvare, come afferma Dostoevskij, proprio perché consiste di Lui.

Non stupisce allora la moda che dura ormai da più di un secolo della dissacrazione della bellezza.

L’abitudine corrente di dissacrare la bellezza suggerisce che la gente è consapevole come è sempre stata della presenza di cose sacre. La dissacrazione è un tipo di difesa contro il sacro, un tentativo di distruggere le sue pretese. In presenza delle cose sacre, le nostre vite sono giudicate, e per sfuggire quel giudizio, noi distruggiamo la cosa che sembra accusarci.

Roger Scruton, “Bellezza e dissacrazione”

Che quella che passa per arte, nel nostro passato prossimo e oggi, voglia distruggere la bellezza, implica che la bellezza esiste. Non si tenta di annullare ciò che non esiste. La bellezza è quindi qualcosa che viene prima e quindi, logicamente, continuerà ad esserci anche dopo, perché ineliminabile, perché è vera, perché é uno degli attributi del divino che compone il mondo. Come dice ancora Scruton, “Forse la degenerazione della bellezza nel kitsch arriva precisamente dalla perdita postmoderna della veridicità, e con essa la perdita della direzione morale“.
Se neghiamo che esista la verità neghiamo ciò che è bello, perché la bellezza è vera, e il vero è bello. Anche l’arte diventa la caricatura di se stessa, e incapace di muovere davvero l’animo.

Quando il bello risuona assieme al vero e al giusto scopriamo Dio. In un disegno, in una poesia, in una mano tesa piena d’amore.

Un premio non si nega a nessuno

Leggo ora che a Zelens’kyj, presidente ucraino, è stato assegnato il premio Sacharov. Per chi non se lo ricordasse, Andrej Sacharov è stato un celebre fisico russo, che ha contribuito allo sviluppo della bomba all’idrogeno per l’USSR e successivamente si è dedicato all’attivismo politico contro il regime sovietico, pagando di persona il suo impegno.

Da Wikipedia: “Dal 1988, ogni anno il Parlamento europeo assegna il “Premio Sakharov per la libertà di pensiero” a personalità e organizzazioni distintesi nell’attività in favore dei diritti umani e nella lotta contro l’intolleranza, il fanatismo e l’oppressione”. Mi sfugge come Zelens’kyj, che ha bombardato il Donbass, oppresso la minoranza russa, chiuso i media di opposizione e vietato gli altri partiti possa rientrare in questa definizione. Non è che mi sveglio filorusso, sono fatti incontestabili. Sembra però che sia sufficiente fare la guerra “dalla parte giusta”, per così dire, per essere elevato ai laici altari come santo verginello.

Tutto ciò mi ricorda molto il premio Nobel per la Pace “sulla fiducia” al neoeletto Obama, che poi ha bombardato e destabilizzato metà del pianeta. Spesso i premi sono patacche utili a farsi pubblicità, sia per chi li concede che per chi li riceve. Rendono, per così dire, come certi premi letterari o canori che incoronano a priori il conoscente sponsorizzato. Servono a vendere dischi, libri, armi.

Un premio, un riconoscimento, una laurea honoris causa, una medaglia non si negano a nessuno, specie a un amico, o all’amico di un amico. Siamo fatti così, noi uomini, siamo attirati dalle patacche luccicanti; dalle parole che non vogliono dire più niente.

Nel mondo dei sogni

L’ho detto altre volte. Sono convinto che, qualche secolo più in là, se ancora esisterà l’umanità, quelle che oggi passano per opere d’arte nelle biennali saranno dimenticate, mentre ancora si leggeranno i fumetti.
Se hanno dato il Nobel a Bob Dylan che scrive canzoni, non vedo perché no. Ce ne sono alcuni che sono dei veri capolavori letterari. Ad esempio, “Sandman”.

E’ un fumetto i cui inizi risalgono a ormai 35 anni fa. Nel folklore anglosassone “sandman”, l’uomo della sabbia, è colui che ti butta sabbia negli occhi e ti fa addormentare. Il protagonista è un Eterno, che è qualcosa di più di un dio, la personificazione di un concetto; nel nostro caso, Sogno. La vicenda parte con il lungo imprigionamento di Morfeo\Sogno da parte di un occultista e gli sforzi successivi del re dei sogni per restaurare il proprio dominio caduto in rovina durante l’assenza forzata.
Sono solo i primi episodi. La storia poi prende il volo con una serie di episodi a volte appena connessi, spesso disturbanti, sempre profondi e scritti con indubbia maestria. L’ideatore della trama è Neil Gaiman (Coraline, Stardust, American Gods), uno dei miei autori preferiti.

Proprio Gaiman è stato, fortunatamente, incaricato di produrre la serie che Netflix ha tratto dai primi due volumi dell’opera. Il risultato, dal punto di vista dello spettatore, è notevole. L’adattamento, alleggerito da alcuni appesantimenti inutili presenti nella versione cartacea, è fedele nell’essenza, sontuoso e ben recitato. Non riesco a sopportare i labbroni dell’interprete di Morfeo, ma questo è un problema mio.

Un problema più generale è invece lo spostamento verso il politicamente corretto.
Praticamente ogni personaggio della serie televisiva che sia in qualche modo positivo è stato mosso rispetto al fumetto di qualche tacca verso – chiamiamolo così – l’inclusivo. Da maschi a femmine; da bianchi a colorati; da etero a gay. Di fatto solo i cattivi e coloro per i quali non si poteva fare proprio niente, tipo Caino e Abele, sono rimasti come in originale. Lo si può vedere come un aiuto per capire a colpo d’occhio lo schieramento dei personaggi, tipo i cappelli bianchi e neri dei cowboy nei film western d’epoca. Se è maschio e ha la carnagione pallida o è cattivo, o è stupido, o entrambi.

Così John Constantine – sì, quel Constantine – è diventata Johanna; la sua sfortunata amante è diventata nera; analoga sorte tocca alla donna che guida l’auto nel quarto episodio, a due di coloro che sono intrappolati nel bar, e pure al bibliotecario del reame dei sogni che con doppio salto diventa pure donna. Il prete del terzo episodio ora è una pretessa; Lucifero non assomiglia più a Bowie ma è femmina e persino Morte, il personaggio più celebre e iconico della serie (forse anche più del suo protagonista) non è più una piccola punk ma un’attrice di colore, come metà di coloro di cui, diciamo, si occupa. E mi fermo ai “Preludi e Notturni”, i primi episodi.

Con i propri personaggi uno può fare quello che vuole. Fossero stati così nell’originale, o se l’operazione fosse stata più discreta, nessuno avrebbe fiatato. Gaiman ha difeso le scelte del casting, e ci mancherebbe; d’altra parte, proprio lui in un suo racconto aveva narrato l’insipienza dei dirigenti degli studios che lo scrittore subisce suo malgrado.
Non mi infastidisce che Morte abbia la pelle nera, mi stupisce che si sia volontariamente rinunciato a una sua immagine profondamente scolpita nell’immaginario di milioni di lettori per seguire un certo schema preconcetto. Ma quello che davvero mi spaventa è la conscia, innegabile spinta che si vuole dare a tutto ciò che è immaginario verso una ideologia che non si trattiene dal cambiare il passato perché vuole impossessarsi del futuro.

In uno degli episodi, un folle vuole usare i sogni per cambiare il mondo a propria immagine, cancellare quelle che per lui sono menzogne e farsi adorare.

“Sarò un monarca saggio e tollerante, che dispensa la giustizia equamente, e che manderà gli incubi a fare a pezzi le menti solo del malvagio e del perverso. O di chiunque non mi piaccia”.

Il risultato è un massacro efferato. La trama risuona, in una certa maniera, con questa realtà. C’è chi vuole impossessarsi dei sogni. L’esperienza insegna che presto diventano incubi.
Se questo è il trattamento riservato alla fantasia, cosa accadrà, cosa accade a ciò che è stato reale?

I tempi che ci tocca vivere

Lo premetto subito, non sono stato a Roma per il centenario di Don Giussani. Ho pensato molto se andare o non andare. Al di là degli oggettivi problemi logistici, quello che mi ha frenato è stata un’amara considerazione su me stesso. Ero sicuro che stare con gli altri, laggiù, sarebbe stato fantastico. L’ho vissuto molte molte volte; credo che siano più di una decina i soli viaggi “in giornata” che ho compiuto a San Pietro. Ma avevo timore. Timore che sarebbe stato come l’ultima volta che il Papa aveva dato udienza al popolo di Comunione e Liberazione, sette anni fa, dove ero rimasto ferito e amareggiato. Capite bene, timore non dei rimproveri in sé, ma di come io avrei potuto prenderli. Non so se sarei riuscito a sopportarli.

Lo so, è un mio limite, è come sono fatto io. E’ uno sbaglio, un difetto nel carattere, se vogliamo anche un peccato. Mattonatemi quanto volete. Io cerco sempre di correggermi, ma probabilmente non prego abbastanza; certamente non prego abbastanza.

Ho seguito in televisione. Quando è finito il discorso del Papa, ho pensato: ha detto più o meno quello che mi attendevo dicesse.
Un po’ di bastonate. Don Gius è stato grande, ma adesso lasciate perdere, perché è un mondo nuovo. Ubbidite.

Poi mi sono chiesto: va bene, ma cosa davvero avrei voluto ascoltare? Come avrebbe potuto essere differente?

Ho ripensato alle volte con Giovanni Paolo II, con Benedetto, anche con il Gius. Che anche loro ci cazziavano, eccome. Patapim patapam. Ma erano sempre come i rimproveri di un padre che dopo sai che ti rimbocca le coperte. Quando parlavano, il discorso non era distaccato da quello che c’era stato prima, la festa, i canti, la compagnia, ma ne era in qualche maniera il punto più alto.
Ribadisco, forse si tratta di un mio limite o un mio preconcetto, ma qui ho avvertito ancora una volta una cesura, come se la Chiesa più che una madre fosse un’istitutrice. Non ho ritrovato lo stesso calore. Si ubbidisce da inquieti.

Mentre riflettevo su questo, mi è capitato di leggere un brano del vescovo Luigi Negri, uno dei primi del Movimento. L’ultimo capoverso mi ha fatto saltare sulla sedia.
“(…) La Chiesa è un mistero da adorare, da venerare. Un mistero che è santo e divino non perché i cristiani sono impeccabili, ma perché fondata dall’azione dello Spirito Santo. Per questo non può essere concepita semplicemente come una struttura da decostruire perché non è al passo con i tempi, ammesso e non concesso che i tempi e i cambiamenti siano sempre positivi; occorrerebbe, infatti, capire dove porta il cambiamento prima di affermarne la positività. Credo che, in un contesto come quello odierno, nel quale l’immagine diffusa della Chiesa è tornata a essere quella di una struttura da adeguare ai tempi, perciò da decostruire per ricostruirla secondo nuove prospettive rivoluzionarie, sia davvero fondamentale recuperare a pieno la lettura della Chiesa come un dato sacramentale compiuta in modo alquanto puntuale da Giussani.”
Sì, è ciò che cercavo.

E’ questo il senso con cui sono state pronunciate quelle parole a S.Pietro? Oggettivamente, non lo so. Ho visto fatti brutti, che mi fanno dubitare. Ma so per certo che questo è il modo in cui io le voglio vivere, che fa davvero assonanza con il mio cuore, che risuona come risuonavano con il Gius e Wojtyla e Ratzinger. Sono passati i giorni in cui ci si poteva nascondere. Questo è un tempo di prova, e la sfida è per ciascuno di noi. Io ci sono.

Scomposti

Reazioni scomposte di politici e intellettuali che scoprono che perdere le elezioni, a differenza di quanto avvenuto finora, può comportare che al potere ci vada gente che la pensa in modo differente da te.

Ci sono persone veramente traumatizzate dal fatto che il governo potrebbe non fare come vogliono loro, e nemmeno seguire i loro “consigli”. A questi sembra del tutto impossibile che si possano avere opinioni e valori diversi e avere posto sulla terra.

Sarei davvero curioso di capire la parola “democratico” cosa pensavano significasse. Così, per farmi quattro risate.

Il gioco dei bussolotti

Qualche anno fa giravano per le strade della città certi personaggi che praticavano il gioco dei tre bussolotti, o tre campanelle che dir si voglia. Tre bicchierini, sotto uno di loro la pallina; scommetti, indovina, vinci. Peccato che non accadesse mai.
Quelli che i gonzi non sapevano è che chi proponeva il gioco non era da solo. Praticamente anche tutti gli astanti, da quello che “vinceva” agli spettatori che incoraggiavano e facevano da palo e scudo, erano parte della banda. Una volta vidi uno che tentava di andarsene dopo il primo paio di vincite concessegli allo scopo di farlo abboccare. Fu immediatamente circondato dai presenti e – oh, ma che ve lo dico a fare.

Ci sono truffatori di ben altra levatura in giro. Cercano di convincervi che il loro gioco è onesto, che si vince sempre. Gli scienziati, i giornalisti, le celebrità, gli opinionisti e anche coloro che vigilano sulle truffe confermano. Peccato che anche loro facciano parte della banda.

Delle molte menzogne globali, ce n’è forse una sola che può paragonarsi a quella dei vaccini, quella della cosiddetta emergenza climatica. Per durata, ampiezza e spudoratezza vince a mani basse; temo che, prima che veda la fine, sarà vincente anche per il conteggio di cadaveri che avrà causato.

Sinceramente non so come faccia la gente a crederci ancora. Prendete la faccenda della compravendita delle quote di biossido di carbonio. E’ il commerciare la mancata consegna a nessuno di una sostanza invisibile. Altro che vendere il Colosseo, che almeno è qualcosa di concreto.

Chiunque non sia un idiota ormai, guardando i numeri, ha capito che convertire il parco macchine esistente in elettrico è impossibile. Mettiamo da parte un attimo il fatto che è una soluzione che non risolve i problemi ambientali ma li aggrava, e che si tratta di prodotti costosi e inadatti al di fuori dell’ambito cittadino. Il vero problema è che la rete elettrica attuale è del tutto inadeguata a sopportare un simile futuro carico e non esistono abbastanza materie prime per produrre tutte le batterie necessarie. Si vuole imporre l’assurdo. Per quale motivo allora i politici vogliono spendere soldi che non hanno su soluzioni che non funzionano per risolvere un problema che non esiste?

Sembra che più una certa pretesa è ridicola e inconsistente con i fatti più viene pompata. Vale per il clima, ma anche per il gender, ad esempio. E toh! In tutti i casi sono sempre le stesse persone che lo propongono.
Sono quelli del banchetto con i tre bussolotti, ma adesso pensano in grande.

Invecchiando peggioro

Invecchiare è un processo straordinario dove diventi la persona che avresti sempre dovuto essere.
David Bowie

Malgrado ciò che dice il buon Bowie, io invecchiando peggioro. Ad esempio, non reggo più la televisione. I notiziari mi sembrano composti al 70% di propaganda, al 25% di pettegolezzo e al 5% di notizie vere, quelle passate al vaglio della censura. Il resto è annegato in pubblicità, che sono ugualmente incapace di sopportare per più di qualche minuto, anche cercando di dirigere la mia attenzione altrove.
Non ce la faccio, sclero, me ne vado. La falsità mi distrugge.

Sarà questo che mi rende irritabile quando sento qualcosa che so non vero. Mi sono sensibilizzato con l’età, e quando qualcuno mente sapendo di mentire per me cessa di essere interessante, perché non mi posso più fidare di lui. Capite ora il mio atteggiamento verso la TV, e non solo. Sì, lo so, sono una brutta persona.

Prendete ad esempio l’ultima ammissione della Pzifer, che non hanno mai testato la capacità di bloccare la trasmissione del virus dei loro vaccini AntiCovid. Come, prego? Innumerevoli persone hanno perso lavoro, amicizie, affetti, sono state insultate, emarginate, colpevolizzate, costrette a iniettarsi controvoglia o per ignoranza qualcosa che per molti di loro è stato letale, perché “si deve evitare di trasmettere la malattia ai nonni”. La ragione del dannato Green Pass, ricordate? E ora mi venite a dire che era tutto basato sul niente? Che “la scienza” che lo asseriva, semplicemente, non esisteva? E non esisteva perché probabilmente si sapeva che il risultato sarebbe stato “controproducente” per gli affari?

Ecco, io non capisco come mai non ci siano per le strade folle con le fiaccole e i cappi, a chiedere ragione della menzogna. Come mai non ci siano politici, presunti virologi, medici, opinionisti, giornalisti in ginocchio a chiedere perdono, per tutto il male fatto, per tutti i giovani morti per un’iniezione che per loro non serviva a niente. Già lo si sapeva, bastava guardare la realtà. Eppure la menzogna è continuata, continua ancora, contando sul fatto che ci si dimentica, che non si vuole vedere, non di desidera essere disturbati. A me verrebbe da spaccare tutto. Ma l’ira è sempre stato un mio problema, e lo ribadisco, sono una brutta persona.

Viene in mente il capitolo 8 del Vangelo di Giovanni:
Gesù allora disse(…) «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. (…) Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete?»

Ecco, è detto chiaramente da dove arrivano le parole di tutti quelli che mentono. Da chi “non ha verità in lui”: e questo è solo l’aspetto più immediato di un progetto più profondo, letteralmente.
Non voglio averci niente a che fare, se non per combatterlo. Spero mi si dia la forza di non fare nessun compromesso. Come vi ho detto, invecchiando peggioro.

Pale che girano

La mia ditta ogni tanto cambia CEO. Per quelli digiuni delle molteplici sigle alla moda, significa “chief executive officer“, quello che un tempo, in simil-italiano, si chiamava amministratore delegato.

Ogni nuovo CEO, com’è giusto, porta le proprie idee. Per coloro che ricordano i film di Fantozzi, è chiaro cosa ciò significhi per i dipendenti. Di solito comporta negare quello che ha fatto il proprio predecessore – bisogna distinguersi, e ci sarà pure un motivo per cui non è più lì – e inventarsi qualcosa alla moda. In maniera non dissimile, immagino, quello da che facevano gli antichi monarchi, che rendevano di volta in volta obbligatorio sacrificare piccoli mammiferi, inneggiare in piazza sventolando bandiere o marciare all’assalto urlando.

Prima della pandemia abbiamo passato mesi a ripulire gli uffici, rottamare ciò che era vecchio o anche solo sospettato di esserlo e imparare il nuovo credo di efficienza japan style. I vertici sono mutati e tutto ciò che rimane di quella operosa frenesia sono strisce di adesivo colorato, etichette che si staccano e imbarazzanti tabelloni che illustrano futuri incompiuti.

La mania del momento è ora il green. Il verde, per dirla alla maniera nostrana ma, badate bene, non il verde reale degli alberi, bensì quello inventato da gente con il cuore di cemento e il vestito firmato. Gente che la natura la osserva da uno yacht. Far vedere di tenere al pianeta, si dovesse andare in jet privato dall’altra parte del mondo a dimostrarlo.

Così, qualche settimana fa, siamo rimasti sorpresi nel vedere che un’intera parete degli edifici dove lavoriamo, quella rivolta verso la strada, è stata ricoperta di pannelli solari. La cosa strana che abbiamo notato un po’ tutti è che i pannelli sono verticali. “Corretto”, ho fatto notare io. “Sono rivolti verso nord, quindi l’unico sole che vedono è all’ora del tramonto, momento in cui sono effettivamente perpendicolari ai raggi. D’estate, almeno, dato che d’inverno dubito molto che siano mai esposti alla luce”.

Ma la parete fotovoltaica non è il solo apparecchio di fonti alternative comparso all’improvviso. C’è anche un aggeggio tecnologico fatto di pannelli solari a forma di girasole gigante che dovrebbe aprirsi, chiudersi e orientarsi da solo verso la luce. Molto scenografico, l’avevo già altrove visto in passato, anche se oggi non si muoveva ed era attorniato da omini in casco arancione. Chissà se riuscirà a recuperare con i grami raggi nostrani il suo – immagino piuttosto elevato – costo in energia.

E poi c’è la turbina eolica. Non quelle titaniche ammazza uccelli che incombono qua e là in paesaggi un tempo bucolici. Una piccola, di quelle a pale verticali elicoidali, nemmeno tanto alta. Un modello che finora avevo solo visto in un Topolino della mia infanzia, di quando anche allora mancava il petrolio, c’era l’austerity e l’ecologia era di moda. Pure questa è carina a vedersi, mentre vortica ipnoticamente mostrando a tutti quanto sono belle e utili le energie rinnovabili.
Un mio collega mi ha messo però una pulce nell’orecchio. “Ieri non c’era un filo di vento, eppure girava, girava…”

Mare d’odio

Guardate il livello di menzogna nel mondo. Guardate le persone dividere le uccisioni in ignobili e giustificabili.

Un’auto che corre davanti a una cortina di fuoco, finché non diventa fuoco anch’essa. Cadaveri putrefatti dentro un autobus sforacchiato. Pezzi di bambina sparsi per il parco, insieme a quelli della nonna. E ancora, una ragazza che aveva visto troppo, un bambino che ancora non aveva visto niente, e le vite spezzate dalle menzogne di chi ha dato loro veleno.

Ci sono persone che possono trovare giustificazioni perfettamente accettabili per ognuna di queste morti. A dirla tutta, ne leggo e ne ascolto ogni giorno.
E’ talvolta gente importante, famosa, magari celebre proprio in forza di quelle giustificazioni. Il male è generoso con chi lo segue.

Ogni volta che diamo l’assenso a una di queste morti, giustificandola con le nostre parole o con il nostro silenzio, innalziamo quel livello di menzogna. E’ un mare opaco e senza luce nel quale si può facilmente annegare.

Per questo io credo nell’unica barca che può navigare questo oceano di odio e di falsità e trarre in salvo i naufraghi. Per questo sono cristiano. Non c’è altro legno che si oppone alle onde di tenebra, che non le divide in accettabili e no. Il solo luogo in cui tutte le nostre menzogne, il nostro odio, il nostro essere assassini in atti, parole, omissioni non sono giustificati, non sono ignorati ma, se abbiamo la forza di pentircene, perdonati.

Il cuore dei bambini

Un altro sito di antichi sacrifici di bambini è stato scoperto in Perù. Cosparso dei corpi di decine, forse centinaia di piccoli a cui, seicento anni fa, è stato estratto il cuore. Non è il primo; probabilmente non sarà l’ultimo.

Gli archeologi si interrogano sul motivo di questi antichi massacri. Potrebbero essere i “cambiamenti climatici”, dicono. Perché le direttive, evidenti a chi voglia vederle, sono di associare al clima che muta qualunque cosa sembri malvagia. La verità è che non la sanno, la ragione. Nessuno la sa più.

Quella di sacrificare la verità, la scienza, o i bambini, per i propri interessi, sembra essere una caratteristica degli uomini di potere in qualsiasi luogo e qualsiasi epoca. Da parte mia, non credo ci sia bisogno di scomodare il brutto tempo. La storia ci insegna come qualsiasi scusa sia buona per ammazzare qualcuno perché dà fastidio o, semplicemente, perché così si porta avanti la propria agenda.

Se ci fanno orrore quei piccoli scheletri, pensiamo che, oggi, milioni di bambini vengono sacrificati per quelli che vengono chiamati diritti, emancipazione o “salute riproduttiva”. Falsi déi. Quali interessi occulti e non tanto occulti vi siano in realtà dietro lo capisce chi vuole vedere.
Anche quei corpicini rimossi dalla nostra coscienza avevano un cuore.

Ottimismo, pessimismo, realismo

Ottimismo e pessimismo sono trucchi della mente, sono ideologie non meno letali di altre. Gli ottimisti credono che tutto andrà bene a prescindere, i pessimisti che tutto va male, e continuerà ad andarci.
Ambedue le affermazioni sono profondamente anticristiane.
Ci sono libri della Bibbia che a una lettura superficiale sembrerebbero sposare le due opposte convinzioni.

Se per il Qoèlet

Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità, tutto è vanità.
Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno
per cui fatica sotto il sole?

(Qoelet 1,1)

Il libro della Sapienza invece afferma:

(..) Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza;
le creature del mondo sono sane,
in esse non c’è veleno di morte,
né gli inferi regnano sulla terra,
perché la giustizia è immortale.

(Sapienza 13-15)

Se leggiamo bene, la posizione degli autori è ben più profonda. Non è negato il bene, non è negato il male. Tutto è riassunto nel libro di Giobbe: c’è un disegno oltre quelle che sembrano fortune, oltre quelle che paiono disgrazie.

Invece l’ottimista tende a dimenticare che il male è reale; il pessimista che l’amore di Dio è reale; ambedue scordano che esistono la redenzione e la salvezza.
Ciò che si dimentica raramente viene cercato. Ecco perché essere l’uno o l’altro è pericoloso.

Se prendiamo il Vangelo, al pessimista, Cristo indica che la compassione di Dio è più forte di tutti i fatti brutti della vita:

In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. (Lc 11,17-22)

Un esempio di ottimismo mal riposto è invece Pietro. Quando Cristo prende a dire che a Gerusalemme sarà crocefisso, lui lo prende in disparte e lo rimprovera. La reazione di Gesù è un aspro rimprovero:

Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». (Mc 8,32-33)

Sappiamo a Gerusalemme com’è finita. Il Calvario non è stata una passeggiata. E l’essere cristiano non lo è: quanti martiri, ieri e oggi.
L’essere ottimista o pessimista sono posizione umane. Il cristiano è realista: sa che ciò che l’attende è la croce, in una forma o nell’altra. Ma proprio attraverso quella tutto è guadagnato.