L’artista arrapato

Partirei da questo tweet:

“Le macchine non possono produrre vera arte perché non possono mai essere arrapate, il primo passo nel produrre qualsiasi oggetto d’arte

Che ne ve ne pare? L’autore ha ragione?
A mio parere, l’intuizione ha un inizio di verità, ma manca il bersaglio.
Non necessariamente si deve essere eccitati sessualmente (aka arrapati) per produrre arte. E’ una visione estremamente riduttiva; facilmente smentibile dagli artisti – almeno, molti di loro.
E’ vero che un Romeo fulminato dall’amore ha un’alta probabilità di cantare a tutti della sua Giulietta, come pure un Leopardi; ma è una possibilità, un inizio.

Non occorre essere in calore per essere artisti: a meno che non si pensino brutte cose di chi dipinge la propria anziana madre. No, io direi che la premessa per fare arte è un’altra: ovvero il desiderio.
Desiderio non necessariamente erotico, del soggetto di ciò che si canta, disegna o scolpisce: desiderio di una bellezza.
Desiderio di essere partecipi in qualche maniera alla generazione della realtà; essendo poi essa il riflesso del suo creatore, di farlo nel miglior modo possibile; esserne degni, magari anche inconsapevolmente.
Desiderio di felicità; promessa di adempimento di ciò che il nostro cuore vuole. Anche la promessa è un fatto, e il desiderio documenta che la promessa è il fatto che sta all’origine di tutto l’avvenimento umano.

E’ per questo che le macchine non possono fare vera arte, perché non sanno ciò che fanno e ciò che vogliono. Solo sono programmi scritti per svolgere un compito, senza consapevolezza di loro stessi. A volerla dire tutta, questo spiega anche perché parte cosiddetta arte contemporanea sia tanto brutta, ovvero non sia arte. L’arte parla d’altro, anzi, parla d’Altro. Quando non lo fa, quel desiderio che la genera si richiude su se stesso. Un desiderio maldiretto, come può essere un’affezione, un desiderio sessuale che sfocia in possesso dell’altro e violenza.

Forse l’arte, invece, è speranza.

Informazioni su Berlicche

Ufficialmente, un diavolo che dà consigli ai giovani demonietti. Avrai letto anche tu "Le Lettere di Berlicche" di C.S. Lewis, vero? Attenzione, però: i diavoli CREDONO in Dio. E questo in particolare svolazza, un po' su un po' giù, ma complessivamente diretto verso l'alto, verso quel cielo di cui ha nostalgia.

Pubblicato il 17 giugno 2024 su gusto e disgusto, meditabondazioni. Aggiungi ai preferiti il collegamento . 13 commenti.

  1. personalmente le poche volte che ho scritto poesie o dipinto qualcosa l’ho fatto quando ero innamorato, a mio parere, sono i sentimenti che danno l’ispirazione

  2. Tu e Freud (Lucian)

    https://www.royalacademy.org.uk/article/lucian-freud-self-portraits-thoughts-on-painting

    Tu e Freud avete opinioni diverse in merito al fine dell’arte o perlomeno della pittura; Lucian ha ritratto Elisabetta II e forse il desiderio non è poi improprio per il suo lavoro; tu scrivi per l’Altro: ai posteri l’ardua sentenza

  3. In realtà no, quando scrivo

    Desiderio di essere partecipi in qualche maniera alla generazione della realtà; essendo poi essa il riflesso del suo creatore, di farlo nel miglior modo possibile; esserne degni, magari anche inconsapevolmente.

    A Freud manca di fare il passo successivo, di capire perché di quell’ossessione, e comprendere l’origine di quel soggetto.
    Anche nella conclusione dice qualcosa di molto simile a ciò che dico io:

    “Can I make a picture by me out of this?” And so his work degenerates through no longer being the vehicle of his sensation.

    vs

    Quando non lo fa, quel desiderio che la genera si richiude su se stesso. Un desiderio maldiretto

  4. mah, mi sembri azzardare similitudini temerarie, come fossi nella notte hegeliana in cui tutte le vacche son grigie: Lucian parla di ossessione – buon sangue non mente – del pittore per il soggetto che si dovrebbe trasmettere all’osservatore, tu di un artista che ha scoperto quale sia la causa dell’ossessione – dio ovviamente – e che usa l’arte per parlare di dio…..

    insomma per te Lucian è lontano dalla diagnosi del suo desiderio e proprio non ha intenzione di sottoporsi ad alcuna terapia mentre per Lucian tu sei uno che suo nonno avrebbe definito lontano dall’aver accettato il suo es e ben trincerato dietro il suo superio…..

    ma io es e superio fanno una trinità: magari troverai qualcosa in comune con la famiglia Freud, di là

  5. Non è che sia lontano, il buon Lucian; solo che non si chiede, o si rifiuta di accettare, da dove arrivino, chi abbia fatto le cose che dipinge.
    Perché da qualche parte pur arrivano.

    Come dicevamo qualche tempo fa? Non è Dio che decide questo sì questo no, è la libertà di ognuno di accettare ciò che, un istante dopo essersene accorti, diventa così evidente che ci si chiede come sia stato possibile non essersene resi conto prima.

  6. Se l’arte non ci fa più comprendere il mistero della vita umana, l’arte si corrompe e diventa una forma di svago come portare a spasso il cane o bersi uno spritz.

    L’artista potrebbe tornare all’arte come mimēsis, ma la modernità non gli consente più quella tensione all’ordine sacro che ne faceva, per dirla con Tolkien, un umano “sub-creatore”.

    No, l’artista contemporaneo si emancipa dal sacro, rifiutando il dato di creazione e sacralizzando la sua opera, il suo mestiere è autentico ministerium, lui stesso diventando sacerdote e onnipotente “creatore”.

    Che poi non sappia dove andare a pescare i materiali un tempo forniti dall’ordine sacro, e si aggrappi disperatamente alla mistica di una sterile pulsione sessuale, non mi meraviglia affatto.

  7. Vocale lunga o breve

    per tonis

    https://www.treccani.it/enciclopedia/mimesi-o-mimesi_(La-grammatica-italiana)/

    già c’è dibattito sulla pronuncia figurarsi sul valore: per Platone imitare la natura è disdicevole, per Aristotele, e immagino per Tolkien e per tonis peripatetico sorprendente, è fine precipuo dell’arte.

    il carattere normativo della fede o dell’arte o del sesso sembra attrarvi parecchio ma come per tutti giochi, d’altare di letto di pennello o di scalpello o di calamaio, le regole cambiano nel tempo e nello spazio;

    forse è una tragedia forse è la salvezza

  8. Una volta un prete e storico dell’arte mi ha fatto un discorso molto interessante su questo.

    Guardando una vetrinetta con alcuni reperti archeologici della prima età del ferro, contenente un’urna funeraria dipinta e una statuetta religiosa femminile mi disse: “Ecco le fonti dell’arte: la bellezza e la morte”.

    Cioè, parafrasando il resto della conversazione, ciò che risveglia il senso artistico è la bellezza (in primis quella femminile) e poi la consapevolezza che la bellezza è destinata a morire.

    Così l’arte, letteratura compresa, è una reazione a questa insopportabile contraddizione: riproduco la bellezza per farla durare, la celebro – o ne lamento la perdita. Fare arte è come la concretizzazione del grido o dei sospiri che queste esperienze mi suscitano, che siano di meraviglia o di dolore.

    Ma a chi è che sto gridando questa meraviglia e questo dolore? L’arte è l’inizio della religione, un rivolgersi all’assoluto.

  9. No, Panciroli, le regole non cambiano; per questo possiamo apprezzare l’arte di diecimila anni fa, o quella dell’ultimo aborigeno sull’isola dall’altra parte del mondo. E’ proprio questa la rottura di certi contemporanei: pretendere di mettere se stessi, il proprio ragionamento, al di sopra della realtà. I risultati si sono visti; osannati solo dai loro sodali, non saranno ricordati se non come curiosità.
    Su Tolkien e l’arte, la cosa migliore da fare è leggere quel “On fairy stories” che è un’autentica miniera di riflessioni profondissime.

  10. complimentiper i gusti enciclopedici

    “le regole non cambiano; per questo possiamo apprezzare l’arte di diecimila anni fa, o quella dell’ultimo aborigeno sull’isola dall’altra parte del mondo.”

    mai avrei pensato d’invidiarti e stento ancora a crederlo ma per esempio a me – come al Maestro Battiato – la musica nera africana il free jazz ed i cori russi fanno cagare;

    di Beethoven e Šostakovič per fare un altro esempio mi piacciono le sinfonie ma non i quartetti, terribili;

    insomma ci sono interi continenti e secoli che non sopporto e di quelli che mi piacciono devo dire che seleziono parecchio;

    sei fortunato

  11. Non è questione di piacere, è questione di comprendere.

  12. L’arte come mimesi si sforza di imitare – meglio converrebbe dire “rappresentare” – le forme sensibili, riproponendole in media diversi, onde il pubblico al quale si rivolge possa trarne pienezza spirituale. Quest’arte è sempre più rara.

    E il pieno godimento/intendimento di un’opera d’arte implica si faccia stupenda eco del modo in cui gli esseri umani per natura cercano disperatamente la felicità, uno stato dell’animo capace di rendere la vita – anche la più misera – degna di essere vissuta.

    Poi, certo, ci sarà sempre chi non capisce, e chi si accontenta di molto di meno.

  13. Mi sia concessa una digressione personale.

    L’artista veneziano Maurizio Trentin – amico di anni più lievi e lenti che nella mia memoria ormai sbiadiscono – è un’affermato iperrealista che ancora preferisce il pennello e che i colori li prepara da se. Quindi, lontano da quell’iperrealismo macro esasperato e tecnologico che si è imposto sul mercato dell’arte dominato dagli States, i quadri di Maurizio, come quelli di altri italiani iperrealisti (penso a Grassi e a Ferri) sono qualcosa di più di un minuzioso fotorealismo, spesso imitano l’esteriore alludendo a un mondo interiore (si tratti di persone, animali, fiori o cose).

    Questo ritorno alla mimesi pittorica è forse il segno di una salutare crisi di rigetto contro le dilaganti imposture artistiche contemporanee.

    Almeno lo spero.

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