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I cocci sono nostri

Forse dovrei dirmi stupito, ma il fatto che i vecchi, rancorosi nuovi atei tipo Niall Ferguson o Dawkins che sono soliti dire peste e corna (letterali) contro Dio improvvisamente si rendano conto che senza cristianesimo non regge niente non mi sorprende affatto. La realtà concreta di ogni giorno si basa sul trascendente: la madre rassicura il bambino spaventato dal buio suggerendogli che va tutto bene, tutto è in ordine, qualcuno lo ama. Il bambino non sa di non essere in grado di garantire quell’ordine, così come la madre se possedesse la medesima consapevolezza del piccolo. L’adulto, o chi si crede tale, difficilmente se ne rende conto; comincia a capirlo solo quando tutto inizia a crollare, come sta accadendo ora.

A questi scettici colpiti da tardiva rivelazione della cattiveria e inconsistenza umana da un lato viene da rispondere “Troppo tardi, avete già sfasciato la società, adesso restate con i cocci”. Dall’altro rimane il piccolo problema che a pestare i cocci ci facciamo male tutti, noi compresi.

Rimettere insieme i cocci non è possibile, soprattutto se non si comprende la natura di ciò che si è infranto. Vogliono aggiustare ciò che è rotto con le stesse categorie che hanno usato per infrangerlo.
Se si sono accorti che la nostra società senza cristianesimo si sfalda, peccato non si siano ancora resi conto che questo non ha origine da un’etica, da una struttura sociale, neanche da un’idea religiosa. Non sono queste cose che mancano. E’ senza Cristo che non regge niente.

Insegnamenti

Quel che si legge nei Vangeli sulle vicende del Giovedì e Venerdì Santi ci insegna diverse cose.
Che tanto più si è grandi tantopiù si dovrebbe servire i piccoli; che invece i grandi della Terra mentono, ingannano, uccidono. Ma mica solo i grandi.
Che noialtri siamo tutti coraggiosi fino a quando non c’è bisogno di coraggio; che il tradimento non è qualcosa che fanno gli altri. Che per la verità si può morire, è roba pericolosa.
Che i cattivi vincono. I potenti fanno i loro interessi. La menzogna non è sempre sconfitta. I violenti hanno la meglio. Non serve essere innocenti. Voler bene non è abbastanza. Il denaro può comprare ciò che non si può vendere. Amare gli altri conduce alla morte. Gli amici fuggono nell’ora del bisogno.

Ecco, tutto questo ci insegnano Giovedì e Venerdì Santi.
Poi viene Pasqua, ed è un’altra storia.

Buona Pasqua.

Il costruttore

L’elettrodomestico fa impazzire. Cosa sarà quella spia, a cosa serve quel componente?
Lo scopo io non lo conosco, e neanche tu. Lo possiamo intuire nebulosamente, andare per ipotesi, per tentativi.
Oppure possiamo rivolgerci a chi l’ha costruito. La sua parola è definitiva: chi sa meglio di lui la migliore maniera di far funzionare ciò che non riusciamo a comprendere? Non possiamo che adeguarci oppure rassegnarci a lavorare di fantasia, andando come a tentoni alla ricerca del vero. O rinunciare del tutto a capire.

Come sarebbe bello se l’autore della nostra esistenza, Colui che ci ha progettati, ci spiegasse la maniera migliore di vivere la vita. Allora sì che sapremmo sfruttarla al meglio, trovare quella gioia che a volte ci sembra negata. Sarebbe fantastico se un giorno arrivasse qualcuno a dire, sì, sono io, sono proprio io quello che cerchi.
Allora il punto sarebbe tutto nel credergli o no. Perché, se davvero fosse lui, non dovremmo cercare oltre.

Paolo l’immorale

Oggi si ricorda la conversione di San Paolo. E’ un santo che mi sta simpatico non solo perché da lui prende il nome la compagnia di amici che mi accompagna da trent’anni, ma anche perché sta potentemente sulle scatole alla cosiddetta cultura moderna. Ricorda ai chierici imbolsiti che, per Cristo, si può essere bastonati, lapidati, imprigionati, uccisi. Che, pur vivendo in mezzo a un’epoca che esalta la dissolutezza e la forza, pur assaliti da una mentalità comune che ti giudica folle e sciocco, pur essendo perseguitati dal potere, non si deve cedere di un passo nell’affermare ciò che è giusto e vero. Anche se i perversi di oggi e di ieri lo trovano scorretto e fuori moda; si potrebbe dire immorale, quando la morale è quella arrogante dell’egoismo e dell’orgoglio che ci viene quotidianamente esaltata.

E’ odiato, disprezzato, cancellato perché rammenta ai cristiani di facciata ma non di cuore che il fulcro del cristianesimo non è un generico “volemose bene” sciatto e presuntuoso, ma la croce. Lo sanno bene i tanti martiri di questa Chiesa che, nel silenzio assordante, soffrono e muoiono perché hanno davvero fede. Viva Paolo l’immorale, il persecutore convertito, che chiama le cose con il loro nome perché ci desidera salvi. Perché ama.

Vuoto

“No, aspetta, cosa…? Ferma! Mi fai male, mi stai facendo male! Perché?”
“Faccio che mi pare. Tanto l’inferno è vuoto”.

Essere uomini

Non ci libereremo della cattiveria della gente, degli stupidi e degli arroganti, di tutti quelli che sbagliano e di tutti i malvagi con qualche soluzione filosofica, una nuova struttura sociale, un ritrovato tecnico. Perché noi siamo parte di quella stessa umanità.

Non ci libereremo delle nostre mancanze, dei nostri difetti, del nostro peccato (originale) con le buone intenzioni. Anzi, se è possibile queste peggiorano la situazione, perché non sono altro che il credersi dio di sé stessi. Non possiamo che fallire: come già detto, non siamo che umani.

Nessun principe, nessun eroe, nessuno scienziato, politico o filosofo ci può salvare. Nessun uomo lo può.
Possiamo solo distruggerci, o accettare che qualcun altro ci salvi. Un Dio. Un Dio che non sia una infallibilità remota, un giudice senza misericordia, ma che capisca cosa significa sbagliare, cadere, soffrire; cioè essere uomini.

A volte ritornano

Qualche giorno fa sono stati resi noti i risultati di un esteso sondaggio nel clero statunitense. Quello che ha colpito non solo me è la variazione dell’orientamento rispetto all’ortodossia teologica per anno di ordinazione (clicca sull’immagine per ingrandirla).

Più dell’80% dei sacerdoti ordinati dopo il 2020 si definisce ortodosso\tradizionalista (colore rosso), un quarto del complessivo lo è “molto” (rosso scuro), la quasi totalità rigetta la visione progressista (blu): la categoria “molto progressista” (blu scuro) è del tutto sparita, e anche i “non schierati” (azzurro) sono molto ridotti. Le percentuali progressisti\tradizionalisti si sono più che invertite rispetto ai sacerdoti ordinati ai tempi del concilio Vaticano II. Da quell’epoca in avanti, la discesa della “teologia creativa” è costante.
Non deve quindi meravigliare se c’è uno scollamento tra i vescovi e cardinali, anagraficamente figli di quei tempi, e il clero più giovane, come testimoniato dai successivi dati della ricerca.

Alcune considerazioni.
Una parte della sparizione delle posizioni progressiste può essere senz’altro imputato al fatto che chi ha questo tipo di impostazione non pensa più di farsi prete. Ma ciò non basta a spiegare del tutto il dato: infatti il numero di ordinazioni negli Stati Uniti, nell’ultimo quarto di secolo, è rimasto sostanzialmente stabile, mentre lo spostamento di idee è continuato.

Una seconda considerazione è che le attuali “aperture al mondo”, chiamiamole così, vanno esattamente in senso inverso rispetto alla realtà. Le aperture, invece di fare entrare gente, sembrano solo fare uscire quelli che già ci sono. Lo stato dei seminari nelle regioni più liberali è miserando, dove l’impostazione è più ortodossa c’è una fioritura di vocazioni. Chi impegna la vita non lo fa per seguire un dubbio. Apparentemente, il progresso consiste nel mollare il mito dell’inevitabile progresso.

Una terza considerazione è che, man mano che l’attuale generazione di vescovi e cardinali va naturalmente verso la tarda età, essa potrebbe essere rimpiazzata da persone che vedono in luce diversa e più favorevole il Magistero rispetto a certe posizioni eterodosse che oggi sembrano dominare, almeno in certe regioni. Tra una trentina d’anni alcune correnti che vorrebbero buttare a mare duemila anni di storia della Chiesa potrebbero essersi esaurite. Questo a patto che un certo clericalismo, per usare un termine forse un po’ abusato, non insista nel mettere in posizioni di potere solo i propri sodali.

L’ultima considerazione riguarda le ragioni profonde di questo spostamento. Forse l’errore si è palesato come tale, occorre essere ciechi per non vederlo; forse il vero non può essere soppresso, per quanto ci si tenti. Può darsi che l’attuale situazione sia servita per farcelo toccare con mano, e che lo stato attuale delle cose, l’incertezza che ci avvolge non sia che gli ultimi spasmi di una ideologia morente.
In fondo non solo la fede, ma anche la speranza è una virtù.

Solitudine, se vogliamo

La tentazione più forte è credere che Cristo ci abbia abbandonato. Che in fin dei conti non fosse vero, se vogliamo un’idea appena migliore.
Farsi prendere dal rancore, brutto affare, o dalla disperazione, un pessimo affare. La tristezza ci sta; lei misura lo spazio tra il sogno e il reale. Ma la disperazione no, è pensarsi soli.
Ecco, se vogliamo è una questione di solitudine. Tremare al pensiero che non ci sia un Tu che ci vuole bene, alla fine del sentiero.

Nonostante tutto quello che siamo, che abbiamo visto, che vediamo. Che sciocchi.

Scandali

Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Mc 8, 27-33

L’estate è la stagione degli scandali. I giornali e la televisione li inseguono spasmodicamente, divorando vivi gli incauti che hanno osato, o i presunti tali. Non c’è pietà nei giornalisti, hanno gli occhi del macellaio che valuta la prossima bestia da trasformare in bistecche.
Poiché la parola scandalo ha cambiato di significato è difficile comprendere il vero significato di quel passo evangelico dove Cristo dice in faccia a Pietro “tu mi sei di scandalo”. Come se Gesù si potesse davvero scandalizzare secondo il significato moderno.

Ricordo un attimino il contesto. Lui e gli apostoli stanno viaggiando verso Gerusalemme e Cristo chiede loro chi la gente pensa che Lui sia, e poi chi loro pensano Lui sia. E’ Pietro che risponde, indicando in Lui il Messia. Al che Gesù risponde “Simone, tu sei Pietro, e su questa pietra fonderò la mia Chiesa”. Eh, apoteosi per il pescatore. Subito dopo però Cristo asserisce che, giunti a Gerusalemme, dovrà soffrire e morire. Pietro lo prende da parte e gli dice, vacci piano con le parole, non è possibile, hai appena detto di essere il Messia, mica devi fare il disfattista che poi spaventi gli altri. Non possiamo perdere, andiamo a comandare.

“Scandalo”, anticamente, definiva la pietra che ti fa inciampare, quell’insidioso sasso in mezzo al sentiero che stai percorrendo.

Pietro, la pietra che dovrà fare da fondamenta, invece che rimanere piantata sotto a sostenere l’edificio è andata avanti per conto suo, si è posta in mezzo alla strada e prova a fare inciampare e cadere il suo Maestro. Gesù potrebbe benissimo evitare il massacro che lo attende, ha ogni opportunità. Pietro lo sta invitando a farlo, è un tentatore, un Satana, perché sta ragionando di testa sua, anzi, come ragionano tutti, come ragiona quel mondo che Gesù è venuto a salvare. Un ragionamento secondo una logica di potere, di evitare il rischio, di forza: con tutte le buone ragioni, le migliori intenzioni, correttissimo ma esattamente il contrario di cosa è venuto a fare Cristo.
Solo se Simone si rimette dietro, al suo posto, se viene dietro a Lui invece di credersi astuto e migliore, invece di andare avanti presumendo di sapere, può essere ciò che è. Pietro.

Quando noi inseguiamo gli scandali noi ragioniamo secondo il mondo. Andiamo alla ricerca di ciò che fa inciampare. Rifiutiamo la prospettiva della sofferenza, della croce; presumiamo di essere meglio di chi dovremmo seguire. Piccoli Satana.

Chi c’è alla porta?

Ai tempi antichi dei greci e dei romani, la malattia era vista come la conseguenza di un peccato, di uno sfavore divino. Chi era ammalato doveva perciò tentare di riconquistarsi la benevolenza degli dei con offerte e sacrifici.

Per i cristiani, invece, la persona malata era Cristo. Non figura di Cristo: proprio Cristo, e in quanto tale occorreva accoglierlo e curarlo al meglio. Nel buio medioevo la Francia contava oltre duemila ospedali, in tutta Europa erano quasi ventimila. Non erano buchi maleodoranti: l’arredo, i pasti, l’assistenza erano tutte della massima qualità possibile.
I sacerdoti che facevano assistenza, per esempio ai lebbrosi, ovviamente avevano alte probabilità di rimanere contagiati. Chi poteva accettare di fare un mestiere tanto pericoloso, se non per qualcosa di differente da uno stipendio?

L’ingresso dell’Ospedale del complesso di S.Antonio di Ranverso, che ho visitato qualche mese fa, era imponente quanto quello della chiesa: perché in ambedue potevi trovare fisicamente Gesù.
Poi arrivò l’Umanesimo, e la Ragione, e piano piano la cura dei sofferenti passò in mano a professionisti che non condividevano le stesse vedute. Oggi i paziente è visto come un caso da curare, nella migliore delle ipotesi; e sappiamo cosa si auspica per gli incurabili.

Tutti abbiamo in mente gli ospedali del nostro tempo. Chissà cosa sarebbe se ancora oggi si avesse la stessa consapevolezza verso chi soffre che dimostra quell’ingresso di più di mezzo millennio fa.

C’è ginocchio e ginocchio

Ancora sull’inginocchiarsi.
Mi mandano queste due citazioni

Se non ci si inginocchia a Dio, a che cosa?

e

Si impara ad inginocchiarsi a Dio per non farlo con gli uomini

Ne aggiungo una terza:

Quando una volta si è provato ad essere amati liberamente, le sottomissioni non hanno più nessun gusto.
Quando si è provato ad essere amati da uomini liberi, il prosternarsi degli schiavi non vi dice più nulla.
Quando si è visto san Luigi in ginocchio, non si ha più voglia di vedere
Quegli schiavi d’Oriente prostrati a terra
Quanto son lunghi bocconi per terra. Essere amati liberamente,
Null’altro ha lo stesso peso, ha lo stesso valore.

Charles Peguy, Il mistero dei santi innocenti

Inginocchiarsi significa riconoscere che c’è qualcosa o qualcuno più grande di noi.
Lezione difficile, in quest’era in cui si crede che il serpente avesse ragione.

In ginocchio da te

Perdonatemi, un altro scleramento ecclesiale.
Se non leggo male è prescritto che, durante la messa, alla consacrazione chi può si inginocchi.

E’ un minimo di rispetto per chi ha dato la vita per noi e ce la dà ogni giorno. Se così è, perché chiese anche importanti hanno banchi sprovvisti di inginocchiatoio?

Certo, ci si può anche inginocchiare per terra; ma non tutti posseggono la mia agilità, in certi luoghi è decisamente scomodo o quasi impossibile chinarsi, non c’è posto, e c’è sempre quella remora dello sporcare l’abito buono.

E’ una domanda alla quale non so dare una risposta senza peccare di malizia. Mi verrebbe da dire che non si vede la necessità di inginocchiarsi davanti a un simbolo, a qualcosa a cui non si crede, a ciò che ci è indifferente. Ci si inginocchia davanti a chi si rispetta e si ama. Forse è proprio lì il problema.

Gli occasionali

Io frequento abitualmente la messa domenicale, così come un tempo la grande maggioranza degli italiani. Come ben sappiamo oggi non è più così. Noialtri che ogni settimana andiamo in chiesa sperando in funzioni non troppo eretiche siamo una minoranza. Per contro gli italiani, per quanto preferiscano la gita o la dormita ai banchi della parrocchia, non hanno del tutto rinunciato ad alcune pratiche antiche, come il festeggiare anniversari o ricordare i defunti delle proprie famiglie durante i riti sacri.

Il guaio è che spesso la liturgia è diventata, per queste persone, un ricordo di anni di catechismo ormai troppo lontani. Li distingui subito: sono vestiti a festa, con cura anche eccessiva, in alcuni casi inopportuna. Ho visto ragazze e signore con abbigliamento più adatto a una soirée che al sacrificio eucaristico. Si piazzano in banchi contigui, parlando e caciarando tra loro, tra saluti baci e abbracci. C’è chi scorta la famiglia e poi si defila, preferendo la piazza antistante al sermone. Ci sono i bambini che non colgono bene perché dovrebbero smettere di giocare e inseguirsi, guardati con occhio spento dai genitori. C’è la nonna che è la ragione per cui probabilmente questa gita ai sacramenti sta avvenendo che siede unica dignitosa, silenziosa, ritta con la badante sbadata accanto.

Gli occasionali si siedono spesso ai primi banchi poi, quando la messa comincia, si rendono conto di non avere idea di quando ci si debba alzare sedere inginocchiare, così tengono d’occhio obtorto collo le pie donne del banco dietro e ne imitano le movenze, con ritardo da cronaca differita. Generalmente tacciono quando tocca rispondere, salvo quelli con la memoria più viva, ma anche costoro sono fregati dai cambiamenti liturgici. Incespicano sul Padre Nostro e cannano l’Agnello di Dio; ma che volete, capita anche a me. Alla comunione alcuni hanno il buon senso di non partecipare, probabilmente l’ultima loro confessione è avvenuta qualche decennio prima. Quelli che fanno la loro seconda comunione si consultano febbrilmente con i membri della famiglia più devoti chiedendo come la si debba ricevere, e meno male, perché chi non lo chiede l’afferra tra due dita quasi fosse un biglietto del tram.

Il fedele medio poi conosce bene la piaga dei telefonini, per lui silenziare o spegnere l’apparecchio oppure lasciarlo a casa è diventata una seconda natura. L’occasionale no; ignora i cartelli e gli appelli, così durante la consacrazione, nel momento di maggiore sacralità, spesso risuona l’allegro imbarazzante motivetto di chiamata. Tre squilli, prima che la persona capisca che è il suo. Altri quattro mentre lotta con borsa o borsello per estrarre l’oggetto, successo segnalato dal suono improvvisamente più forte della suoneria a pieno volume. Qui c’è un bivio. Alcuni, fregandosene, rispondono con un sonoro “Sì”, seguito da brandelli di conversazione e da agitazione collettiva mentre il ricevente esce dal banco e percorre tutta la navata verso l’esterno. Altri semplicemente chiudono la chiamata. Il fedele inginocchiato sa cosa sta per accadere, e mormora innalzando gli occhi al cielo “Distislu, badola, ca t’ciama ancura” (“Spegnilo, sbadato, che ti richiama”). Generalmente l’invocazione non viene accolta, e il telefono comincia a squillare appena richiuso nella borsa. Si ricade nel caso uno.

Che volete farci, c’è sempre la speranza che magari questi ritornanti colgano un accento, una parola, un segno e ripensino a chi sono, a cosa stanno perdendo. Cosa stanno perdendo e cosa hanno perso: come la mamma che spiegava al proprio pargolo, che chiedeva curioso cosa fosse quella cosa che tutti mangiavano, che era un simbolo del corpo di Gesù. Signora, fosse un simbolo non mi muoverei di un metro, la domenica. Non entrerei in chiesa, perché se sei innamorato di qualcuno non te ne frega del simbolo di chi ami, vuoi proprio la sua presenza. Non puoi essere solo un occasionale.

Pensavo le crociate

Mentre salivamo lentamente in silenzio dietro la croce, oggi pomeriggio, su per la mulattiera che conduce alla Sacra di S.Michele, abbiamo incrociato una coppia che scendeva. Camminando in sensi opposti mi sono trovato accanto a loro per appena un paio di secondi, giusto il tempo di sentire un frammento di cosa quel ragazzo stava dicendo alla sua compagna: “…Pensavo le crociate”. E lei rideva.
Anche i simpatici netturbini, giù in paese prima della partenza, e quel signore che portava a passeggio il cane e i nipotini sembravano genuinamente perplessi su cosa stessimo facendo in così tanti, lì, nel primo pomeriggio del venerdì prima di Pasqua. “Venerdì Santo” e “Via Crucis”, insieme a quelle che erano le basi della vita cristiana, sembrano ormai completamente spariti dall’orizzonte dell’esistenza comune. Si vive come se Dio non esistesse, e dire “non c’è più religione” non è un modo di dire. In chiesa ci si entra raramente, giusto quando muore un qualche parente.

So che si può vivere così, è facile dimenticarsi dell’orizzonte, o del cielo, se non si alza mai lo sguardo.
So che si può. Ma non riesco più a farlo. So che il cielo c’è, perché l’ho visto, e la vita senza di lui, senza un senso, mi va stretta. Perciò salgo quel sentiero, canto quei responsori, digiuno, rido con gli amici, prego. Perché il senso che cerco è in quella croce, e in tutto quello che viene dopo.

Buona Pasqua

Il sangue sulle mani

Leggevo poc’anzi un lungo articolo di John Waters su come si è giunti, in Irlanda, a introdurre l’aborto nonostante fosse specificato nella Costituzione il rispetto dei diritti fondamentali, compreso quello alla vita. Per riassumere, a un certo punto i giudici hanno deciso che il “popolo” se lo desiderava poteva cambiare anche la Costituzione infischiandosene della legge naturale e di quanto scritto. Ovvero che non esisteva alcuna legge che fosse intoccabile dall’uomo, nessuna verità che non potesse essere rovesciata con opportuni giri di parole. Se una cosa era scritta chiara, bastava cambiare il significato dei termini; anche se era evidente a tutti l’inganno, il potere era troppo forte per opporre la verità, fosse pure per salvare vite innocenti.

“In questo la Corte Suprema appariva negare la sua stessa funzione, che è proteggere il testo costituzionale e il suo significato in accordo con gli imprescrittibili diritti espressi in tale testo”

Perché stupirsi? Le leggi e la costituzione, irlandese, italiana o di qualsiasi altro paese, sono solo parole scritte dall’uomo. Per quanto belle e nobili non hanno valore se nessuno le protegge, esattamente come una fortezza dipende dai suoi difensori. L’uomo è misero e meschino oltre ogni dire, e difficilmente sfiderà chi è forte se ne ha svantaggio, se teme di perdere.

Basta guardare a ciò di cui stiamo facendo memoria in questi giorni, la Settimana Santa. Cristo era sicuramente innocente, non aveva fatto del male ad alcuno, anzi. La legge avrebbe dovuto proteggerlo. Ma aveva sfidato il potere, e il potere non prende bene le sfide. I popolani di Gerusalemme che urlano “Crocefiggilo” sempre più forte stanno chiedendo la morte di un uomo, non dobbiamo scordarlo. Esattamente come chi ha votato, brigato, proposto perché l’aborto fosse legale qui in Italia, in Irlanda, altrove. C’è un interesse ad ammazzare l’innocente, c’è chi urla perché sia messo a morte, e chi tace per viltà, opportunismo, quieto vivere, o semplicemente perché la questione non interessa. Vogliono ucciderlo? Avrà pure fatto qualcosa, fosse solo esistere. Dà fastidio.

Così i giudici sono anche accusatori, o se ne lavano le mani. La croce viene eretta, il condannato inchiodato, la morte arriva ed è tutto finito, normalità ristabilita, si può continuare a vivere come prima.
Ce ne vuole, però, per mandare via le macchie di sangue. O cancellare la consapevolezza che la giustizia è altro, il vero è altro e noi siamo tutti peccatori, noi che non eravamo sotto la croce ma a casa nostra, o in piazza davanti a Pilato, o al Sinedrio, opportunisti o complici. Ma chi potrà lavarci, chi ci potrà perdonare? Chi ci aiuterà a smettere di essere quello che siamo?
E se ci fosse chi lo potesse, noi, lo chiederemmo?

Perfettamente vuoto

Mentre lavoravo, oggi, ascoltavo la versione completa dell’Ufficio della Settimana Santa di Luis De Victoria (parte 1, parte 2). Colui che ha messo su la registrazione, eseguita da un coro di monaci e monache, ha lasciato scritto nelle note che
“Ricordiamo, però, che il canto gregoriano non è solo un’arte, è soprattutto una preghiera. Gli specialisti del canto gregoriano sentono subito quando sono i monaci ad interpretare questo canto o gli specialisti profani che cantano per l’arte ma non sentono l’interiorità spirituale ben presente nei monaci.”

Un commentatore ha risposto “ridicolo”. Mi si permetta di dissentire con quel commentatore. La mia esperienza di molti anni dice esattamente questo. Quante volte ho ascoltato cantanti professionisti di indubbio valore e tecnica sopraffina intonare canti sacri senza riuscire a passare un oncia di emozione, mentre voci molto meno addestrate ma consapevoli di quello che cantano ti lasciano con il cuore pieno.
Capire quello che si sta dicendo, desiderare di condividerne il significato, dà una profondità e un calore che neanche l’esecuzione più perfetta stilisticamente ma vuota di senso riesce a comunicare. E’ come un “Ti amo” detto dalla persona che veramente ama, all’opposto di qualcuno che recita quelle parole con l’animo arido.

Così anche i giorni che stiamo per vivere, il Giovedì e Venerdì Santo, la Pasqua, possono essere la ripetizione di riti magari anche accuratamente seguiti, ma vuoti di condivisione, di immedesimazione con quei fatti; solo frasi e gesti eseguiti per dovere o abitudine. Distaccati dalla vita, mentre sono il senso stesso dell’Universo e del nostro destino. La differenza c’è.

Noi, gli schiavi

Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.

Gv 8, 31-36

L’ho risentito anche oggi a messa: “La verità vi renderà liberi”.
Non è detto da nessuna parte che la libertà ci renderà veri.

Se la verità rende liberi, non scegliere la verità fa rimanere schiavi. Quindi chi opta per il male e la menzogna non è davvero libero.

Tutti quelli che ci raccontano menzogne, e quante ne sentiamo, lo fanno per imprigionarci. Comprese le “balle dette a fin di bene”. Una prigione buonista rimane una prigione, con sbarre e catene, fossero pure fatte d’oro.

Tutti coloro che cercano di annacquare Cristo, di allontanarci da Lui per propagandare verità alternative, che suggeriscono che essere liberi è fare ciò che si vuole, che essere fedeli alla Sua parola è troppo difficile e inadatto al mondo di oggi, tutti costoro vogliono allontanarci dalla verità e quindi dalla libertà. Perché Lui è via, verità e vita.
Talvolta ci illudiamo di essere liberi perché cittadini, perché adulti, perché uomini. Perché figli di Abramo, perché pensiamo di non essere schiavi e di non poterlo diventare. Oh, quanto poco abbiamo capito, quanto poco ci conosciamo, oppure quanto non vogliamo ammettere di noi stessi. Noi, gli schiavi.

Un filantropo pieno di compassione

Sul tema della filantropia, hanno portato alla mia attenzione un notevolissimo del compianto Arcivescovo bolognese Biffi che spiega davvero bene il punto.

Biffi commenta il famoso racconto dell’Anticristo di Soloviev, che trovate integralmente qui. L’Anticristo, una figura pubblica affascinante e carismatica, viene democraticamente eletto a capo del mondo. Nota Soloviev: “Il nuovo padrone della terra (l’Anticristo) era anzitutto un filantropo pieno di compassione“.
In quegli stessi anni in cui il filosofo scriveva la sua opera, Tolstoj proponeva una religione fatta di alti valori morali. Questi precetti, secondo Tolstoj, vengono certamente da Cristo, con qualche piccola rettifica, ma per essere validi non hanno affatto bisogno dell’esistenza attuale di Gesù Cristo, del Figlio del Dio vivente.

Dice Biffi:

Il cristianesimo ridotto a pura azione umanitaria nei vari campi dell’assistenza, della solidarietà, del filantropismo, della cultura; il messaggio evangelico identificato – guardate che sono tutte cose buone, che sono conseguenze, ma è l’identificazione che colpisce al cuore il cristianesimo – nell’impegno al dialogo tra i popoli e le religioni, nella ricerca del benessere e del progresso, nell’esortazione a rispettare la natura; la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità (cfr. 1 Tm 3, 15), verrà scambiata per un’organizzazione benefica, estetica, socializzatrice: questa è l’insidia mortale che oggi va profilandosi per la famiglia dei redenti dal sangue di Cristo. (…)

Anche se un cristianesimo «tolstojano» ci renderebbe molto più accettabili nei salotti, nelle aggregazioni sociali e politiche, nelle trasmissioni televisive, noi non possiamo e non dobbiamo rinunciare al cristianesimo di Gesù Cristo, che ha al suo centro lo «scandalo» della croce e la realtà sconvolgente della risurrezione del Signore. Gesù Cristo, il Figlio di Dio crocifisso e risorto, unico Salvatore dell’uomo, non è «traducibile» in una serie di buoni progetti e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità mondana dominante. (…)

Ci sono dei valori assoluti, o, come dicono i filosofi, trascendentali, quali sono ad esempio il vero, il bene e il bello. Chi li percepisce e li onora e li ama sente, percepisce, onora e ama Gesù Cristo anche se non lo sa, magari anche se si crede ateo, perché nell’essere profondo delle cose Cristo è la verità, è la giustizia, è la bellezza. Poi ci sono valori relativi, o categoriali, valori però, come il culto della solidarietà, l’amore per la pace, il rispetto per la natura, l’atteggiamento di dialogo, etc. Questi valori meritano un giudizio più articolato che preservi la riflessione da ogni ambiguità. Solidarietà, pace, natura, dialogo possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un approccio iniziale e informale a Cristo e al suo mistero. Ma se nell’attenzione dell’uomo questi valori si assolutizzano fino a svellersi del tutto dalla loro oggettiva radice, o peggio fino a contrapporsi, come il caso di Tolstoj, all’annuncio del fatto salvifico, allora diventano istigazione all’idolatria e ostacoli sulla strada della salvezza. Allo stesso modo nel cristiano questi stessi valori (solidarietà, pace, natura, dialogo) possono offrire preziosi impulsi all’inveramento di una totale e appassionata adesione a Gesù Signore dell’universo e della storia. Ma se il cristiano, per amore di apertura al mondo e di buon vicinato con tutti, quasi senza avvedersene, stempera sostanzialmente il fatto salvifico nell’esaltazione e nel conseguimento di questi traguardi secondari, allora egli si preclude la connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto, consuma a poco a poco il peccato di apostasia e si ritrova alla fine dalla parte dell’Anticristo.

Alle proposte dell’Anticristo di un cristianesimo senza Cristo risponde, nel racconto, lo starets Giovanni:


Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da lui, giacché noi sappiamo che in lui dimora corporalmente la pienezza della Divinità

Se noi non replicassimo allo stesso modo alle lusinghe del mondo, che cristiani saremmo?

Qui il completo intervento di Biffi:

Qui il testo dell’intervento

Una passeggiata nella bellezza

Qualche sera fa, in tre orette scarse,

Ho assistito a una messa cantata, partecipata, con una splendida omelia che mi ha sollevato il cuore
Ho capito, con il cuore e non con il sentimento o il preconcetto, cosa davvero serva la liturgia
Ho conversato con un vescovo e dei sacerdoti che davvero amano Cristo e quindi la sua Chiesa
Ho ascoltato di opere di misericordia a me quasi sconosciute (nonostante siano non distanti da dove abito), e racconti edificanti di santi preti
Ho visto tre suore giovani e belle cantare le lodi del Signore e adorare in ginocchio
Sono stato testimone dello splendore e la bellezza, in edifici e manufatti, che abbiamo ereditato da un tempo in cui a Dio si dava tutto.
Ho ritrovato amici vecchi e nuovi, belle famiglie, tutti con la loro croce e i loro problemi, ma uniti da uno slancio e una gioia che altrove non si trova.

Il nostro guaio, amici cristiani, è che non conosciamo il tesoro che portiamo. Ce ne dimentichiamo, lo ignoriamo, quando dovrebbe essere il nostro più grande vanto, la nostra unica speranza.

Demoni, animali e uomini

Ho discusso, nei giorni scorsi, con un lettore che non trovava corretto quanto scritto qui a fianco nella descrizione di “Berlicche”: cioè che “i diavoli CREDONO in Dio“. Il suo appropriato argomento era che “più che crederCi come opinione personale, sanno che Lui esiste come dato di fatto“.
E’ così, ne hanno esperienza, almeno per quanto ne sappiamo, così asserisce il Vangelo.
In realtà la frase è una citazione, Giacomo 2,19. “Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano!

Ora, la piglio un poco larga. Non so se avete mai visto quel film di ormai ben quarantacinque fa, “Animal House“, regia di John Landis, che aveva tra i protagonisti anche uno strepitoso John Belushi. E’ un po’ scollacciato, ma con un piglio che le pellicole successive ambientate nel chiassoso mondo delle confraternite universitarie americane non riuscirono mai a imitare. Narra le vicende di un gruppo di studenti goliardi degli anni ’60, dediti a ogni vizio possibile, in lotta con la rigida direzione del college. Certe sequenze sono davvero leggendarie.

Ne ho riviste alcune scene qualche giorno fa, e mi è venuto in mente che oggi forse si considera Dio un po’ come in quel film i simpatici dissoluti consideravano il rettore: un despota che ti mette sotto doppio controllo segreto, vorrebbe impedirti di portare a letto figlie e mogli altrui e magari pretende pure che tu studi.
Anche gli studenti della confraternita Delta certo non mettevano in dubbio l’esistenza del rettore, ne avevano esperienza, ma non avevano nessuna intenzione di adeguarsi.

E’ in base a questa falsa idea che si fugge Dio, o lo si ignora; quando forse il Suo desiderio sarebbe semplicemente che tutti cercassero il meglio per se stessi (che probabilmente non include toga party).

Certo, da giovane tenevo per i simpatici fuori di testa, lontani anni luce dall’odierno politicamente corretto e per molti versi più sani delle loro controparti moraleggianti. Avevano però davvero ragione quelli dell’Animal House, o erano una manica di perdenti perditempo smarriti sulla via del vizio? Se non è una morale staccata dalla vita la soluzione, non lo è neanche una vita staccata dalla morale. No, non siamo noi stessi a decidere cos’è il bene, possiamo solo limitarci a sceglierlo oppure no. Decidere se essere uomini o animali.
Come per i demoni, non basta credere all’esistenza di qualcosa, o Qualcuno, perché se non ci cambia è come se per noi non esistesse. Se quel Qualcuno è chi ci fa, che dà senso e sostanza alla vita, la fonte ultima di ogni bellezza e ogni verità, la forma stessa dell’amore, ignorarlo sarebbe davvero un brutto errore.

Brigida la tosta

Il primo febbraio è la festa di Santa Brigida, una santa irlandese del quinto secolo. Come per il conterraneo e contemporaneo San Patrizio di lei si sa poco di storicamente certo, non sono molti i documenti sopravvissuti di quell’epoca; un gran numero di leggende e miracoli e tradizioni, come le croci di Santa Brigida fatte intrecciando i vimini, in compenso. Morì attorno al 524; si conosce la sua probabile famiglia, i Fothairt, e l’area di nascita, il Kildare. Sappiamo che beneficò molto i poveri e i sofferenti e che fondò monasteri, monasteri sono stati per un millennio tra le più influenti istituzioni dell’isola. Ci sono pochi dubbi che l’abbia fatto veramente: in quella società ancora fortemente pagana le donne erano totalmente assoggettate al loro parente maschile più prossimo, non potevano possedere beni né testimoniare in tribunale, come gli schiavi, i minori e i pazzi. Ma di fronte alle formidabili badesse nel medioevo anche i vescovi dovevano cedere il passo.

Quando si è trattato di istituzionalizzare la festa dedicata alla santa, però, l’Irlanda ormai scristianizzata le ha preferito qualcun altro. Nel clima inclusivo si voleva comunque dedicare un giorno festivo a una donna, così alla santa è stata sostituita una dea celtica, Brigit.
Ora, di Brigit si sa molto meno che di Santa Brigida. La prima volta che la divinità viene nominata è in un trattato scritto intorno all’anno mille, quindi cinque secoli dopo. Non è neanche certo che quegli autori non si siano inventati tutto; se era venerata una dea di nome Brigantia nell’Inghilterra preromana, attestata in alcune iscrizioni, non sono mai state rinvenute testimonianze dirette della sua quasi omonima irlandese né se abbia mai avuto un culto. Qualche vago accenno, e tanto basta per costruirci sopra mitologie.

Però, capiteli anche questi poveretti: pur di far dimenticare la tosta Brigida, cattolica e pure santa, qualcosa dovevano pur tirare fuori. Sostengono che i cristiani abbiano usurpato le feste pagane; potrebbe essere anche in parte vero, non lo sappiamo, ma ciò che è certo è che i nuovi pagani al potere stanno usurpando e cancellando feste cristiane vive dopo 1500 anni.
Massì, lasciamoli pure fare sacrifici a questa mitica divinità che, poveretta, non deve essere molto efficiente se di essa si era persa la memoria. Che la invochino per ottenere felicità e prosperità; e di quelle arrivi loro tutto quello che l’antica dea è in grado di concedere.

Vergine e martire

Se avete presente un minimo il calendario, se avete girato un po’ l’Italia dei vecchi paesi, e se magari avete anche qualche ricordo del catechismo antico, probabilmente avete un’idea del gran numero di martiri che la Chiesa ricorda nei primi secoli.
Forse non ci avete fatto caso ma spesso, per quelli di sesso femminile, la dicitura è “vergine e martire”. Perché dare tanta importanza alla verginità? Perché, a quei tempi, era normale abusare dei deboli, cioè donne, bambini e schiavi. Il cristianesimo rifiuta questo modo di pensare, e la reazione da parte di chi ha la forza e il potere è atroce. Fino alla morte di chi si oppone; un rifiuto dato non per proteggere una condizione fisica, ma per sottrarsi alla profanazione dello spirito, prima che a quella del corpo. La verginità significa non essersi piegati all’antica concezione di uomo, cioè lo sfruttamento della persona.

Una mentalità che non è solo di quei tempi. Dieci secoli più tardi, a San Tommaso d’Aquino fu fatta trovare in stanza dai fratelli una donna nuda e disponibile, per distoglierlo da quel cammino che aveva scelto (lui la cacciò con un attizzatoio, pare). Più recentemente, non sono passati duecento anni da che Carlo Lwanga fu martirizzato per essersi rifiutato di concedersi al proprio re.

Oggi avrebbe ancora luogo quel loro martirio? Da ogni dove arriva l’invito ad essere sessualmente attivi, come fosse piccola cosa, e pare che la verginità sia un peso di cui liberarsi al più presto. Nell’immaginario non si tratta più di una virtù, ma una sorta di depravazione. Non dissimilmente la pensavano quegli antichi di venti secoli fa dei primi cristiani, come i testi dell’epoca ci ricordano. Con la differenza che oggi è richiesto sia volontario ciò che allora era spesso forzato; per adesso, almeno. Ma, in fondo, sempre di sfruttamento per il proprio piacere si tratta, anche se reciproco.

Chi oggi ancora predica la verginità, o anche solo la castità? Sembra ormai impossibile parlarne. Anche dentro la Chiesa edificata su quei martiri e che chiama sacramento il matrimonio c’è chi è più che propenso a dichiarare accettabili non solo i rapporti fisici senza vincolo e promessa definitiva, ma anche quelli occasionali e persino quelli che un tempo si chiamavano contro natura.
E’ sempre amore, no?
No.

Riconoscere

Qualche anno fa siamo stati colpiti dall’alluvione. Quella volta ho passato ventiquattr’ore filate a spalare acqua.
Perché l’ho fatto? Perché sono contro il cambiamento climatico? Contro la cementificazione? Perché l’ordine e la pulizia siano mantenute? Per mostrare a tutti i miei muscoli guizzanti da uomo vero?
No di certo. Amo la mia famiglia, e di conseguenza casa mia. Non è una preoccupazione morale. Non è un impegno. Non l’ho fatto per dovere.

Non sarà un’astratta legge morale a salvare il mondo, ma un’incarnazione: il bello, il vero, il giusto che si fanno carne, si fanno incontrabili. Qualcosa che c’è prima delle mie preoccupazioni, dei miei dubbi e desideri, di tutte le filosofie e i ragionamenti. Prima, non al loro posto. Solo in questa maniera le mie preoccupazioni trovano riposo, i miei dubbi risposta, i miei desideri soddisfazione, le filosofie fondamento, i ragionamenti sostanza.
Non per un mio sforzo, ma come un fatto che rende possibile ciò che con le nostre forze non sembra realizzabile. Semplicemente riconoscendolo. Amandolo.
In fondo essere salvati vuol dire questo. Questa è l’Epifania, Dio-con-noi.