Nessuna misericordia – IV – Respingere i pellegrini
Sono ancora io, Malacoda, il vostro demone preferito.
Mio zio Berlicche sembra proprio che non abbia nessuna intenzione di comparire, neanche stavolta. Mi ha mandato ancora il solito bigliettino con su scritto cosa dire. Sarà anche un arcidiavolo, ma se la piglia comoda. Mi sa che toccherà ancora a me spiegarvi come eliminare dalla Terra le opere di misericordia corporale. A che punto siamo? Ah, già, la quarta.
Ospitare i pellegrini.
Mah.
Per prima cosa, dicono gli appunti di mio zio, bisogna chiarire chi siano i pellegrini. Non tutti i viaggiatori lo sono.
I pellegrini sono coloro che arrivano da lontano, e sono in cerca di qualcosa per loro stessi in posti a loro sconosciuti.
E’ tanto più comodo per noi quando gli umani sono abitudinari. Se stanno fermi sono comodissimi da corrompere, mentre un bersaglio in movimento è decisamente più complicato da colpire. Un umano che rimane seduto sul suo divano tra le sue quattro cose è il nostro ideale diabolico. Ama di più la sua comodità, le sue idee, quanto possiede, di tutto il resto. Non cerca di meglio. Tutti sappiamo quanto marcisca in fretta il cervello dei mortali se non viene mai rimescolato.
Per questo spesso è proprio il Nemico-che-sta-Lassù a spingerli a partire. Ha ficcato dentro loro questo tarlo, muoversi per capire e migliorare loro stessi.
Il viaggiare è pericoloso e difficoltoso, sia per il corpo che per la mente degli umani. Sconvolge le loro abitudini. Se il Nemico davvero tenesse a loro avrebbe dovuto trovare un altro metodo che non li affaticasse troppo. E’ quello che spesso suggeriamo ai mortali, assieme alla tentazione che in fondo non ne vale la pena. Ci credereste? C’è chi parte lo stesso.
Questi pellegrini, come ho detto, partono senza sapere dove andranno a finire. In un pellegrinaggio difficilmente è tutto pianificato, tutto già saputo. Se no si chiama gita, passeggiata, scampagnata. Non ci fossero novità verrebbe a cessare l’intento che il Nemico ha: far vedere le cose in modo diverso. Il pellegrino non sa cosa troverà nel posto dove sta andando. Non sa dove dormirà, come si sfamerà. Il pellegrino è uno straniero in terra straniera.
Va bene che il pellegrino deve mettere in discussione se stesso, ma il Nemico non vuole distruggerlo. Ospitare un pellegrino significa aiutarlo. Significa favorire questa sua ricerca, incoraggiarlo, spingerlo avanti. Misericordia verso di lui, che vuol dire simpatia verso il suo scopo. In una certa maniera ospitare il pellegrino vuol dire partecipare del suo viaggio e delle sue scoperte. Farlo sentire atteso.
Questo chiaramente noi non lo vogliamo. Il nostro scopo è interrompere quel viaggio. Respingere indietro, rendere impossibile proseguire. Questo genererà a sua volta odio: un umano che si trova rifiutato coverà rancore e ricambierà il trattamento subìto. Vi è chiaro perché qualsiasi accoglienza è da sabotare?
Veniamo alla parte pratica. Come impedire che i pellegrini vengano ospitati?
La prima soluzione che possiamo scegliere è trasformare lo straniero in un estraneo.
Lo straniero, per una comunità umana, è qualcuno che viene da fuori, ma porta con sé valori ed opportunità. Fa, in qualche maniera, parte di una famiglia allargata: lo si riconosce come qualcuno che viene da distante ma condivide qualcosa. L’estraneo invece è del tutto “altro”. Qualcuno di incomprensibile, nemico, da eliminare.
Non hai bisogno dell’altro, dobbiamo suggerire agli umani che ci sono affidati. Tu possiedi già tutto quello che è necessario. L’estraneo vuole impossessarsi della tua vita, del tuo mondo, del tuo lavoro, della tua casa. L’estraneo arriva per rubare la tua roba. Tienilo distante. Non hai fatto tanti sacrifici perché qualcun altro ne approfitti. Fallo restare fuori. E’ pericoloso.
Questo pellegrino, che cosa vuole? Da dove viene? I suoi nonni hanno fatto la guerra (una a caso!) contro di voi; Il vostro e il loro popolo si sono odiati, e anche oggi sono cattivi e soggetto di barzellette.
Concetto che può essere espresso anche con giri di parole. Accoglienza del diverso? Vuol dire che il pellegrino è già diverso, è già altro, non è più un fratello. Quel cuore dove dovrebbe trovare posto è già tutto pieno. Carità pelosa, cioè nessuna carità. Aiutiamoli a riempirsi la bocca di belle parole, ché le parole sono dolci ma costano e nutrono poco.
Naturalmente, essere “altro” funziona nei due sensi. Se viene trattato da “altro” l’umano deve davvero essere un santo per perdonare chi lo rifiuta. E’ tentato di ripagare con la stessa moneta, respingere chi e cosa incontra. Così smette di essere un pellegrino e diventa davvero un invasore.
Il pellegrinaggio può fallire non solo perché non si raggiunge la meta, ma anche se non si impara niente da esso. Non solo perché si deve tornare indietro, ma pure perché il viaggiare non ha più nessun senso.
Il pellegrino vero è uno di quei deboli che piacciono tanto al Nemico. Ricordiamoci che sfruttarlo è per noi quasi un dovere. Ogni sevizia, ogni difficoltà, ogni sofferenza che gli infliggeremo sarà uno sberleffo nei confronti di Lassù, una orgogliosa rivendicazione della nostra autonomia. Con un vantaggio, se riusciremo a renderle intollerabili. Come si eliminano le sofferenze dei pellegrini? Eliminando i pellegrini, è chiaro. Coloro che sono assuefatti alle comodità approveranno con sollievo qualsiasi misura che impedisca loro di ricordare che talvolta occorre muoversi.
Esiste poi un ultimo semplicissimo mezzo per impedire l’ospitalità ai pellegrini. Renderla commercialmente vantaggiosa.
Una volta che il viaggio sarà completamente pianificato, plastificato, pagato in anticipo non ci sarà più necessità di ospitare nessuno per carità. Sarà un bonifico con carta di credito, tra un turista e un albergatore. Senza imprevisti che possano disturbare.
Nessuna opera da compiere, nessun cuore da cambiare, niente da cui farsi colpire. Non vi sarà più né pellegrinaggio, né pellegrino, né misericordia. Molto più comodo così, no?
Pubblicato il 28 Maggio 2015 su Nessuna misericordia. Aggiungi ai preferiti il collegamento . 22 commenti.
La foto e’ inappropriata o sono inappropriato io?
Rientra nella definizione di pellegrini.
Berlicche, questo post (e la tua precisazione seguita alla domanda di Vanni) desta in me una inquietudine che vorrei mi aiutassi a sopportare… Il mio vocabolario è piuttosto povero e per me “pellegrino” è unicamente chi parte dalla sua terra per raggiungere una meta e poi tornare a casa. Assimilare al pellegrino chi lascia la sua terra per stabilirsi permanentemente in un’altra non è rendere onore alla verità. A mio modo di vedere sono due i termini più appropriati per definire questa situazione: “ospite”, nel caso il suo arrivo “a casa nostra” segua un nostro invito o sia comunque concordato con noi (ed è questo il caso dei rifugiati) o “invasore” se il suo arrivo e ed il suo insediamento non è tale (e questo è il caso della gran maggioranza degli extracomunitari che sono da noi da qualche anno a questa parte, compresi, purtroppo per loro, coloro che arrivano con i barconi). Troverai forse il termine “invasore” offensivo verso chi viene e soprattutto resta nel nostro Paese illegalmente unicamente attratto dalla possibilità di stare meglio e non per prendere il potere con la violenza: me ne scuso ma non riesco a trovarne uno più adatto. Che poi chi vuole seguire Cristo debba volere il bene di ogni prossimo, compresi gli “invasori” (e mi riferisco a tutti gli invasori, ISIS compreso) lo capisco. Ma per favore rispettiamo la verità delle cose e cerchiamo di comprendere quale sia il vero bene sia nostro che di queste persone.
Come ho accennato nel testo, per peregrino – letteralmente, colui che arriva attraverso i campi – si intende colui che non viaggia per diletto, e neanche per lavoro, ma colui che cerca qualcosa di meglio per sé in una terra che non conosce. A differenza del viaggiatore – che viaggia, appunto, per viam – il pellegrino è in uno stato di forzosa necessità: non sa bene dove si trova, è in una terra straniera di cui conosce poco o niente la lingua, non sa dove andare e a chi rivolgersi. Da notare che il pellegrino è in una situazione transitoria: cioè è in marcia. Ed è un essere umano, cioè un nostro fratello.
Possiamo fare tutti i ragionamenti che vogliamo. Potevano starsene a casa loro, con un po’ d’aiuto? Forse; rimane il fatto che hanno rischiato la loro vita per essere qui alla nostra porta. Possiamo mandarli da un’altra parte? Certo, se teniamo così tanto alla nostra roba. Rimane il fatto che hanno bisogno, e sono alla nostra soglia. L’opera di misericordia ci chiede solo di ospitarli: senza chiedere loro perché sono qui, che cosa vogliono, dove stanno andando; se siano buoni o cattivi, in cosa credano, come siano arrivati. Non è che la richiesta ci obblighi. Come in tutte le opere di libertà, ci è chiesto di rinunciare ad un poco della nostra comodità, fisica o mentale che sia, e operare. Se no che misericordia sarebbe?
L’ha ribloggato su manuroma86 IO E UN PO' DI BRICIOLE DI VANGELO.
Per un cristiano questo è un argomento attuale e scottante, per questo mi permetto di insistere, più che altro per chiarirlo a me stesso .
So che devo aiutare lo straniero e il pellegrino, senza farmi troppe domande. E’ un’opera di misericordia e non devo discuterla. Ma la ragione mi dice anche che il pellegrino, moltiplicato per milioni, non è diverso dall’invasore. E io devo dare anche a Cesare quel che è suo. Ci sono, cioè, scelte politiche da fare, possibilmente secondo ragione.
Sennò che democrazia sarebbe?
Vanni, dipende tutto da ciò che è importante per te. Se no che vita sarebbe?
Comunque ho conosciuto recentemente uno di questi pellegrini. Un antico compagno di Politecnico, armeno, famiglia fuggita cent’anni fa dai turchi ad Aleppo, e ora lui fuggito da lì, con la moglie e il figlio di 5 anni, mollando casa e azienda. Di fronte a lui, cosa vuoi dire politicamente?
Però, Berlicche, non puoi scrivermi: “… ospitarli: senza chiedere loro perché sono qui, che cosa vogliono, dove stanno andando; se siano buoni o cattivi, in cosa credano, come siano arrivati…” e nel commento successivo presentarci “un antico compagno di Politecnico, armeno, famiglia fuggita cent’anni fa dai turchi ad Aleppo, e ora lui fuggito da lì, con la moglie e il figlio di 5 anni, mollando casa e azienda.” Io invece la settimana scorsa, accompagnando un conoscente ivoriano (rifugiato in Italia da qualche anno) a cercare un nuovo posto letto ho incontrato un altro africano che sembrava pretenderlo e quando un operatore gli ha chiesto se avesse parenti in Africa ha detto ridendo: “Due mogli, noi siamo più liberi di voi!”. Se costui venisse assistito prima o al posto del tuo antico compagno non so come reagiresti.
Non credo comunque sia il caso di dibattere qui di politiche di accoglienza ma mi sembra che tu non voglia cogliere la differenza tra rifugiati di guerra ed emigranti in cerca di miglior welfare (a spese nostre).
Guarda, per restare sul personale, appartengo a una famiglia che è stata costretta a lasciare terra, casa, affetti, morti, tutto, al di là del mare Adriatico, in Istria e Dalmazia. Quindi so di cosa si parla. Queste centinaia di migliaia di persone sono diventate esuli in Patria. So anche, e sono in pochi a dirlo, che molti di coloro che oggi sono strenui assertori dell’accoglienza indiscriminata non hanno permesso, a suo tempo, che vecchi donne e bambini fossero assistiti con generi di prima necessità (acqua, latte, pane) nei luoghi di passaggio e di arrivo (Venezia, Bologna). Quello era bestiale odio politico verso chi scappava dal paradiso comunista in edificazione. Fascisti.
Era il dopoguerra. Oggi non è così, quelle utopie sono finite o si sono trasformate in altre. Non vorrei che una di esse consistesse nell’ignorare, o minimizzare, l’immensità di problemi che accompagneranno il fenomeno migratorio nei prossimi anni o decenni. Non sono necessarie scelte politiche efficaci e lungimiranti per governarlo? E nell’interesse comune, di pellegrini e stanziali? Non sono, queste scelte, opere di misericordia su larga scala?
Ma sempre, quando si affronta l’argomento, c’è quello più buono di te che alza il ditino.
Eppe e Vanni, di cosa stiamo parlando? Io parlando di una cosa piuttosto antica chiamata “opera di misericordia corporale”, secondo la quale a ciascuno di noi, PERSONALMENTE, NON delegando ad uno Stato oppure una associazione, è chiesto per misericordia di aiutare una persona in difficoltà, nella convinzione che sia un fratello figlio dello stesso Padre.
Quando saremo lassù, in giudizio, e ci verrà chiesto “Ero forestiero, mi avete accolto?”, non potremo parlare di scelte politiche lungimiranti o meno, perché il punto sarà cosa abbiamo fatto noi. Potremo provare a dire quanto ci stava antipatico lui, la sua gente, le sue credenze, di quanto fosse estraneo; bisogna vedere se verremo ascoltati.
Vedo che non ci capiamo o, meglio, che non mi faccio capire e allora chiudo qui, per quanto mi riguarda. Lascio, a chi è interessato, quest’intervento scritto da un grande Pastore, il cardinale Biffi.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/7283
Mi è stato raccontato qualche giorno fa – e non ho motivo di non credere sia vero – che una persona che ne ha ospitato un’altra per un mese in una stanza, alla richiesta, rifiutata, di lasciarla come da accordi è venuta alle mani ed è dovuta intervenire la forza pubblica (che ha arrestato l’ospitante, non l’ospitato)…
Comunque accetto il richiamo di Berlicche alla mia responsabilità personale di fronte al bisogno alle persone che incontriamo concretamente. Spero solo che quando spiegherò perché ho aiutato poco e male anche le mie ragioni vengano ascoltate.
xVanni: se ti può confortare, approvo e sottoscrivo quanto scritto da Biffi, intervento che avevo ben presente quando ho scritto il post. Trovami, nelle mie definizioni di pellegrino, in quanto affermo, nel ricordare la nostra responsabilità, qualcosa che vada in senso opposto. Attenzione però a non confondere quanto dovrebbe fare uno Stato rispetto a quello che dobbiamo fare noi. Possiamo anche sognare “sistemi così perfetti che non avremmo più bisogno di essere buoni” ma, per nostra fortuna, non li abbiamo. Malacoda dovrà digrignare i denti un altro po’.
xEppe: L’episodio che tu racconti, in che maniera invalida quanto scrivo? O la richiesta di Cristo? Quante volte si è derubati e traditi dalle persone che si è beneficiato! E per questo dovremmo non fare più il bene?
Non voglio fare le pulci a ciò che scrivi, sentivo solo il bisogno di allargare il discorso. Sarà per un’altra volta, o da un’altra parte.
Berlicche, non ho scritto quell’episodio per invalidare alcunché ma soltanto per ribadire che certe opere di misericordia non sono affatto facili e che anche nel fare il bene è evangelico essere prudenti come serpenti…
Eppe, se fosse comodo e facile fare opere di misericordia, che merito ne avremmo?
Berlicche, cosa intendi esattamente per “merito”? Ti descrivo brevemente un’esperienza che pure so che non puoi capire (;-)): allo Juventus Stadium occupo un posto molto defilato ma mi sento così partecipe dell’evento che non mi importa nulla di non essere in tribuna d’onore…
Nel senso dell’obolo della vedova, Eppe.
La reazione di fronte al fenomeno costituito da una massa di persone che fuggono la povertà o la guerra è uno dei pochi casi in cui le dichiarazioni del Papa, o di altri esponenti del clero, sono le uniche che trovo condivisibili*.
I politici cattolici, che siano di centro-destra e di centro-sinistra, fanno finta di niente (forse ragionano nei termini di responsabilità personale, magari fanno la carità e ospitano dieci siriani in cantina ciascuno; ma non si può negare che lo stato abbia delle responsabilità, se non altro nei confronti di chi rischia di affogare in amare o di fronte alla legislazione internazionale sul diritto all’asilo politico). La sinistra ex-comunista si vergogna di se stessa e teme di passare per buonista, multiculturalista, o il nuovo epiteto del cacchio fuoriuscito dalle pagine di Libero o del Foglio, e sogna di pescare tra i voti di chi teme ‘l’invasione’.
Mi ripeto: parliamo di centinaia di migliaia di persone che rischiano la vita (in mare o per terra) per fuggire alla fame o alla guerra. Punto. Tutto il resto sono scuse.
*L’altro esempio che mi viene in mente sono le parole di Bergoglio sulla Prima Guerra Mondiale in occasione del 24 maggio, la cui commemorazione da parte delle istituzioni italiane è stata grottesca ad essere gentili
Quindi per te, Berlicche, il merito è proporzionale all’impegno che ci metti e del tutto slegato dalla ricompensa che ti aspetti di ricevere. Cercherò di ricordarmelo se sabato perderemo la Champions…!
Mai detto niente del genere, Eppe. Non è l’impegno, perché noi da soli non possiamo niente. E’ quanto imitiamo della carità di Cristo, del tutto gratuita.
Quindi avrete merito se regalerete la Coppa al Barcellona ;-)
Seguendo il tuo suggerimento abbiamo pensato di regalare non la Coppa ma Chiellini al Barcellona, quindi ora meritiamo di…